
seconda e ultima parte
Diari Toscani incontra l’artista Valeria Bivona. Nata a Messina, vive a Firenze dove è impegnata nel campo artistico, in particolare in quello musicale, teatrale e pittorico. È specializzata in Tamburi a Cornice popolari e percussioni afro-cubane. Ha all’attivo molteplici mostre d’arte collettive e personali. Si definisce una ricercatrice artistico-spirituale.
Valeria, lei ha fondato due compagnie teatrali...
Sì, nel 2001 Il Cammello scalzo con Carlo Nuccioni, ed era una compagnia teatrale per bambini. Adesso la compagnia non c’è più, però è stata una bellissima esperienza, avevo creato una forma di spettacolo in cui i bambini non subissero le mie decisioni, ma interagissero e davano vita insieme a me alle storie. In uno spettacolo che si chiamava “Circolo Polare Artastico” creavamo le storie di un personaggio che era una donna delle pulizie. Mentre nel 2006 è nata la compagnia Le Zagare.
Quanto è importante il pubblico?
Tantissimo, però sei tu che doni, questo ovviamente è un mio pensiero, e il pubblico lo deve sentire.
Cos’è l’arte per Valeria Bivona?
È la vita, non posso vivere senza è nutrimento, come si fa a vivere senza?

Valeria nel quotidiano e Valeria nell’arte, queste due Valerie convivono?
Dipende da ciò che fai nel quotidiano. Se lavori davanti a un computer per otto ore, è dura, anche se in verità riesco a farle combaciare, infatti ho dei riscontri con le persone con le quali mi relaziono. Quando sono nella “stanza” di cui parlavamo prima, mi nutro, respiro, raccolgo e accolgo, un po’ come se lì dentro mi vestissi di gioielli e raccogliessi fiori, di conseguenza sono frutto di quel nutrimento, di quella bellezza e la porto con me, forse non tutto, ma in buona parte sì.
I suoi soggetti come nascono? Aspettano di palesarsi attraverso le sue mani e i pennelli, o è la sua mente che dà indicazioni alle mani?
Non c’è mai un soggetto preciso, nasce e stop. Se cerco di aggiustare razionalmente ciò che è sulla tela, inspiegabilmente torna su di essa è quello che era emerso all’inizio. Diciamo che è sempre un “qualcosa” che si rivela. Negli ultimi anni sto facendo il focusing, che è un metodo di crescita personale, ed è molto affine all’arte. Il focusing insegna a tradurre i messaggi del corpo e a focalizzare le sensazioni, lo stesso che mi succede nell’arte. Con il focusing vado a focalizzare qualcosa di me, il corpo mi manda un simbolo che mi arricchisce. Così come mi si rivela un simbolo, anche i soggetti dei miei quadri si rivelano. Io chiedo alla mia tela dove voglia arrivare e dove mi voglia portare, dopodiché mi lascio andare a quel flusso di cui parlavamo prima, e non devo ragionare. Lo stesso avviene quando suono, mi faccio trasportare da quell’energia.
Il suo rapporto con il colore?
Io li vedo e li sento, è come se ci fosse qualcosa che mi suggerisce se siamo lì oppure no.

Quindi lei non predilige un colore?
No, c’è quel qualcosa che mi fa partire con un colore, ancora una vibrazione, come avviene con tutte le altre forme di espressione artistica. Un po’ come se mi avvalessi del terzo occhio o del terzo orecchio, che poi sono proprio gli organi di senso che uso anche negli spettacoli. Perciò la scelta del colore arriva attraverso questo, ascoltare un altro linguaggio e un’altra visione.
In molti suoi quadri ci sono colori legati alla terra con le molteplici sfumature del marrone...
Non a caso alcuni dicono che i miei quadri sono primitivi.

Quando ho visto i suoi dipinti, la prima impressione che ho avuto mi ha fatto riaffiorare alla mente la pietra paesina: questo a rafforzare quanto le dicevo del suo legame con la terra...
La storia delle pietre paesine arriva dalla mia infanzia, e forse è da lì che arriva anche il mio “Altrove”, quando, dopo averle trovate e tagliate, restavo affascinata da quanto mi si rivelava davanti agli occhi, mi perdevo dentro quei paesaggi. Probabilmente sono così entrati dentro di me che forse inconsciamente tornano fuori nei miei dipinti.
Chi è Valeria Bivona?
Sicuramente una persona che vuole vivere di arte e per l’arte, e donare questo mondo fantastico.
Domanda provocatoria: esiste la perfezione?
La perfezione non mi appartiene, anche se ogni tanto c’è una parte di me che la esige, la vuole. E poi, la perfezione di cosa? C’è il meglio del meglio, del meglio. Sì ma qual è questo meglio, chi lo può definire? Potremmo parlare di bellezza, ma anche in questo caso è difficile darne una definizione perché la bellezza non è soltanto visiva, si palesa sotto svariate forme. Ci possono essere cose belle che però non trasmettono niente perché frutto di tanto ragionamento, anche se la ragione è a servizio per ottenere dei buoni risultati, la bellezza, quando arriva sollecita corde profonde.

Progetti?
Poter continuare a creare e aiutare anche gli altri a creare, e proseguire il mio studio sul focus perché aiuta a riappropriarci del nostro corpo e a capire i segnali che questo ci dà, ed è straordinario. Ho tirato su un nuovo spettacolo teatrale che inizierà a breve il suo cammino, e poi il mio desiderio è continuare a coltivare tutte le forme di arte che mi accompagnano nella vita, senza tralasciare nessuna di esse, perché ciascuna mi dà la possibilità di accedere alle diverse stanze che potrei definire livelli, perché la parola stanza porta in sé uno spazio circoscritto e delineato, quindi è più calzante dire livelli, stadi di consapevolezza che ti fanno affinare l’orecchio, l’occhio, la pelle.