Diari Toscani incontra l’artista Tannaz Laiji, nata a Teheran, da oltre venti anni vive a Firenze. Docente alla LABA, Libera Accademia di Belle Arti di Firenze, è anche professoressa ricercatrice per la scienza di neurologia per il Parkinson, e insegna arteterapia ai malati di Parkinson per la Fondazione Fresco Parkinson. Nel 2019 era presente con una sua opera alla Biennale di Venezia, sempre nello stesso anno, ha ricevuto il Premo Artista di Firenze, oltre ai numerosi riconoscimenti avuti, nel corso della sua carriera artistica, in Italia e all’estero. Alcune sue opere sono installazioni fisse a Pisa fra queste “La barca di Caronte” a Marina di Pisa, in Piazza Gorgona e “Vortice infernale” che, dopo un’esposizione temporanea nella Chiesa di Santa Maria alla Spina, è permanente nella Biblioteca Comunale.
Professoressa Laiji, lei è una figlia d’arte…
Sì, indubbiamente, i miei genitori sono pittori, mio padre è anche insegnante. Il mio bisnonno materno era musicista e suo figlio, il mio nonno, era pittore, entrambi sono citati in Iran in alcuni libri di storia dell’arte. Nel ramo paterno il mio bisnonno era un poeta famoso e alcuni miei zii erano poeti, scrittori e traduttori.
Cos’è l’arte per lei?
Sono nata e vissuta in un ambiente in cui si respirava arte quotidianamente: per me è vita, è il quotidiano, come mangiare e dormire. Osservare e guardare è già arte, parlavo di questo proprio oggi con i miei allievi. Mentre eravamo a lezione è arrivato un rumore dall’esterno, curiosando fuori dalla finestra, abbiamo visto un uomo che usava un soffiatore per spostare le foglie. Ecco quella macchina è stata creata da un artista: il design, come è stata progettata, lo scopo per quell’utilizzo. Tutto è un condensato di arte, senza arte non avremmo tutto ciò che ci circonda e che fa parte della nostra vita. L’arte nasce da un’immaginazione.
Professoressa, a quanti anni ha incominciato a dipingere?
Non ricordo, i miei giocattoli erano colori e matite, perciò sono stati sempre presenti nella mia vita. Poi c’è stato il momento in cui sono entrata al Liceo Artistico e da lì quella è stata la mia strada.
Nel suo studio, nella sua abitazione, nello stesso suo abbigliamento è presente sempre tanto colore… qual è il suo rapporto con il colore?
Potrei mangiare tutti i colori! Mi nutro di colori.
Quali sono i suoi soggetti preferiti e perché?
La natura: alberi, fiori, cielo, nuvole. Se non ho questo rapporto con la natura tutti i giorni vivo male, questo credo sia dovuto al luogo dove sono nata e cresciuta fino ai vent’anni. Teheran è una grande metropoli, piena di traffico, inquinamento, tutto è grigio. Quando sono arrivata in Italia ho percepito la potenza e la bellezza della natura, di quanto essa sia importante nel percorso della vita. Già il poterla osservare è importante, meglio poterci vivere immersi. Vivere in Toscana è una grande fortuna, perché questo è un territorio ricco di bellezza e riconosco che, da quando vivo qui, sono cambiata caratterialmente, in meglio.
Questa sua carica emotiva non solo la esprime nei suoi dipinti, ma anche attraverso altre forme d’arte, siano esse installazioni o performance. Qual è la differenza, se c’è, fra questi due linguaggi artistici?
Parliamo di “spazio” in entrambi i casi, e, in questo spazio si crea un’atmosfera multisensoriale per stimolare diversi sensi che andranno a trasmettere un qualcosa di importante in chi fruisce, quindi non verrà stimolata solo la vista, ma anche la pelle, avvertendo il freddo o il caldo che può arrivare dalla luce, dal sole; oppure che andranno ad allertare e stimolare l’olfatto con un odore, un profumo o l’udito con il suono dell’acqua. È ciò che ho fatto, per esempio, nell’installazione a Sala d’Arme in Palazzo Vecchio: ho portato i visitatori in un luogo che io ho denominato “Giardino persiano”. Nelle performance c’è un elemento in più: l’artista è presente dentro di essa, l’artista è coinvolto in prima persona, in alcuni casi insieme ad altri. Nella performance c’è il fattore movimento, inoltre la performance ha una durata limitata, ha un inizio e una fine, può essere anche un attimo che rimane nella mente come una foto scattata per fermare quel momento. Non c’è un limite ben definito, dipende da quello che sta succedendo e dal messaggio che l’artista vuol trasmettere, non potrà mai avere tempi troppo lunghi, altrimenti diventerebbe una rappresentazione teatrale. Un’installazione, lo dice la parola stessa, resta a disposizione di chi vuole osservare, e può essere temporanea o permanente.
