foto di Silvia Meacci
Pellegrino Artusi lo inserì nel suo ricettario come “tramesso”, pietanza di passaggio tra portate salate e dolci. Si tratta di una torta di farina di castagne, toscana ma anche diffusa in altre regioni appenniniche e perfino in Corsica. Nella Piana Fiorentina è chiamato “migliaccio” o “ghirighio“, in Lunigiana esiste la versione sottile, la “pattona” o “castignia” , di sicuro il castagnaccio è considerato un PAT, un prodotto agroalimentare tradizionale di Toscana, Emilia-Romagna, Liguria, Piemonte e Lazio, perché la lavorazione, la conservazione e la stagionatura della farina sono omogenee nel territorio e ormai consolidate nel tempo. Può contenere l’uvetta, ma mio padre, era lui a deliziarci con il castagnccio, non ce la metteva mai. Da bambina mi piaceva osservarlo in cucina nelle giornate fredde e uggiose. Era bello vedere gli ingredienti trasformarsi sotto le sue mani. Per prima cosa lavava e lasciava ad asciugare gli aghi di rosmarino per il tocco finale. Poi schiacciava con pazienza noci e pinoli che avrebbe aggiunto al composto. Prima di diluire la farina con l’acqua, la setacciava lentamente perché tendeva a formare delle palline aggrumate. Una volta ottenuto un composto né troppo fluido, né troppo denso, lo salava generosamente. Il sale a mio avviso è fondamentale per esaltare la dolcezza naturale e innata delle castagne. Poi lo versava nello stampo. Amavo osservare il filo d’olio d’oliva che lasciava colare sulla superficie a mo’ di reticolo che, però, si scomponeva in rivoli ribelli.
Una volta cotto, il castagnaccio avrebbe assunto quell’aspetto di terra crepata, simile al fondo del Lago di Suviana, che, una volta, avevo visto secco e prosciugato. Difficilmente mangio un buon castagnaccio a Firenze. Le zone d’origine sono più montane: la Lunigiana, Pistoia. L’inventore pare sia stato Pilade da Lucca: “il primo che facesse castagnazzi e di questo ne riportò loda”. Così si legge sul “Commentario delle più notabili et monstruose cose d’Italia e di altri luoghi” di Ortensio Landi. In passato la farina di castagne costituiva fonte di nutrimento per i più poveri. Si preparava sorattutto la polenta, ma anche i necci, “crespelle” fatte con degli stampi di ferro, i testi, e poi servite impilate tra foglie di castagno. Ottime anche le frittelline, fatte con la stessa miscela del castagnaccio, ma senza noci o pinoli. Il disciplinare prevede che la farina DOP del nuovo raccolto possa essere messa in commercio solo dopo il 15 novembre. La farina della mia infanzia è quella della montagna pistoiese, color nocciola e con un profumo di tostatura. Da piccola ero fortunata perché mio padre mi allungava sempre qualche pallina compatta di farina dolce. Messe in bocca perdevano la forma, si sgretolavano e si appiccicavano al palato. Che sapore delizioso avevano!
