Il Pelato è una modesta vetta di 1330 metri posta fra il Passo dell’Angiola, altrimenti detto Foce del Fratino, e la Focetta del Palazzolo per poi proseguire sul crinale che, scendendo dal Monte Altissimo arriva al Passo del Vestito e da lì verso la sommità del monte Macina. Deve il nome al fatto che le sue pendici e la cresta arrotondata sono completamente prive di alberi; sembra quindi una vetta priva di particolari interessi ma da lassù si gode un panorama a 360 gradi su tutto l’arco delle Apuane settentrionali e meridionali per cui vale senz’altro la pena di andare.
D’altronde sono solo cinque chilometri con circa trecento metri di dislivello e tre orette di cammino soste comprese. Partiamo quindi da Massa: piove leggermente, e dopo quaranta minuti superiamo la galleria del Vestito, che in effetti passa sotto il Pelato, alla cui uscita troviamo il sereno; sulla sinistra c’è un bel parcheggio dal quale parte una via di cava, che seguiremo. Questa porta all’inizio dei sentieri CAI n° 150, che prosegue per lo Schienale dell’Asino, monte Macina e passo Sella, ed il n° 141 per il Passo del Vestito che scende verso la valle di Renara. Oggi il parcheggio è pieno, sono le auto dei fungaioli che dalle prime luci dell’alba sono alla ricerca nelle faggete circostanti dei preziosi porcini. Mentre ci prepariamo alla partenza alcuni di essi rientrano chi con la gerla vuota ed il volto deluso e chi invece ha avuto fortuna ed è raggiante.
Bene, partiamo; oggi sono con mia figlia e Giovanni oltre, ben s’intende, al cane Pluto, che ormai non ci lascia più, ed all’inizio dei due sentieri incontriamo una coppia, Alessia e Riccardo, indecisa su che percorso fare per andare sul Pelato. Alessia guarda Pluto con un certo timore ma dopo che l’abbiamo rassicurata gli fa una carezza che lui sembra gradire, da quel momento sono amici.
Fatte le presentazioni del caso decidiamo di salire assieme e così ci incamminiamo sul 141; pochi metri prima del Passo prendiamo una deviazione sulla sinistra, che altro non è che la vecchia via di lizza usata per calare i blocchi di marmo dalla Focetta e dalla cava della Questione. Attraversiamo un’abetaia e, neanche a farlo apposta, ecco che fra il paleo fanno capolino alcuni funghi “laricini”; a questo punto che si fa: continuiamo a salire o cerchiamo funghi?
Via, non scherziamo, si prosegue senz’altro indugio. Ora la via di lizza si fa particolarmente ripida per proseguire poi a margine del ravaneto della cava sovrastante.
Attimo di panico: Giovanni, più in alto, lancia un grido d’avvertimento: alzo gli occhi e vedo una grossa pietra che sta rotolando a grandi balzi verso di noi che saliamo in fila indiana; siamo fortunati, ci passa ad un paio di metri di distanza; restiamo lì impalati guardandoci in faccia. Oggi è andata bene, perché non avremmo avuto il tempo di far nulla per evitarla. Proseguiamo ed in pochi minuti eccoci alla Focetta del Palazzolo, una vecchia cava abbandonata dal cui piazzale lo sguardo si estende fino al mare. Ora pieghiamo a sinistra e per proseguire dobbiamo attraversare un lungo costone con forte pendenza su una traccia appena accennata; è un alternarsi di paleo e rocce lisce sulle quali fortunatamente ogni tanto, nei punti più esposti, troviamo dei punti scavati a mano sui quali appoggiare il piede; un cammino attrezzato con una fune sarebbe quanto mai opportuno.
Procediamo in silenzio attenti ad ogni passo e finalmente arriviamo ad un poteau (pottò in dialetto locale) posto ben sopra ad una cava; il sentiero, si fa per dire, serviva ai “filisti” per armare il filo elicoidale un tempo usato per tagliare i blocchi dalla montagna; e meno male che doveva trattarsi di una passeggiata! L’unico a suo agio sembra essere Pluto che scorrazza avanti e indietro quasi fosse una capretta.
Da qui in avanti si ricomincia a salire fra paleo e sfasciumi di roccia ma senza più alcun pericolo; arriviamo finalmente sul crinale a quota 1325. Beh, lasciatemelo dire, c’è un panorama che, nonostante un po’ di nuvolaglia, ci ripaga abbondantemente del difficile cammino.
Il mare ad ovest e, risalendo verso nord, il monte Sagro, il Grondilice, il Contrario, il Cavallo, la Tambura e sotto la vallata di Renara dalla quale sale la monorotaia Denham fino alle cave Gruzze del monte Sella e poi il Macina, il Fiocca, dietro al quale spunta la sommità del Sumbra e ancora la valle del Turrite, la Pania Secca, il Freddone, il Pizzo delle Saette, la Pania della Croce, il Corchia e più a sud, proprio davanti a noi, l’Altissimo. Ma si può desiderare altro?
Breve sosta per rifocillarci, anche Pluto sgranocchia le sue crocchette, mentre facciamo conoscenza con i nuovi amici d’avventura. Riprendiamo il cammino che ora prosegue tutto in cresta, sempre su traccia appena accennata, in saliscendi continuo fino alla vetta vera e propria a quota 1330. Avanti ancora superando una vecchia trincea della Linea Gotica e finalmente scendiamo fino alla Foce del Fratino così chiamata per una roccia che sembra una figura in atto di preghiera. Imbocchiamo ora sulla sinistra il bel sentiero CAI n 156 che, in quaranta minuti, ci porta alla strada asfaltata presso il ristorante le Gobbie; risaliamo lungo strada per mezzo chilometro ed eccoci alla macchina mentre comincia una leggera pioggia.Torniamo a casa? Ma nemmeno per idea!
Risaliamo anzi verso il Passo del Vestito e ci inoltriamo di nuovo nell’abetaia dove all’andata avevamo trovato i funghi laricini; in poco tempo ne raccogliamo una trentina poi la pioggia, che si fa sempre più intensa, ci costringe a desistere.
Ora non resta che rientrare; proponiamo ai nuovi amici, che accettano con piacere, di venire con noi a bere una birra e così dopo un’oretta eccoci a casa a consumare la nostra ormai tradizionale “marenda sinoira”, a base di acciughe prima, di pecorino sardo poi accompagnato da miele di spiaggia, con il suo inconfondibile aroma di elicriso e noci fresche appena raccolte dall’albero nel giardino.
La parte più bella della giornata? L’incontro con i nuovi amici con i quali ci proponiamo di trascorrere altre avventure sulle meravigliose Apuane.
Aveva ragione il poeta irlandese William Butler Yeats quando diceva” Il mondo non è fatto di sconosciuti ma di amici che dobbiamo ancora incontrare”.