prima parte
Diari Toscani incontra l’artista Valeria Bivona. Nata a Messina, vive a Firenze dove è impegnata nel campo artistico, in particolare in quello musicale, teatrale e pittorico. È specializzata in Tamburi a Cornice popolari e percussioni afro-cubane. Ha all’attivo molteplici mostre d’arte collettive e personali. Si definisce una ricercatrice artistico-spirituale.
Valeria Bivona ricercatrice artistico spirituale, cosa significa?
Vuol dire che attraverso l’arte accedo, esploro ed entro in contatto con la mia parte spirituale, per poi dare voce, portare fuori e donare, attraverso la forma, la materia e il suono. Per me, è la forma migliore per avvicinarmi il più possibile al mondo spirituale.

Cosa vuol dire avvicinarsi al mondo spirituale?
Significa andare nel nostro “altrove”, nel quale ognuno trova le proprie meraviglie, ma anche incontrare i nostri nodi da sciogliere o cose da distillare. Ci può essere un “altrove” in qualsiasi parte del mondo in cui ci sono quei simboli che, in un certo senso, si avvicinano o sono uguali anche per altri, perché ci sarà sempre un punto che può arrivare a chiunque.
Che valore ha per lei la simbologia?
Ha il valore di vocare emozioni e sensazioni.
Esiste una simbologia riconosciuta da molti; c’è poi la propria simbologia attraverso la quale l’artista codifica un sentimento, uno stato d’animo, una situazion: è così anche per lei?
Il mio approccio con l’arte è un po’ particolare, non è mai ragionato e pensato, nasce in corso d’opera, sotto ispirazione. Questo in tutte le mie espressioni artistiche: pittura, scrittura, musica, canto. C’è un momento in cui mi si apre un mondo, e credo che l’ispirazione arrivi proprio da quell’ altrove, di cui le dicevo poc’anzi, che può raggiungere la parte non razionale. Anche per la poesia è la stessa cosa: riesco a poetare tanto da sorprendermi io stessa da ciò che emerge in quei versi.

Pittura, danza, musica, poesia e prosa: ciascuno di questi linguaggi ha una propria caratteristica attraverso la quale lei riesce a esprimere qualcosa di diverso?
No, è tutto lì, in quell’ altrove. L’arte è un mezzo per arrivare là.
Dove trova l’ispirazione, da dove arriva?
Probabilmente proprio non ispirandomi. So che le sembrerà un gioco di parole, ma l’ispirazione arriva lasciandosi ispirare, e per fare ciò è necessario lasciare il “terreno”. La musica per me è importante ed è sempre mia compagna, sia quando dipingo che quando scrivo. Quando suono, ovviamente, c’è la musica.

E quando recita?
Per la recitazione è un po’ diverso, è trovare un collegamento con l’altrove e questo lo faccio attraverso un simbolo, qualcosa che mi evochi quella zona.
Ci sono zone particolari?
Sì, che però a parole è difficile descrivere. Sono vibrazioni che mi aiutano a entrare in temi specifici e a collegarmi con essi. Potrebbe benissimo essere che fra qualche minuto, a seguito di questo nostro incontro, una domanda, una riflessione mi apra dei canali che mi invitano a lasciare il quotidiano per donarmi a quel flusso. È importante sapersi donare a quel flusso senza opporre resistenza.
Mi aiuti a capire: di quali resistenze sta parlando?
Mi riferisco a tutti gli schemi dentro i quali restiamo intrappolati: ce la farò? Piacerà ciò che faccio? Ha un significato quello che sto facendo? Se riuscissimo a uscire da questi schemi potremmo arrivare a fare cose impensabili.

Esistono tecniche di trance per arrivare a sciogliere questi lacci emotivi, sentimentali e sensoriali?
Sì. A me per esempio aiuta tantissimo la musica. Quando suono i tamburelli, spesso, mi viene detto che emano energia primitiva. Ho lavorato con Antonio Infantino che faceva le famose tarantelle Tara’n Trance con I Tarantolati di Tricarico. Potevamo suonare per ore consecutivamente senza mai avvertire la stanchezza, questo significava essere entrati in quel flusso che a parole non è facile spiegare, provare per credere.
Possiamo definirla un’energia primordiale?
Sì, certo.
Lei pensa che ognuno di noi potrebbe essere in grado di arrivare ad attingere a quel tipo di energia?
Dipende da quando ci si lascia andare, è fondamentale però avere la tecnica non solo per “andare”, ma anche per “tornare” e mettere i piedi nel qui e nell’ora.
Questo è perché si deve tornare nel presente?
Nel presente ci sei sempre, anche quando sei in quello stato d’animo: diciamo che ti trovi in un’altra pagina, o, meglio. in un’altra stanza.
È gelosa di quella stanza?
No. Solitamente in quella stanza ci vado da sola, ma quando faccio un lavoro di gruppo quella stanza diventa più grande. Se fosse presente la gelosia non potremmo essere lì e non fruiremmo delle vibrazioni artistiche togliendo così alla creatività la possibilità di emergere.
continua…