Diari Toscani incontra il pittore Bert van Zelm, nato ad Amsterdam, città nella quale ha studiato al Gerrit Rietveld Academie e contemporaneamente al Rijksakademie. Dopo aver vinto una borsa di studio ha frequentato l’Accademia di Belle Arti di Firenze. Al termine dell’esperienza fiorentina è rientrato ad Amsterdam per dieci anni, dopodiché ha vissuto per un breve periodo a New York. Tornato nuovamente in Olanda per un periodo relativamente lungo si è infine trasferito in Spagna, a Barcellona, dove vive attualmente.
Maestro, lei è nato ad Amsterdam, ha vissuto tre anni a Firenze, per un periodo a New York e adesso vive in Spagna, a Barcellona. Quanto, vivere in più parti del mondo, ha influito sulla sua espressività artistica?
Vorrei che mi chiamasse per nome: Bert, sono nato e cresciuto ad Amsterdam dove solitamente si dà del tu, quindi mi chiami per nome. Torniamo alla sua domanda: dunque, più che altro trovo una cosa molto buona vivere in altri paesi, almeno per un anno. Quando sono partito da Amsterdam, per me, il mondo era fatto in quella maniera, invece, quando sono arrivato in Italia, ho scoperto che il mondo è fatto anche di altre realtà e che il mio mondo non era l’unica verità.
Cos’è l’arte per lei?
Respirare: sono un drogato. Se non dipingo, divento insopportabile, infatti non faccio mai vacanze oltre i dieci giorni perché sento impellente il bisogno di mettermi a lavorare.
La libertà è un bene prezioso, purtroppo ci sono situazioni in cui questa viene limitata, è così anche per l’arte?
Sono un artista, non sono attore, non sono musicista, sono un pittore e ciò significa che ho la possibilità di esprimermi senza limiti. Nelle relazioni con gli altri posso anche sembrare una persona simpatica, socievole, resta però il fatto che, fra me e l’altro, metto il quadro che è l’ultima verità mia. Quando ti confronti con un’altra persona devi comportarti bene, mentre con la pittura puoi fare quello che vuoi: quella è la mia libertà, e non lede la libertà altrui.
Il dubbio può influenzare un artista? Se sì, in maniera positiva o negativa?
Ci sono molti quadri miei che sono il risultato di tutti i miei errori corretti, per cui è necessario fare gli errori più tremendi e poi correggerli. Bisogna rischiare per poi correggere il “fallimento”. Sto facendo un quadro Fiesta numero 3:oggi ho finito di dipingerlo, dopo averci lavorato per molto, almeno alcuni mesi, è un disastro totale, ho corretto, corretto e corretto, ora forse ho finito. Adesso non lo guarderò minimo per una settimana, dopodiché deciderò se cambiarlo nuovamente oppure no. In confidenza: posso dirle che forse sto capendo un po’ cos’è la mia pittura.
Necessita di farlo decantare?
Quando dipingo sullo stesso quadro, a un certo punto, accetto gli errori, se non lo guardo per una o due settimane, allora riesco a vedere dove devo rimettere le mani.
C’è una corrente artistica che ha segnato la sua tecnica pittorica?
Quando vedo un quadro che mi piace voglio fare la stessa cosa, per esempio nello studio ho una pila di libri dei grandi Maestri: Rembrandt, Goya, Munch, Turner, giusto per citarne alcuni, potrei continuare ancora. Noi artisti siamo dei ladri, dobbiamo rubare da tutte le parti, quello è imparare. Come si chiama quell’uccello che ruba le cose che brillano?
Gazza ladra!
Ecco! Io sono una gazza ladra, e mi piacciono i colori che brillano.
Lei si affeziona alle sue opere?
A lungo no. Le mie opere devono andare via, così faccio spazio per altre che saranno ancora più forti, più potenti, spero. È come un viaggio: si deve viaggiare leggeri, con poco bagaglio, altrimenti che fatica!
Bert, potremmo dire che è come restare ancorati al passato, se non ce lo lasciamo alle spalle?
Non solo, si rischia di diventare la caricatura di se stessi, di cadere nel banale.
Quali elementi sono necessari per realizzare un quadro?
Composizione, luce, anima. Poi, c’è dove far andare l’attenzione, e la storia pittorica che non posso spiegare neanche io perché, tra l’altro, quando faccio alcuni tipi di quadri, vado nel subconscio dunque la logica non può spiegare perché quel quadro è così.
Ci sono molte sue opere in cui il soggetto sono dei tori, simbolo di forza, tenacia e determinazione: queste caratteristiche le appartengono?
Dunque, io vivo in Spagna, come lei sa; ora la corrida non c’è più in Catalogna però ho studiato ciò che per gli uomini significa la corrida: noi esseri umani vogliamo manipolare anche le cose che sono più grandi di noi. Il toro è un dio; l’essenza della corrida è far sì che il toro faccia ciò che vogliamo noi e questo è insopportabile, tremendo, però l’essere umano è così. Quindi dipingo i tori perchè ho un grandissimo rispetto per Dio.
