Dal 2023 ad oggi la politica estera ha subito degli stravolgimenti che sicuramente finiranno nei libri di storia dei nostri figli o nipoti. Il 7 ottobre, come tutti ricorderete, Hamas, la formazione politica di stampo terrorista, che conduce la battaglia per il riconoscimento dello stato della Palestina, penetrando in territorio israeliano, attraverso alcune brecce fatte lungo il confine con la cosiddetta striscia di Gaza, si è resa artefice di un’incursione che ha provocato più di un migliaio di morti e qualche centinaio di rapimenti. Ristabilita la sicurezza, si è aperta una crisi diplomatica a seguito della quale, visto il rifiuto di Hamas a restituire i più di duecento rapiti, Israele ha deciso di intervenire militarmente, occupando di fatto i territori costieri di Gaza, bombardandoli fino ad oggi. Questi eventi, qui sommariamente riassunti, hanno innescato un’altra serie di avvenimenti, come la caduta di Assad in Siria, l’invasione del Libano meridionale, il lancio di missili dallo Yemen e, ultima di questi giorni, lo scambio di bombardamenti tra Israele e Iran, ritenuto il burattinaio dietro ogni movimento terroristico in Medio Oriente ed accusato di essere in procinto di costruire una bomba atomica da sganciare sull’odiato Israele. Il mondo occidentale si è mosso, dividendosi in due fazioni quasi simili a gruppi sportivi ultras, fondamentalmente contro o a favore di Israele. La maggior parte dei governi europei si è mostrato dalla parte israeliana, pur condannando gli eccessi commessi nella striscia di Gaza. E gli Stati Uniti? La risposta è davvero un mistero, data l’impenetrabilità del pensiero di Trump che un giorno fa capire una cosa e quello dopo tutta un’altra. Avendo qualche anno sulle spalle, mi sembra di ricordare che, mai, nessun presidente americano è stato così ondivago sulle decisioni da prendere in politica estera: la storia dei dazi, per quanto non abbia molto senso ai miei occhi, ne è un esempio. Da Reagan in poi, gli USA hanno sempre avuto una linea di comportamento abbastanza decifrabile, con Trump, invece, è bravo chi ci capisce qualcosa. Un presidente che appare più abituato alle dinamiche dello showbusiness, che mal si addicono al teatro della politica mondiale, dove una parola o un gesto male interpretato può causare danni economici di vasta portata. Trump attaccherà l’Iran, cavandosi quel dente avvelenato che duole fin dal 1978 o no? Darà la spallata finale al regime degli Ayatollah, iniziato proprio con la cattura del personale dell’ambasciata americana a Teheran? Oppure lascerà fare il lavoro sporco a Tel Aviv fino alla fine? Sono domande che un po’ si fanno tutti e che mercoledì scorso alcuni giornalisti gli hanno rivolto in occasione della visita speciale nella sala ovale della Casa Bianca, della Juventus, impegnata in questi giorni nel primo campionato mondiale per club di calcio. Artefice della visita John Elkan, presidente di Stellantis ed erede dell’impero FIAT di Gianni Agnelli, che negli Stati Uniti è presente come rappresentante della General Motors e della Chrysler, marche automobilistiche acquisite, appunto, tra le altre da Stellantis in una mega fusione avvenuta qualche anno addietro. Le agenzie di stampa di tutto il mondo hanno rimbalzato la notizia, mettendo in circolazione il video di questa visita, in cui si vede Trump seduto alla sua scrivania, circondato da alcuni giocatori e manager della Juventus. Posto che è difficile immaginare un Trump interessato a quello che in America chiamano soccer, la visita ha preso subito una piega abbastanza strana, quando il padrone di casa ha cominciato a rivolgere ai suoi ospiti domande alquanto strane ed imbarazzanti. “Ragazzi, una donna potrebbe entrare nel vostro team?” È stata una delle domande ripetute più volte senza ricevere risposte fino a quando Comolli, neo dirigente bianconero, ha tolto tutti dall’imbarazzo, dichiarando che la Juventus ha una squadra femminile tra le più forti in Italia, ma l’obiettivo era evidentemente ribadire la sua politica contro l’accesso di uomini trans in squadre sportive femminili. Infatti Trump ha ribattuto con un “Ma dovrebbero giocare con le donne” al quale nessuno ha risposto. Nessuno deve avergli detto che in Italia questa suddivisione è ancora ben netta e non si sono verificati scempi come nel suo paese. Ha poi rincarato la dose facendo un commento a supporto della sua politica di espulsioni di massa degli immigrati irregolari: «La gente arriva, ma deve farlo legalmente. Come questi ragazzi dietro di me. Devono amare l’America, se non lo fanno non li vogliamo». Dopo aver stretto la mano ai due giocatori statunitensi Weah e McKennnie, che quando giocava nello Schalke 04 lo definì Trump nel suo primo mandato da presidente, razzista ed inadatto alla carica che occupava, ha esortato i numerosi giornalisti lì presenti a fare loro qualche domanda sul calcio. Io credo che in questo preciso momento si sia palesato l’apice del surrealismo di tutto quell’incontro perchè, data la manifesta ignoranza dei giornalisti riguardo il mondo del calcio, questi hanno cominciato a fare domande sulla questione mediorientale e Trump, circondato da visi alquanto imbarazzati, ha cominciato a parlare di bombardamenti, ultimatum, incontri di mediazione come se dietro di sé avesse il suo team di esperti e consiglieri militari. Immaginate di andare ad un concerto heavy Metal e di cominciare a sentire la sigla di Heidi, alcune marcette militari e parti di operetta mischiati a pezzi di AcDc e Metallica. Sempre musica è, mi direte, ma non hanno nulla a che vedere l’una con l’altra. Lo sbigottimento e l’imbarazzo dei giocatori della Juventus si è percepito subito attraverso i loro sguardi che erano totalmente e giustamente avulsi dai discorsi che si tenevano in quel momento. Il web non si è lasciato scappare l’occasione per alimentare le critiche contro il presidente Trump, ma anche contro la squadra torinese che, cogliendo la palla al balzo, ha pensato bene di non ritrasmettere sui suoi canali social gli interi sedici minuti e rotti della visita, limitandosi a citare la presenza dei calciatori bianconeri nella sala ovale della Casa Bianca. Lo stesso Weah, in un commento riportato poi su Instagram, ha detto di aver provato imbarazzo per quelle battute fuori luogo dichiarando: “È stata una sorpresa per me, sinceramente: ci hanno detto che dovevamo essere presenti e non ho avuto altra scelta che andare. Sono rimasto sorpreso, sinceramente. È stato un po’ strano. Quando ha iniziato a parlare di politica con l’Iran e tutto il resto, ho pensato: ‘Io voglio solo giocare a calcio, amico”
Questa non è la sede per criticare o giustificare la politica degli USA, di Israele, dell’Iran e di tutte la parti coinvolte, ognuno ha le sue idee e ben venga così ma il clima creatosi alla Casa Bianca mercoledì scorso non ha davvero precedenti. Se si concede una visita per ragioni di sport, come ce ne sono state tante anche in Italia nelle sale del Quirinale, si deve parlare di sport, di calcio non di bombe. Io sono tifoso bianconero da tanti anni, ma una cosa del genere non l’avevo mai vista, imbarazzante quasi quanto lo scandalo di farsopoli costruito dal presidente dei cartonati, cioè dell’Inter nel 2006. Quello sì fu uno scandalo ma per come la verità venne trasformata e per le conseguenze che portò.