seconda e ultima parte
Massimo Innocenti, artista, editore, critico d’arte e curatore di mostre d’arte. Nato a Prato, trascorre poi l’infanzia e l’adolescenza a Sesto Fiorentino, dove la famiglia si è trasferita. Frequenta le medie inferiori presso l’Istituto d’Arte di Sesto Fiorentino, dove inizia i primi studi artistici. Nel 1975 si iscrive all’Istituto d’Arte di Porta Romana a Firenze, dopo aver conseguito la maturità si iscrive all’Università di lettere e filosofia e frequenta il corso d’arte al DAMS di Bologna. Nel 1979 apre il suo primo studio a Montefiesole, nel comune di Pontassieve, dove tuttora vive e lavora. Ha insegnato alla LABA, Libera Accademia di Belle Arti di Firenze.

A proposito di poesia: tu ami anche scrivere poesie, e la tua Casa Editrice La Vertigine di Prometeo ha creato una collana dedicata, torniamo perciò all’importanza del linguaggio poetico…
In un certo senso il linguaggio che preferisco è la poesia, perché ha ancora la libertà di potersi muovere all’interno di quel mistero di cui parlavamo prima. Ho sempre scritto di poesia, è sempre stata una mia necessità. Nel 2014 con Giancarlo Bigazzi, amico musicista, creammo un evento di mostra d’arte al Forte Belvedere a Firenze: c’erano 170 installazioni pittoriche e nacque l’idea di pubblicare un libro proprio con la volontà di fare esprimere attraverso il linguaggio della parola, le immagini. Il libro venne pubblicato con la Casa Editrice La Meridiana. Purtroppo Giancarlo morì prima dell’inaugurazione della mostra.
Potremmo definire l’arte come espressione di cambiamento? Anzi, voglio osare: di rivoluzione?
Rivoluzione è una parola sterile. Possiamo dire che l’arte può essere rivoluzionaria. Ci sono esempi storici, non voglio citare le avanguardie, posso, però, citare Michelangelo, il Rosso Fiorentino, tutta l’arte della Maniera che si contrappose a quel limite rinascimentale. Oppure possiamo parlare del romanticismo letterario e pittorico, mi riferisco al primo romanticismo, non a ciò che venne dopo. Nell’800 l’artista diventa arte, è la prima volta che entra in gioco come soggetto. Uno dei poeti che apre questa strada è Novalis, siamo alla fine del ‘700 inizio ‘800. Tutta la cultura tedesca e anglosassone ha creato questo “personaggio” nuovo: l’artista da solo, un pensiero poetico con un linguaggio rivolto verso se stesso. Ecco, questo possiamo definirla arte rivoluzionaria.

Tu ed io scherziamo sempre sulla rima baciata: cuore, amore. Però, pur scherzando, sappiamo entrambi che sentimento e organo del sentimento sono strettamente legati: quanto le emozioni influenzano l’arte? Qualsiasi forma essa sia, non soltanto la poesia…
Tutte le forme emozionali danno una spinta all’arte; dare altre definizioni è difficile, ciò che a me piace dire è “fatta con le mani”, le mani senza il cervello non sono altro che mezzi meccanici. Fare con le mani ha già un carattere emozionante, anche una foglia che cade dall’albero o una luce che taglia un paesaggio sono emozionanti allo stesso modo, dipende dagli occhi di chi osserva. Ciò che penso è che ci siamo dimenticati della nostra vista, siamo abituati a vedere troppo e a non capire niente attraverso l’osservazione che è quella della mente, dello stato d’animo.
Massimo, tu hai insegnato alla LABA, Libera Accademia di Belle Arti di Firenze per 15 anni…
Sì, tenevo il corso di pittura e un seminario sul Novecento.
L’arte si insegna?
Fare arte è possibile, ma credo ci sia bisogno sempre di un accompagnamento. Fin da piccoli è importante avere un coinvolgimento mentale, che non è un insegnamento, è invitare un fanciullo, un bambino, a osservare ciò che lo circonda e farlo affascinare. Il bambino rimane affascinato dal “qualcosa” di inspiegabile, da un “qualcosa” che non conosce. L’arte è quello, ma ha bisogno della conoscenza, farla senza questo presupposto è un’assurdità perché è un po’ più complessa, e non è nemmeno terapia, perché se così fosse sarebbe tutto troppo semplice. L’arte è quella libertà del fanciullo che si avvale della conoscenza: ci vuole tanto studio, tanta passione della ricerca e tanta sperimentazione, con questo si crea un linguaggio artistico, non è una cosa nuova, è che purtroppo ce lo stiamo un po’ dimenticando. Bisogna conoscere i contenuti e conoscerli bene. Un esempio: una penna biro può fare dei bellissimi disegni, degli scarabocchi, dei bellissimi tratteggi, dare voce a dei pensieri o può uccidere un uomo.
Questo è un invito a conservare quella parte fanciullesca che ognuno di noi ha, ma che tiene sopita, o nascosta, perché essere fanciulli può farci essere più vulnerabili?
Potremmo citare Giovanni Pascoli che parla del fanciullino, però è anche vero che non basta solo quello, ti faccio un altro esempio: da bambino ho avuto la fortuna di frequentare La scuola nuova che nacque a Firenze negli anni’50-’60, in cui l’espressione artistica del fanciullo veniva fatta emergere applicando studi di matematica, geometria, storia e letteratura attraverso l’uso della pittura, del segno, e questo mi ha aiutato molto, però quella non è arte. L’arte ha bisogno di altro, questo altro è dentro la conoscenza di tutto ciò che è stato fatto a livello storico-letterario-artistico, ma anche tantissima conoscenza di ciò che è la scienza, l’antropologia, la psicologia e letteratura di ogni tipo di linguaggio.
A questo punto è inevitabile la domanda: cos’è la letteratura?
È mettere in chiaro, in modo tale che chi legge possa comprendere ciò che è il mistero e la fantasia.