In nessuno di questi quadri c’è staticità: lei riesce a cogliere l’attimo, a fermarlo, senza perdere il dinamismo del soggetto; una riproduzione della realtà di tutti noi e di ciò che ci circonda: niente è statico, tutto si muove, tutto è in divenire… con quale sguardo lei guarda la “realtà” per poter dare, a chi osserva le sue opere, la sensazione del movimento?
Per me è una grande sfida, perché un quadro non è una fotografia. La grande sfida è esprimere quattro cose: la luce; il tempo, che in un quadro non esiste, attraverso il movimento dei tori; lo spazio, ovvero la terza dimensione, proprio grazie al movimento dei tori; l’anima, se ci riesco.
Ogni qualvolta ci troviamo dinanzi a un’opera d’arte, recepiamo dei messaggi attraverso il filtro del proprio vissuto, del proprio sentire e della propria conoscenza: c’è un modo di approcciarci all’arte senza che essa venga veicolata da quelle che possiamo definire sovrastrutture mentali? Dovremmo osservare attraverso gli occhi di un bambino?
No, ciò che vede un bambino è fantastico, l’arte, però, è comunicazione e per comunicare bene è necessario imparare la grammatica, poi si può riuscire ad avere un’emozione molto forte, mi è successo varie volte di avere la sindrome di Stendhal; l’educazione è fondamentale. Odio l’ignoranza, bisogna imparare. Alcune volte sono riuscito a superare ciò che avevo imparato e arrivare al risultato desiderato, questo grazie allo studio e alla conoscenza, bagagli necessari per fare una cosa profonda.
Bert, alcune sue opere si trovano a Modena, nella chiesa del Gesù Redentore, e torniamo a parlare di movimento e della capacità di guardare un’opera scevri di quelle sovrastrutture mentali delle quali parlavamo poc’anzi. In questo caso le sue opere trasmettono un movimento interiore, quello dei sentimenti che avvicinano l’aspetto divino a quello umano, quale messaggio ha voluto far passare? C’è del divino in ognuno di noi?
Certo: io sono religioso e il dubbio è una forza che ci può, attraverso l’arte, far arrivare a dare la voce al mistero. L’arte parla del mistero.
Arte e spiritualità: c’è una connessione?
Sì. Nei ritratti, per esempio, cerco di tirare fuori l’anima di quelle persone. Quando osserviamo un dipinto si entra in una sfera in cui non c’è prova. L’arte è fragilità, l’arte è la sublimazione della vita. L’arte non serve a niente, è sapienza, sicuramente, ma non serve a niente. L’arte è le sensazioni che trasmette. Quando dipingo sparisce il mio ego, mi sento sciogliere nel tutto, ed è molto piacevole perché sono un essere umano, e non ho la “sicurezza”. Se avessimo “la prova” perderemmo il divino che è avvolto nel mistero. Quindi torniamo a quanto dicevamo prima: il dubbio; prendere dei rischi ridicoli è fondamentale.
Il movimento come espressione artistica: performance?
Ho fatto performance nel passato, ormai non le faccio più da tempo. Per fare una cosa bene c’è bisogno di anni di esperienza e sperimentazione, fare teatro mi è servito per capire delle cose della pittura.
Nella pittura esiste un’età in cui si ripongono pennelli e colori?
No, no: tutti i grandi artisti, i grandi geni, sono quelli che hanno fatto le loro opere più belle a fine vita: Goya, Velásquez, Rembrandt, Turner. Anni fa andai a una mostra: c’era esposto un quadro di Turner, un panorama sul lago di Lucerna, era di una bellezza sconvolgente. Lui riusciva nei suoi dipinti a spaccare la realtà. Questo quadro lo aveva dipinto quando ormai era vecchio. Il grande vantaggio di noi pittori è questo, poterci esprimere al di là dell’età anagrafica, cosa che non è possibile, per esempio, per un ballerino.
Il sogno nel cassetto di Bert.
Fare il quadro assoluto, però non dovrò mai arrivarci e inoltre è impossibile, sono un essere umano…
Non arrivarci significa che lei continuerà a crescere?
Sì, il gioco è quello, come in un viaggio, non è la meta da raggiungere ciò che entusiasma, ma il percorso che faremo per arrivarci. Guardi, un altro mio sogno sarebbe vivere in Italia, però non dovrà mai realizzarsi, altrimenti dovrei inventarmi un altro sogno.
Progetti futuri
Continuare a imparare a dipingere e poi diventare il padre di mia figlia: finora lei è stata la figlia del pittore, dato che è un’attrice, e sarà famosissima, sarò il padre dell’attrice.