Primo giorno – Si parte per un viaggio di pochi giorni verso New York, come avrebbe detto nonno: te ne vai all’America. Il volo parte puntuale, nel primo pomeriggio, con quello che rimane della nostra compagnia di bandiera. Ci danno da mangiare e poi spengono le luci come facevano all’asilo quando eravamo piccoli. Guardo un film nel piccolo schermo davanti a me e poi ne guardo un altro che ottiene l’effetto voluto dalle hostess e dalle maestre dell’asilo: mi addormento. Atterriamo a New York e ho gli occhi lucidi e lo sguardo perso di un tossico. Alla dogana mi chiedono se ho del caffè, delle banane e dell’ananas. Gli rispondo che ho trovato Conad chiuso e mi fanno passare. Ci viene a prendere un Uber che sembra Jackie Chan e veniamo risucchiati nel traffico della grande mela. Scopriamo che ci sono 27 gradi e il tasso di umidità del sud est asiatico. L’albergo è vicino a Times Square e dopo aver depositato i bagagli usciamo per un’esplorazione, immergendoci nel sabato di Broadway. Andiamo a dormire a quella che dovrebbe essere la mezzanotte e per il nostro orologio biologico sono le sei di mattina.







Secondo Giorno – Dopo una colazione che potrebbe sfamare il Bangladesh, usciamo alla volta dei nostri punti di interesse. Oggi visitiamo il Moma con le sue opere di Van Gogh, Picasso, Andy Warhol, Cézanne, Monet, Dalì, Pollock, Chagall e Hopper e una cura del dettaglio a dir poco sbalorditiva. Siamo sulla Quinta strada e passiamo davanti a Tiffany, immaginando Audrey Hepburn con lo sguardo adorante verso la vetrina. A dissacrare il tutto c’è un finto Trump in mezzo alla strada che dirige il traffico, lo ringraziano in newyorkese della Garbatella. A pochi metri c’è la Trump Tower, un edificio sobrio come il suo proprietario. All’interno c’è appesa una bandiera americana lunga 18 chilometri e il bel faccione del roscio in tutte le salse. Prendiamo una fetta di crostata, ma non abbiamo fatto i conti con le porzioni americane e ci portano direttamente nonna Papera. La sera ceniamo all’Hard Rock Café con il tipico panino con l’hamburger e un secchio di patatine fritte, chiedo scusa al fegato e lo ricompenso con un Biochetasi.






Terzo giorno – Oggi piove e fa freddo, il tempo è leggermente schizofrenico. Visitiamo il Metropolitan Museum of Art. Ci sono esposte due milioni di opere d’arte provenienti da tutto il mondo, a testimonianza che gli americani, non avendo una storia, l’hanno acquistata dagli altri paesi. Dopo un tempo davvero considerevole, ci rendiamo conto che per vederle tutte dovremmo permanere fino a gennaio del 2032 e quindi facciamo una cernita tra quelle più rilevanti. Siamo in prossimità di Central Park, il polmone verde di New York. Lo attraversiamo mentre la temperatura è diventata quella di Calcutta in estate, ma restiamo comunque affascinati dalla quantità di fiori e piante perfettamente curati. Arriviamo all’Empire State Building, che è ridiventato l’edificio più alto dopo il crollo delle Torri gemelle. E’ il grattacielo di King Kong, di King Kong contro Godzilla, di King Kong e Godzilla contro il colesterolo. Saliamo con un ascensore alla velocità della luce e sul tetto, vengo colto da una vertigine che altro Jimmy Fontana, me gira tutto il mondo. La sera, ormai sfiniti, mangiamo vicino al nostro Hotel.
Quarto giorno – Quella di oggi può essere considerata la giornata della memoria. Prendiamo un traghetto verso la Statua della Libertà e soprattutto visitiamo Ellis Island, il punto di arrivo per milioni di emigranti nello scorso secolo. Attraverso le immagini e i racconti sembra di rivivere le speranze, le esistenze di povera gente alla ricerca di un futuro migliore, spesso fuggendo da guerre e persecuzioni, per fortuna oggi certe cose non accadono…Torniamo a Manhattan per visitare la ferita mai rimarginata di quell’undici settembre che è nella memoria collettiva. Non ricordiamo cosa abbiamo mangiato la sera prima, ma tutti sanno cosa stavano facendo nel momento quando arrivarono quelle immagini drammatiche. Il museo è qualcosa di devastante con testimonianze video e audio e quelle immense balaustre con incisi i nomi di quelli che caddero. E’ stata una giornata emozionante e formativa, perché non dobbiamo mai perdere la memoria e il ricordo della storia, altrimenti cadiamo sempre negli stessi errori.
Quinto giorno – Oggi fa freddo come a Ojmjakon. Facciamo una crociera che fa il giro dell’isola di Manhattan. Dentro il traghetto c’è la temperatura di un altoforno in produzione di acciaio e fuori quella di un ghiacciaio, l’idea sarebbe quella di restare sulla porta, ma non ci viene consentito. Dopo la crociera percorriamo la High Line, un parco pedonale ricavato dalla ferrovia in disuso che abbiamo visto in molte pellicole dello scorso secolo. E’ molto bello e curato e se non alzi gli occhi al cielo per vedere i grattacieli, ti sembra di essere in un luogo fuori dal mondo. Scendiamo a Chelsea e visitiamo l’omonimo market, dove mangiamo una discreta pizza. Dopo andiamo verso Brooklyn usando il mezzo di trasporto per antonomasia, la metropolitana, la Subway come la chiamano qui. Arriviamo e dopo aver gustato un buon gelato, siamo finalmente sotto l’iconico Brooklyn Bridge, che ci ricorda il pacchetto di gomme che compravamo da ragazzini e l’immagine di “C’era una volta in America”. Domani si riparte, sono stati giorni intensi e interessanti. Quello che posso dire, dal mio punto di vista, è che New York è una città che non ha un’anima sola, ne ha mille e forse più. La cosa che penso è che sia una città che parla attraverso le immagini del cinema e delle serie televisive, che fanno talmente parte di noi da essere già storia, quella che New York altrimenti non potrebbe raccontare essendo una città relativamente giovane ma che corre senza fermarsi mai e ti travolge con il suo mondo verticale e colorato.