Già in precedenza ho raccontato, nell’ambito del fenomeno dei pellegrinaggi, che cos’era e cosa è ancora oggi, la via Francigena: un insieme di percorsi che unisce Roma a Canterbury. Non esisteva una sola strada, semmai una direzione che il pellegrino poteva seguire e in quel tratto che interessava la zona che da Parma arriva a Lucca, la Lunigiana aveva una parte importante. Numerosi erano i luoghi in cui i pellegrini potevano sostare per riposare, rifocillarsi e riprendere il loro cammino. Nemmeno a dirlo questi percorsi diventavano luoghi di incontro e di espansione della fede, per cui non c’è da stupirsi se i punti di ristoro fossero rappresentanti soprattutto da monasteri ed abbazie che dovevano fornire anche l’assistenza spirituale necessaria. Uno di questi è l’abbazia di San Caprasio ad Aulla. Fu fondata nel 884 dal marchese di Toscana Adalberto I, che sposò tale Anonsuara. Dal secondo matrimonio avvenuto con Rotilde di Spoleto ebbe un figlio, Adalberto II, che convolò a nozze con Berta di Lotaringia, vedova a sua volta di Tebaldo di Provenza. Nobili ormai quasi dimenticati, ma importanti perché fu proprio Adalberto II a far venire dalla Provenza, terra di origine della moglie, i resti di San Caprasio, cambiando l’intitolazione dell’Abbazia che prima era dedicata a Santa Maria Assunta. In questo contesto potrebbe spiegarsi il motivo della presenza dei resti del santo vissuto e morto proprio nelle isole di Lerins, che sono un arcipelago davanti a Cannes in Costa Azzurra. Ma chi era San Caprasio e perché era così importante da far nascere il desiderio di possedere i suoi resti? Il monachesimo occidentale nasce da quello orientale, ed era un movimento ascetico che portava i propri adepti a ricercare nella solitudine del deserto il contatto con Dio. Inizialmente i monaci non avevano organizzazioni gerarchicamente strutturate, come accade oggi, ma si muovevano in solitudine ognuno per la propria strada, vivendo di carità o di ciò che la natura forniva, in grotte o capanne arrangiate con il poco che avevano, in assoluta povertà. Solo nel IV secolo, grazie all’azione di San Pacomio, formarono delle piccole comunità autosostenute all’interno delle quali i monaci si organizzavano, obbedendo ad una specie di regola, ricordata poi col nome del santo. La prima regola vera e propria sarà scritta più tardi nel 534 da San Benedetto da Norcia. Il sistemam detto cenobitico, fu di ispirazione anche per i monaci europei che, non avendo il deserto a disposizione, preferirono scegliere come luoghi di ascesi delle isole deserte e solitarie. Nel territorio ligure apuano, ad esempio, c’era l’isola del Tino dove visse in completo eremitaggio San Venerio. Nelle isole di Lerins fu fondato un monastero che funse da volano per l’evangelizzazione di tutta l’Europa, tanto da ospitare personaggi del calibro di San Patrizio, uno degli più famosi evangelizzatori europei. Vi si rifugiò anche Sant’Ilario ed è proprio lui che ci parla di Caprasio nell’orazione funebre che tenne alle esequie di Sant’Onorato: “Onorato e Venanzio presero con sé un vecchio, San Caprasio, uomo di perfetta e piena austerità che, loro padre in Cristo, chiamarono sempre ‘padre’; egli, ancora oggi, conduce nell’isola vita angelica. Sebbene il vostro amore abbia ignorato fino ad ora il suo nome e la sua vita, sappiate che Cristo le enumera tra i suoi amici. Lo unirono a sé per istruire e custodire la loro vita nel signore, loro che furono scelti da un gran numero di giovani come custodi”. Onorato e Venanzio erano due fratelli, provenienti dall’aristocrazia gallo romana, che, ispirati dalla vita cristiana. decisero di intraprendere un viaggio nei luoghi santi. Prima di imbarcarsi a Marsiglia, intorno al 386, conobbero un certo Caprasius, già eremita sulle isole di Lerins, che volle unirsi a loro in questo pellegrinaggio mistico, divenendo molto presto la loro guida spirituale. La durezza del viaggio fu però fatale a Venanzio e per poco non lo fu anche per Onorato, che insieme al suo unico compagno decise di ritornare sulle coste europee per proseguire nella propria vocazione. Si stabilirono dapprima in Gallia, dove presero contatto con le numerose comunità cristiane già presenti, poi si stabilirono come eremiti sul massiccio dell’Esterel. Anche qui non trovarono pace, a causa dei troppi visitatori e decisero di tornare di gran carriera nelle isole di Lerins dove tra il 400 ed 410 fondarono il monastero di cui ho parlato prima. Le isole di Lerins sfornarono un gran numero di santi per la chiesa cattolica: Sant’Ilario, Sant’Eucherio, San Vincenzo di Lerins per nominarne alcuni. Data la loro posizione furono anche oggetto di scorrerie da parte delle popolazioni che invasero l’ormai decaduto Impero Romano d’Occidente e dei saraceni. Forse anche per impedire che le reliquie dei santi finissero in mani pagane, quelle di San Caprasio furono traslate ad Aulla. Nel 1077 un documento a firma di Enrico IV ci ricorda la dedicazione del monastero aullese a San Caprasio e per i restanti mille anni che ci separano dai giorni nostri, il ricordo del santo è stato affidato soprattutto alla tradizione orale, visto che le spoglie, anticamente custodite sotto l’altare, furono perse di vista anche a causa dei numerosi lavori che avevano coinvolto la chiesa negli anni. Nel 2003, durante alcuni scavi archeologici, fu ritrovata una tomba monumentale con un sarcofago in gesso, all’interno del quale erano state disposte delle ossa orientate verso est. Sia la disposizione che le indagini lasciarono intuire che le ossa appartenevano ad una persona anziana che non era morta in quel luogo, sembrava infatti che fossero state disposte in quel modo ben più tardi della sua effettiva morte. L’esame al radio carbonio hanno poi rivelato appartengano ad un uomo vissuto nel V secolo, che si era nutrito di pesci e molluschi e che aveva camminato molto. Il vescovo Eugenio Binini riconobbe in queste le ossa del santo, dichiarandolo così patrono del tratto diocesano della via Francigena.
Nel luogo dove sorgeva il monastero e dove oggi c’è ancora l’omonima chiesa di Aulla, è stato eretto un piccolo museo che vale la pena di visitare, per osservare con i propri occhi non solo i resti del santo, ma anche gli oggetti che accompagnavano i pellegrini in un viaggio fatto di fede e speranza, elementi imprescindibili di tutti i cristiani antichi e moderni.