Già, oggi primo ottobre compio ottant’anni… mamma mia se ne è passato del tempo! Però questo giorno, per me bambino, non è mai stato un granché per due ragioni: la prima, perché finivano le vacanze e ricominciava la scuola e la seconda, perché non c’è mai stata una volta, dico una, che i regali che ricevevo non fossero quaderni, matite cannucce e pennini vari. Le penne a sfera sarebbero venute più tardi.

Oggi invece ho ricevuto un bel regalo dalle mie ragazze e, a corollario di questo, mi viene proposta una camminata sul molo del porto di Marina di Carrara.

“Vedrai ti piacerà” mi dicono ed allora andiamo, mi scopro improvvisamente desideroso di tornare a passeggiare, dopo tanti anni, su quel molo che ho visto praticamente nascere.

Si perché i miei ricordi risalgono alla fine degli anni quaranta quando per andare a Marina da Carrara si prendeva la Tramvia Elettrica Carrara Marina Estensioni (TECME), il tram, insomma, inaugurato nel 1915 e sostituito nel 1955 dai più moderni, ma meno romantici filobus, che da piazza Farini, oggi piazza Matteotti (ma ancora così chiamata da molti carrarini), ci portava, sferragliando, in piazza Gino Menconi a Marina.

Da lì si andava a piedi proprio dove anni dopo è stata eretta la statua del Buscaiol in onore degli scaricatori del porto, così chiamati perché percepivano per il loro massacrante lavoro una misera paga ossia la “busca” ; proprio lì davanti c’era quella che noi chiamavamo la spiaggetta, un piccolo lembo di sabbia fra gli scogli accarezzato da un mare cristallino come non si sarebbe mai più visto.

Mentre con mio fratello andavamo a caccia di granchi fra gli scogli che la delimitavano, ogni tanto volgevo lo sguardo verso il largo e rimanevo incantato a guardare i camion che, risalendo il molo di ponente, potavano il materiale per la costruzione della diga foranea, dopo che grosse chiatte provenienti da Punta Bianca avevano scaricato a mare gli enormi scogli che dovevano servire da base della diga.

Proprio da quegli scogli avvenne, anni dopo, il mio battesimo del mare. Premetto che non solo non sapevo nuotare, ma anche che nell’acqua non mi sono mai sentito a mio agio. Infatti quando dalla spiaggia si decideva di andare sul molo per fare i tuffi tutti si buttavano allegramente mentre io rimanevo abbarbicato ad uno scoglio, accontentandomi degli spruzzi delle onde, finché un giorno, non potendo più resistere alla vista degli amici che si tuffavano felici, decisi: “Ora mi tuffo anch’io: o la va o la spacca” e , preso il coraggio a due mani, mi buttai. Sorvolerò sulla panciata che diedi però, perbacco, riuscivo a galleggiare e così, felice, risalii sullo scoglio e giù di nuovo in acqua fra gli applausi dei compagni. Come dimenticare quando, ormai più grandi, si andava con la pila o con le lampade ad acetilene, nelle notti estive senza luna, a pescare i gamberi fra gli scogli della diga; il giorno dopo, a casa, certe fritture!

A quel tempo la diga foranea terminava alla statua della madonnina dono della famiglia Gregori poi, successivamente, iniziarono i lavori per il suo prolungamento fino al faro d’ingresso del porto ed alla nuova e più grande statua della Madonna.

Fu costruita anche una grande idrovora con lo scopo di asportare la sabbia in eccesso per il ripascimento della spiaggia di Marina di Massa minacciata dall’erosione; mai opera fu più sconclusionata ed inutile tanto da essere ben presto abbandonata.

Lo scheletro dell’idrovora rimase lì inutilizzato a far brutta mostra di sé per vari anni finché nel 1978 una nave spagnola, con gli ormeggi strappati da una furiosa mareggiata, ci finì sopra danneggiandolo definitivamente; con la rimozione del relitto avvenne anche la demolizione totale di quell’inutile impianto.

La passeggiata sul molo comunque era un momento di puro relax a respirare l’aria salmastra ed a godere dei tramonti con una vista che spaziava da Viareggio fino a Punta Bianca e più avanti alle isole del Tino e della Palmaria; dietro lo spettacolo delle Apuane che si tingevano di rosa.

Per far questo ci si arrampicava sul muraglione della diga largo non più di un paio i metri cercando di evitare, con il mare mosso, gli spruzzi delle onde che talvolta lo scavalcavano; poi avvenne la disgrazia: una bambina cadde dal muro sulla banchina sottostante e perse la vita. Da allora fu proibito di fare quel percorso, divieto non sempre rispettato, e ci si dovette accontentare della passeggiata più in basso un po’ più triste in quanto inibiva la vista del mare aperto.

Erano anni che non tornavo ed ora con mia grande sorpresa trovo tutto cambiato: l’ingresso al molo è uno spettacolo, con una larga passeggiata ricca di marmi al cui inizio campeggia un monumento dedicato agli uomini di mare che hanno portato il nostro marmo in ogni parte del mondo; sulla destra il magnifico arenile che si spinge fino alla foce della Magra. Nell’acqua bassa delle secche di questo mare un tempo ero solito raccogliere secchiate di telline, i calcinelli, grosse come mandorle.

Il molo, largo, bello, ben pavimentato, il cui frangiflutti è ora ricoperto di candidi blocchi informi del nostro marmo, è ricco di posti di sosta e sale dolcemente fino ad incontrare una grande piazzola circolare che dà l’impressione di essere sulla tolda di una nave; da qui si diparte la diga foranea vera e propria ora diventata un grande ed ampio rettifilo, anch’esso pavimentato, dotato d’illuminazione con belle panchine e protetto su entrambi i lati da ringhiere in acciaio inossidabile del tutto somiglianti ai tientibene dei grossi natanti.

Compio i seicento metri che mi separano dal faro senza accorgermene ancora incantato dal panorama che nel tempo non è affatto cambiato, ma che ora si può godere in tutta sicurezza, senza dover percorrere lo stretto muro di ruvido cemento privo di qualsiasi protezione.

Nonostante sia ormai prossimo l’imbrunire e minacci di piovere, la passeggiata è frequentata da decine di persone di tutte le età, che vengono qui a godersi questa meraviglia.Che altro dire, se non che tutto ciò mi fa sentire bene, ammirato ed orgoglioso per quest’opera che la mia città natale, Carrara, ha voluto e saputo portare a compimento.