Finalmente è arrivata l’estate e, come da qualche anno a questa parte, è arrivata tutta in un botto, senza passare dal quella stagione intermedia e fresca che è la primavera: è proprio il caso di dire che non ci sono più le mezze stagioni, anche se, ormai, ci siamo più che abituati. Attendo con trepidazione di sapere quando verrà annunciato che questa è l’estate più calda degli ultimi vent’anni o magari cento o, perché no, di sempre, visto che ormai non riusciamo più a vivere senza fare paragoni con i tempi passati, d’altronde è luogo comune che si stava sempre meglio prima. Le estati erano meno torride anche se io ho memoria di mesi di luglio e agosto in cui le infradito affondavano nell’asfalto quasi liquefatto, gli inverni meno rigidi ed anche qui ho ricordi d’infanzia in cui nevicava così tanto che dopo i primi fiocchi avvistati la sera, il mattino dopo mi ritrovavo a dover affrontare un metro buono di neve. E si andava, comunque, a scuola senza tante storie. Ma è proprio vero che prima si stava meglio? Non saprei: facendo qualche ricerca, mi sono imbattuto in un evento epocale avvenuto duecento anni fa quando, seguendo questa logica, si doveva vivere da gran signori. Questo avvenimento, che ha preso vita in una delle capitali europee più importanti d’Europa, è passato alla storia con un nome terrificante: the Great stink, la grande puzza. Siamo nell’anno 1858 e a Londra, in piena seconda rivoluzione industriale, si verifica una delle estati più calde di sempre, non piove da un bel po’ e il Tamigi è ridotto davvero ai minimi termini. Insieme a lui anche i suoi due affluenti, il Fleet ed il Tyburn non se la passano bene, ma tutti e tre hanno una cosa in comune: sono i collettori di tutta l’immondizia della città. Quando a Roma, già da due millenni, esisteva la “Cloaca massima”, un sistema fognario che raccoglieva tutti i miasmi della città, a Londra ogni scarto possibile ed immaginabile finiva inesorabilmente nel Tamigi.

Scarti industriali, residui di ogni tipo di lavorazione dalle macellerie alle fabbriche, carcasse di animali, deiezioni umane, cataste di letame lasciate dai cavalli che, per la maggiore parte, costituivano il principale mezzo di locomozione cittadino. Tutto nell’alveo del fiume. Non era difficile imbattersi in persone che si liberavano lì per lì dei propri bisogni: ce ne rende testimonianza diretta Samuel Pepys, uno scrittore inglese che, già nel secolo precedente, annotava sul diario di come un giorno, passeggiando per le vie della città, la moglie, colta da stimolo impellente, avesse fatto i suoi bisogni lungo la strada, come d’altronde facevano tutti. Da poco erano stati inventati gli sciacquoni che, però, non avevano migliorato di molto la situazione perché i liquami venivano si raccolti nei cosiddetti pozzi neri, ma questi non vanivano quasi mai svuotati dal momento che l’operazione costava ben uno scellino in un’epoca, in cui una sterlina equivaleva a venti scellini, e ognuno di questi valeva a sua volta 12 pence (gli inglesi avevano ed hanno ancora oggi dei sistemi di misura alquanto strani), per cui uno spurgo valeva quanto una giornata di lavoro, quando andava bene. Quindi, riempita la fossa, si tornava alla vecchia maniera per strada o nel fiume. Che poi, quando la svuotavano, dove volevate che gettassero il contenuto se non… nel Tamigi? Dunque quell’anno complice un caldo afoso, la pioggia inesistente e il drastico abbassamento del livello delle acque fluviali, la puzza divenne così forte da far letteralmente vomitare le persone che si avvicinavano all’alveo. Benjamin Disraeli, il primo ministro o cancelliere dello scacchiere come lo si voglia chiamare, descrisse così la situazione: “Una pozza simile allo Stige, da cui esala un indicibile e insopportabile orrore”. Charles Dickens, sebbene si riferisse ad una situazione simile avvenuta nel 1850, descrisse la situazione dei due affluenti così: “Attraverso il cuore della città, una fogna mortale rifluì e scorse al posto di un bel fresco fiume”.Le persone erano costrette a camminare con i fazzoletti alla bocca ed in certi case, per evitare che il fetore entrasse nelle case, si intingevano le tende nel cloruro di calcio, ma tutto era inutile, la puzza regnava sovrana.I rifiuti non solo galleggiavano in superficie, ma in quelle zone dove il fiume formava delle piccole paludi riemergeva davvero di tutto. In quel periodo, ancora non era ben chiaro come si diffondessero le malattie, per cui quelle stesse acque erano utilizzate per lavarsi e per usi domestici. Nemmeno a dirlo colera e tifo si propagarono alla velocità della luce e a nulla valsero gli ammonimenti del medico John Snow il quale, quattro anni prima, studiando l’evolversi del colera nel quartiere di Soho, aveva intuito la capacità di trasmissione del batterio nell’acqua. La situazione divenne così grave che i parlamentari furono trasferiti da Westminster a Hampton Court e il palazzo di giustizia fu traslocato a Hampton Court e Oxford.

A levare dai guai i londinesi ci pensò finalmente la pioggia che, ponendo fine a quella calda estate, ridiede vita al Tamigi portandosi via anche ogni sorta di miasma. Il ricordo però rimase e per evitare il ripetersi di quella situazione, il Metropolitan Board of Works, una sorta di azienda metropolitana per i lavori, guidata dall’ingegner Joseph Bazalgette, costruì in pochi anni il primo sistema fognario sotterraneo della città che fino al 2016, anno in cui è stato deciso di costruirne uno più moderno, ha dato ai londinesi ciò che a Roma, mi piace ripeterlo, già esisteva da 2000 anni. Non tutto vien per nuocere, però, perché i londinesi seppero fare di necessità virtù, creando ed inventando nuovi lavori e nuove soluzioni. Solo un anno dopo venne inventato il gabinetto a terra asciutta che, in pratica, non ha bisogno di acqua per eliminare le feci che infatti, vengono raccolte e trasformate in compost utile per l’agricoltura. Nacquero mestieri, per lo più appannaggio delle classi sociali più derelitte, che erano in stretta relazione con lo sfruttamento e la manutenzione delle fogne: i Toshers, ovvero gli estirpatori, a cui a volte appartenevano intere famiglie, che andavano a cercare nelle fogne oggetti di valore; I Mudlarks, ovvero le allodole del fango, generalmente bambini che scavavano nei fanghi del Tamigi in cerca di oggetti di valore che poi rivendevano; i Nightsoils, che raccoglievano gli escrementi umani e animali che rivendevano poi come concime. Dopo il 1870, con il sopraggiungere del più economico guano dal Sud America, il mestiere scomparve aumentando così lo sversamento delle deiezioni nel Tamigi; i Flushermen, ovvero quelli che letteralmente lavavano o sciacquavano i rifiuti e tutto ciò che poteva creare ostruzioni, dai canali delle fogne appena costruite; i Ratcatchers cioè gli acchiapparatti, che catturando i topi nelle fogne, diedero un poderoso contributo alla prevenzione delle malattie di cui questi animali erano vettori.
La grande puzza, un evento rimasto memorabile nella storia di Londra, divenne quindi un volano per il miglioramento delle condizioni di vita dei cittadini spingendo le autorità a ingegnarsi per ammodernare ed abbellire il decoro urbano.
A Roma però ci erano già arrivati più di duemila anni prima, ve l’avevo già detto?