Se qualcuno si arrampica fin sulla sommità del Ponte di Anderlino, per tracciarvi sopra un graffito invero bruttarello (e pure scritto in maniera speculare🪞), va ammirato per la sua determinazione e, al contempo, deplorato per averla impiegata male. Ma non tutto il male, si sa, vien per nuocere.
La scrittura speculare è una rudimentale forma di crittografia, ed andrebbe decifrata ponendovi davanti uno specchio. Se avete la stessa determinazione malriposta dell’autore, e volete issarvi fin lassù per farlo, accomodatevi. Io leggo benissimo anche da qui sotto, e quel che leggo non è chiarissimo, in verità :
“PICCIO FALCO” o “FALCO PICCIO”, se preferite.
Se vogliamo provare a dare un senso al tutto – siamo qui per questo -, mi rammento che, anni fa, un numero di una popolare collana di monografie dedicate agli artisti, denominata “FALCO Arts Book”, approfondiva proprio la figura di Giovanni Carnovali (anche Carnevali) detto il PICCIO, pittore romantico ed autodidatta. Uno di cui si racconta che, da ragazzino, dipinse un mazzo di chiavi sulla porta di una villa, ed in molti le presero per vere. Di lui si narra, altresì, che si sia innamorato di una ragazza, ma che, prima di dichiararsi, la sfortunata morì all’improvviso, ed egli lo seppe quando vide il funerale, rimanendo però fedele al ricordo dell’amata per tutta la vita. Di costui si dice anche che non volle più mettere piede a Montegrino Valtravaglia, provincia di Varese, suo paese natio (che pure lo onorò, dedicandogli una piazza ed un busto bronzeo), perché vi era stata costruita una strada carrozzabile che, a suo avviso, rovinava il paesaggio che egli aveva molte volte dipinto.
E fece sensazione anche quando morì, il 5 luglio 1873, per un malore, mentre stava nuotando nel Po presso Coltaro nel Parmense. La leggenda popolare racconta che il Piccio era solito, d’estate, bagnarsi nel Po, avendo prima adagiato i suoi vestiti in un grosso ombrello da carrettiere, che, capovolto, galleggiava sull’acqua. Il pittore affidava dunque l’ombrello e sè stesso alle correnti del fiume. Pare che il giorno della sua morte sia stato ritrovato subito il suo ombrello, ma non il suo corpo.
Prima di questa sua incredibile fine, si chiacchiera di un suo ultimo viaggio al paese d’origine, per rivedere i suoi parenti. Dopo aver percorso parecchie miglia a piedi, giunse a destinazione in piena notte. Vide che la casa dei suoi era illuminata e si avvicinò riconoscendo le voci dei suoi famigliari Diede un’occhiata dalla finestra e, dopo aver appurato che tutti stavano bene ed erano sereni, ritornò da dove era venuto. A conti fatti, un ganzo, che, pertanto, meritava di essere citato anche dalle nostre parti, in maniera non banale. Se poi aggiungiamo pure che, per le sue doti innate di pittore, egli fu accolto, a soli 11 anni, presso la prestigiosissima Accademia Carrara di Bergamo, la liaison è completa.
Se invece l’autore del graffito intendeva, con la sua performance, esprimere altro, sarò lieto di ricevere la sua smentita😄.