C’è un periodo storico-culturale che ti affascina particolarmente, e di questo ne abbiamo parlato insieme in un libro che è intitolato “Uno sguardo sul ‘900”. Perché questo interesse?
Se ricordi, siamo partiti da lontano per arrivare a parlare del ‘900, abbiamo parlato del barocco, per esempio, per arrivare a quel periodo che volevamo focalizzare in cui vi è stato un cambiamento storico che è a cavallo del ‘700-‘800. Il Novecento parte prima del ‘900, quando, alla fine dell’800, qualcosa inizia a muoversi nell’universo ed è proprio la tecnologia che dà questo movimento. La tecnologia è importantissima nell’ambito artistico, specialmente nel ‘900, ma lo è sempre stata: basta pensare alla nascita della prospettiva come teoria matematica, come concetto visivo, come lo è stata l’invenzione della stampa, o la nascita della fotografia, e tutto il meccanismo della rivoluzione industriale. Tutto questo ha dato agli artisti delle capacità diverse, delle interpretazioni diverse, è lì che nasce il ‘900. Le avanguardie arrivano un po’ dopo, ma con questo richiamo qui: coltivare attraverso dei cambiamenti tecnologici o fisici o concettuali qualcosa con cui possano interagire. Il processo è lungo e ancora deve finire.
Curatore di mostre d’arte: cosa significa?
È un ruolo strano. Ho studiato per essere un curatore, essendo anche artista, questo dà una possibilità in più. Quello che è interessante è la volontà di creare insieme agli artisti qualcosa di incisivo e alla base è metterci al tavolino e parlare. Il curatore riordina tutti gli insiemi che si sono sviluppati e crea il concetto dell’evento interagendo con gli artisti stessi e ovviamente con i luoghi in cui si svolgerà l’evento.
Cosa è fondamentale tenere presente quando si organizza una esposizione?
È l’idea, e cosa vogliamo dire in quello spazio “X” che può essere un museo, una galleria, una piazza, un bosco. Il luogo stesso ti dà indicazioni, il concetto e il pensiero ti daranno altre indicazioni, su questo si costruisce, insieme agli artisti, la mostra. Alcune volte le opere posso essere già realizzate, altre volte vengono pensate e realizzate in funzione di quella mostra.
Quanto è importante la relazione con gli artisti?
È fondamentale, non puoi chiamare un artista senza aver prima parlato di quell’idea, di quel progetto che si stabilizza su un pensiero, che non è solo quello del curatore, ma che è legato anche alla storia del luogo dove si svolgerà l’evento. Come ti dicevo prima potrebbe essere anche un bosco, o un prato, quest’ultimo è un buon esempio: in un campo si può pensare che non ci sia niente, invece non è così, e come ci rapporta con questo? Insieme agli artisti si inizia a discutere su cosa esso sia e all’interno di questo ci può essere il concetto: un fatto sociale, politico, ecologico, oppure un pensiero più fantasioso, più misterioso, più onirico. Ecco, ciò che è alla base di tutto è costruire sul pensiero originale, non è così complicato, il curatore deve avere la capacità di stare accanto agli artisti che ha invitato, il che vuol dire dialogare su tutto: pensiero, linguaggio, tecnica, materiali, sulla possibilità di interagire con gli spazi, con il “pieno” e il “vuoto”. Tutto è importante.
Quanto la tua espressività artistica è stata influenzata dagli artisti del passato, se sì, da quali?
Tutti, tutta l’arte è importante. Ciò che è fondamentale è dare vita al proprio pensiero in modo originale.
Quanto è importante l’originalità?
Non è così importante, ciò che è importante è che un’opera nasca dalla ricerca, dal pensiero e dalla conoscenza e attraverso quella specifica applicazione la rendi qualcosa di non visto, di non compreso subito, oppure è talmente così evidente che nasconde altro.
Progetti futuri…
Ampliare le pubblicazioni con la Casa Editrice, e farla veicolare nel miglior modo possibile. Considero La Vertigine di Prometeo un momento artistico. Ogni volta che concludiamo un libro è aver portato avanti un’espressione artistica. Inoltre La Vertigine di Prometeo organizza mostre ed eventi d’arte e al momento stiamo lavorando anche a un paio di questi.