sesta puntata
Nel silenzio, adesso, si sentivano solo i loro respiri. Non erano altro che impercettibili spostamenti d’aria che uscivano in modo asincrono dalle loro narici, eppure sembravano generare un rumore infernale, che le avrebbe fatte scoprire, pensava Joo. Ma i soldati, con le loro urla e i fasci di luce delle torce che danzavano istericamente sulla vegetazione, se n’erano andati. O così sembrava. Forse avevano desistito davvero, o forse stavano solo aspettando che le due donne uscissero di nuovo allo scoperto. Il panico di sua zia era tangibile. Joo, invece, era calma e attendeva solo il momento giusto per riprendere il cammino. Qualche ora prima, una volta trovato un nascondiglio, aveva tirato fuori un piccolo vaporizzatore. <Spruzzatelo addosso zia> le aveva intimato sottovoce, e subito dopo: < È varichina, serve per confondere i cani>. Joo sapeva che il momento migliore per uscire era l’alba, al cambio di turno. Tra le fitte chiome degli alberi s’intravede il grigio delle nuvole che anche per oggi copriranno il cielo. <Andiamo>.
Alzarsi è una sofferenza. I loro corpi sono intorpiditi dalla lunga immobilità e dal freddo intensissimo di quella notte orribile, in cui nessuna delle due ha chiuso occhio. La stanchezza che grava sui loro corpi è già enorme, ma la strada da fare prima del rendez-vous che darà inizio all’attraversamento del paese in clandestinità, è ancora lunga, e quindi bisogna muoversi in fretta. Ci vogliono quasi dieci minuti per tornare ad un’accettabile efficienza muscolare. Poi Joo accende il cellulare ricevuto dalla rete di supporto, e riprendono il cammino mangiando lentamente due merendine. Sullo schermo appare per qualche secondo una mappa con una linea azzurra. È il percorso alternativo che dovranno seguire. Era previsto che se fosse stato necessario dividersi, un gruppo avrebbe continuato per il sentiero più breve, tracciato in verde, mentre l’altro avrebbe intrapreso quello azzurro, che si allargava per poi ricongiungersi al verde in un punto contrassegnato con un pallino rosso animato che pulsava. Anche la divisione in due gruppi di fuga era stata programmata con cura. Da una parte Joo con la zia, giovane e tonica, maggiormente adatte ad affrontare un percorso più lungo e difficile. Dall’altra la madre, più anziana, con due ragazzine al seguito, che avrebbero potuto sembrare entrambe sue figlie, per innescare sentimenti di compassione in caso di contatto con qualcuno del posto, ed evitare, così, la denuncia alle autorità che le aveva fregate l’altra volta.Joo non sa niente della madre e della sorella. Potrebbero essere già state catturate o addirittura uccise. Ma mentre spegne il telefono e se lo rimette in tasca, si sorprende a non pensare a loro. Per loro è tutto facile.
Amici e parenti tendono sempre a minimizzare le questioni di cuore altrui, soprattutto quando sei ancora molto giovane e la storia per la quale stai soffrendo come un cane, non è durata così tanto. “Dai, che vuoi che sia: il mondo è pieno di belle ragazze che ti stanno aspettando” oppure “Chiodo schiaccia chiodo”, e altre simili perle di saggezza popolare. Hyeok ci stava male. E parecchio, anche. A volte era la dolcezza di Joo che gli mancava da togliere il fiato, a volte il fatto che lei gli aveva nascosto tutto, a volte l’invidia per il suo coraggio, a volte la frustrazione per non poter raccontare questa storia a nessuno, a volte erano tutte queste cose insieme, e altre volte era qualcos’altro che, però, non riusciva a descrivere. Tornato dal viaggio al nord con delle risposte che superavano ogni sua immaginazione, a Kyeok non era rimasto altro che il lavoro. Per sopravvivere a questo enorme peso sul cuore, si dedicava alla sua attività di assistenza e consulenza con tutto se stesso. Per Hyeok non c’erano domeniche, non c’erano ferie, non c’erano pause: quando il cliente chiamava, Hyeok era sempre disponibile.