Quanto la cultura persiana influenza la sua espressività artistica?
Totalmente. Sono persiana e quindi, pur vivendo in Italia e avendo fatto di questa il mio paese adottivo, sono nata e cresciuta in Persia e, come la scienza insegna, i primi anni di vita sono quelli che ti formano. Sei fatta di quel pane che hai mangiato, di quel sole, di quella terra, di quella cultura e di quella famiglia nella quale sei cresciuta, potrei fare un paragone con l’argilla: una volta che l’hai plasmata e cotta non potrai modificarla, per cambiarla dovresti romperla. Indubbiamente vivere in Italia da tanti anni ha contribuito a fare di me la donna che oggi sono, perciò, pur restando persiana ho mangiato, respirato e goduto del sole dell’Italia, ho imparato a parlare e a comunicare in italiano e anche questo è un fatto artistico. Riuscire a trasformare noi stessi, dentro qualsiasi condizione si presenti, arricchisce. Se questo non avviene c’è sofferenza, con il rischio di fare danni nell’ambiente in cui si vive e nella società.
Quanto l’arte aiuta a conoscere se stessi?
Sto facendo molti corsi di arteterapia, e per fare questo bisogna conoscere, avere tutte le informazioni possibili per capire come agire per dare un beneficio ai malati, un aiuto. So per certo, che la conoscenza influenza fortemente e a volte mette anche in difficoltà perché vivi male, soffri di più. Credo che chi non è artista viva meglio rispetto a chi è artista. Gli artisti hanno una maggiore percezione della sofferenza, una sensibilità particolarmente sviluppata, sono più delicati e talvolta questo modo di essere mette in difficoltà, tanto che in alcuni momenti diventa di difficile gestione, almeno così è per me. Insomma, per chi vive “dentro l’arte” non è facile anche perché osserva da punti di vista diversi rispetto ad altri. Non a caso c’è il detto che gli artisti vivono sulle nuvole, forse perché hanno una visione più “alta” e vedono più lontano. Qualche volta questo porta a vivere il quotidiano in maniera più complicata.
Dipinge mai con la musica?
Raramente, perché mentre dipingo può portarmi a cambiare completamente l’immagine che sto creando. La musica può trasformare il mio stato d’animo e invece io voglio che su quella tela venga fuori l’essenza di me: quello che sto provando in quel preciso momento, senza che venga alterato dalla forza della musica. Diverso è se stai facendo una performance, in quel caso scegli quale suono ti può aiutare per far uscire il meglio da quello che stai facendo e la potenza della musica in quel momento è efficace.
L’arte si insegna?
Sì, qualsiasi cosa si voglia fare nella vita, se abbiamo le informazioni e la conoscenza, possiamo gestire tutte le situazioni, così è anche per l’arte. Chi diventa un artista ha un qualcosa in più, ha fatto un percorso più specifico, ma anche coloro che non diventeranno artisti, se educati all’arte, fin da piccoli, impareranno a riconoscere la bellezza e la potenza dell’arte. Una grande responsabilità è quella dei genitori. Un esempio: se in casa si ascolta musica che viene trasmessa alla radio, dove di stazione in stazione sono sempre i soliti brani che vengono passati, e dove sei obbligato ad ascoltare solo quel genere di musica, come fai ad avere una maggiore sensibilità senza cercare, conoscere, studiare?
Rimanendo in tema, lei è una docente, quanto sente la responsabilità nei confronti dei suoi allievi?
Tantissimo: l’insegnamento per me è un modo di vivere. Oggi, per me, è più semplice. In passato era una ricerca costante per capire come trasmettere la mia conoscenza. Talvolta mi sono trovata a non avere la risposta per quel tipo di domanda che un allievo mi faceva e allora mettevo l’argomento in sospeso per poter andare a studiare, approfondire, a fare ricerche per poi riprendere da dove avevo interrotto. Tutto questo vuol dire responsabilità, impegnarsi e soprattutto non dire mai niente a caso. Quando si danno delle risposte, si deve esser certi di aver approfondito un argomento al fine di dare la risposta giusta. Negli anni sono cresciuta anch’io con i miei allievi.
Sogno nel cassetto
Da quando avevo 16-18 anni il mio sogno era dipingere con un mio stile.
Questo cassetto si sta aprendo?
È molto difficile…ma continuo a crederci.
Progetti futuri
Un progetto grande: un’installazione all’Ospedale di Careggi, a Firenze, che sarà permanente e comprenderà spazio interno ed esterno nella piazzetta. L’altro è un progetto all’aeroporto Malpensa di Milano. E poi altri progetti legati sempre all’arte.