Massimo Innocenti, artista, editore, critico d’arte e curatore di mostre d’arte. Nato a Prato, trascorre l’infanzia e l’adolescenza a Sesto Fiorentino, dove la famiglia si è trasferita. Frequenta le medie inferiori presso l’Istituto d’Arte di Sesto Fiorentino, dove inizia i primi studi artistici. Nel 1975 si iscrive all’Istituto d’Arte di Porta Romana a Firenze; dopo aver conseguito la maturità si iscrive all’Università di lettere e filosofia e frequenta il corso d’arte al DAMS di Bologna. Nel 1979 apre il suo primo studio a Montefiesole, nel comune di Pontassieve, dove tuttora vive e lavora. Ha insegnato alla LABA, Libera Accademia di Belle Arti di Firenze.
Massimo, l’intervista di oggi per la rubrica ChiacchierArte di Diari Toscani avrà un’impostazione diversa perchè da anni collaboriamo a progetti ed eventi artistici. Quella di oggi sarà, quindi, una conversazione, un’occasione per parlare di una passione che condividiamo entrambi. Innanzitutto, cos’è l’arte per Massimo Innocenti?
Mistero. Se si mantiene il mistero l’arte si svilupperà sempre con un linguaggio nuovo, se invece si pensa che l’arte sia un “qualcosa” di spiegabile diventa altro, sempre interessante, ma pur sempre un’altra cosa.
Si può dire che tu hai mangiato pane e arte fin dalla più tenera età…
Mio padre, Romano, era un artista nel campo dell’artigianato artistico. Aveva fatto molteplici studi e anche lui aveva frequentato l’Istituto d’Arte di Porta Romana. Negli anni ’50 iniziò a realizzare lavori in ceramica con una linea più contemporanea, partecipando alla biennale della ceramica di Faenza. Negli anni ’70 iniziò a sviluppare una linea di opere, in cui vi era un “dialogo” tra arte araba e persiana con un linguaggio fiorentino rinascimentale. Una linea che tuttora va avanti ed è conosciuta in tutto il mondo. I miei fratelli ed io, fin da piccoli, abbiamo frequentato ambienti artistici, visitando mostre e biennali, sia d’arte contemporanea che di ceramica, e visitato tantissimi musei. Sì, indubbiamente ho masticato arte da sempre.
Tu hai un legame particolarmente forte con il Mugello, anche questo arriva dalla tua famiglia?
Sì, mio padre era nato nel Mugello, a Borgo San Lorenzo, e da ragazzo aveva frequentato la Fornace Chini, nello specifico Chino Chini, cugino di Galileo Chini. La produzione di questa Fornace aveva dei connotati di modernità che ottenne numerosi riconoscimenti in occasione di manifestazioni nazionali e internazionali.
Un anno fa circa, hai realizzato un tuo desiderio: hai fondato la Casa Editrice La Vertigine di Prometeo. Quando ha preso vita questa idea, e perché?
In verità è stata una necessità che non è nata un anno fa, bensì è sorta nel 1997, dopo alcuni avvenimenti e riconoscimenti inerenti l’arte contemporanea. Quello che riscontravo in questi eventi era un linguaggio che si ripeteva, da “salotto”, e non condividevo certe scelte. Dopo una mostra importante fatta a Firenze, portata poi a Milano e a Genova, in una serie di gallerie con le quali allora collaboravo, presi la decisione di allontanarmi proprio dal quel tipo di “linguaggio” e di fondare una prima edizione con una serie di mostre e un’associazione che faceva anche edizioni. Fu proprio in quell’anno che pubblicai il mio primo libro La persuasione naturale e anche una serie di riviste.

Qual è il punto di forza de La Vertigine di Prometeo?
Per me, è sempre stato importante sviluppare il linguaggio letterario e poetico insieme all’arte visiva. Secondo me è ancora attuale, forse più oggi di ieri, c’è bisogno di far comprendere cos’è un linguaggio artistico e quanta libertà può esserci all’interno dell’arte. Ecco perché ho voluto un’altra casa editrice: questa, infatti, è la terza che ho creato in questi anni, e penso che quest’ultima sia quella più importante e con più forza perché è fatta da artisti, da letterati e da poeti che lavorano sul campo, e lavorare sul campo dà una visione un po’ diversa. Ciò che è fondamentale è dare la libertà di espressione sotto tutti gli aspetti. È un pensiero che ho iniziato a comunicare già dal 1997, sono passati 25 anni, purtroppo non ci sono stati grandi cambiamenti, fatto salvo che oggi viviamo in un sistema che si è velocizzato notevolmente e che anche una “stupidaggine” può essere promossa e pubblicizzata come un’opera d’arte.

Massimo, qui entriamo nel campo della tecnologia: non pensi che avvalersene possa essere anche un agevolare l’arte?
Non sono un passatista, amo la tecnologia, desidero conoscerla e farne uso. Quello che tengo a precisare è che non vorrei farmi usare da lei. Per non farsi usare sono quindi necessarie conoscenza e coscienza e creare un pensiero critico.
Come si forma un pensiero critico?
Portando in visione tutto ciò che è diverso, tutto ciò che ha un sistema che guidi la voglia di fare. Ti faccio un esempio: ho frequentato molte mostre in questi ultimi anni, e ne ho anche organizzate e devo dire che anch’io cado in una “retorica”, sempre più volta al passatismo qualunquistico, che vuol che c’è un’omologazione in tutti i linguaggi anche se in apparenza di denuncia, ma senza il coraggio di esprimere qualcosa che vada all’opposto, ovvero arrivare a dire anche a rischio di cadere in contraddizione.
Un concetto non facile da comprendere: un esempio?
Pochi giorni fa è morto il fotografo Oliviero Toscani, ecco di lui ho sempre ammirato, pur non condividendo certe sue scelte artistiche, le sue prese di posizione opposte alla moda. Oggi nessuno riesce ad avere questo coraggio. Ciò che lui esprimeva come vera contraddizione era quindi un vero valore. È morto a 83 anni, ed era più giovane dei giovani. Spesso i lavori di giovani artisti sono dei manifesti di una debolezza paurosa, seppure eseguiti in maniera eccelsa, tanto che posso dirti: troppo bene. Ecco perché la necessità di creare una casa editrice: dare voce ai linguaggi, anche a quelli che posso non condividere, importante è che ci sia la divulgazione delle idee.

Quanto è importante l’affiatamento con i collaboratori e che tipo di linguaggio è necessario affinché questo affiatamento ci sia?
È importante avere rapporti personali con chi si collabora: si fanno dei percorsi insieme e si condividono i progetti, oltre alle idee che non devono per forza essere uguali, anzi, avere punti di vista diversi è fondamentale. A questo credo tanto: ognuno deve avere la propria libertà di espressione e, anche se non condivido quel punto di vista, farò di tutto per trovare il confronto e un punto di unione. È così che nasce il senso critico. Diciamo che il politicamente corretto in questo caso non è proficuo. Quindi il rapporto interpersonale è fondamentale per costruire dei progetti che abbiano in sé tanti punti di vista diversi, e non solo, che raccolgano in sé un concetto.

Come prende vita un progetto?
Da un progetto poetico, o poietico, che è quello iniziale. Quello che ravviso è che spesso non c’è: molte mostre sono mancanti di questo. Quello che adesso è importante è mettere “tutto” dentro, qualsiasi cosa, qualsiasi tema va bene, importante è infilarci qualche parolina accattivante e tutto il resto va da sé. Raramente vedo la profondità.
continua…