Poi, nel 2019, arriva un messaggio. Solo un messaggio. L’intermediario era stato chiaro: una volta arrivate al punto prestabilito, avrebbero dovuto mandare un breve messaggio all’unico numero presente sui due cellulari che erano stati dati loro prima della partenza, e poi nascondersi in quella casa di pescatori abbandonata e semidistrutta che sorgeva sulla riva, e aspettare. Era semplice. Ma per due fuggitive, con le guardie di frontiera cinesi alle calcagna, distrutte dalla fatiche, affamate ed impaurite, non c’è niente di facile. Dopo aver digitato, con tutta la perizia del mondo, le tre parole stabilite “Ci vediamo domani”, Joo ha un attimo di esitazione e l’indice si ferma, leggermente tremante, sul tasto “Invia”. Il timore di fare qualcosa di sbagliato è ingiustificato, naturalmente, ma Joo ha paura lo stesso. Per cui si prende ancora qualche secondo di pausa, fa un bel respiro e poi invia il messaggio. L’uomo arriva all’incirca due ore più tardi. Esattamente come si vede nei film, l’incontro avviene dopo lo scambio della parola d’ordine concordata. La notte appartiene ai sogni…ma l’alba a volte se li porta via…
Joo e la zia escono allo scoperto. Sebbene subornati e obnubilati dalla costante propaganda anti occidentale, ma soprattutto anti americana, qualche paradigma culturale propalato dall’imponente macchina dell’entertainment statunitense si era installato anche in Corea del Nord, soprattutto tra i giovani. È per questo che, inconsciamente, la suggestione che il primo contatto avesse l’aspetto e la dinamicità del Tom Cruise di Mission Impossible, o del Daniel Craig degli ultimi 007, aveva pervaso le aspettative di Joo. Ma l’uomo che li aspetta e a cui affidano le loro vite, non ha proprio niente della spia. Semmai, tutto il contrario. La sua fisicità richiama più quella di un contadino che lavora in una risaia da quanto è nato, che quella di un aitante e fascinoso funzionario operativo dei servizio segreti. Gli abiti sono sporchi e logori all’altezza dei gomiti e delle ginocchia. Barba incolta e dentatura con qualche spazio vuoto di troppo, suggellano un impatto deludente, che fomenta presagi nefasti. Perché quando ci si trova in condizioni di estrema fragilità e insicurezza, qualunque particolare dissonante dalla propria idea di come dovrebbero essere le cose di contorno all’evento imminente, non fa altro che aumentare la nostra ansia, e instilla uno strisciante scetticismo di natura prettamente superstiziosa, sulla buona riuscita dello stesso. Fortunatamente la loro guida è un uomo esperto. Non è la prima volta che coglie quel velo di delusione negli occhi smarriti dei fuggitivi, e non sarà nemmeno l’ultima. Col tempo ha imparato ad usare questa circostanza per rompere il ghiaccio e assicurarsi la loro fiducia. La battuta, più o meno sempre la solita, funziona tutte le volte. L’uomo si avvicina leggermente all’orecchio di Joo: <Lo so, sono tale e quale Tom Cruise, me lo dicono tutti – dice, fingendo un sospiro di rassegnazione. Ha capito che è lei l’asse portante di quella fuga. L’altra donna è solo al seguito. A quella battuta, Joo accenna un sorriso imbarazzato e abbassa la testa, ammettendo implicitamente la frivolezza di cui si è macchiata; ma, allo stesso tempo, il suo è un gesto dolce, specchio di un’indole umile e altruista. Un buon segno, pensa l’uomo. Persino lì, in mezzo al nulla, a migliaia di chilometri dalla meta, accompagnati da poche certezze e moltissime incognite, c’è spazio per una scintilla d’umanità: un semplice sorriso, un esile momento di allegria, che però ha la forza di creare un legame, e quindi la speranza, travestita da certezza, che andrà tutto bene.
continua…