Diari Toscani incontra la pittrice Jole Secondulfo. Vive a Napoli città nella quale è nata. Il suo sogno nel cassetto è conoscere Vittorio Sgarbi.
Jole Secondulfo, da quando dipinge?
Sono una pittrice senza scuola, un’autodidatta. Sono nata disegnando, le prime matite che ho usato erano quelle piatte, da muratore, me le portava mio padre, che era mastro muratore. Mi piaceva riprodurre le figurine e i cartoni animati. Un giorno mi cimentai anche nel fare un ritratto a mio nonno mentre dormiva, la cosa che stupì tutti fu che era abbastanza somigliante. Dopo qualche tempo mia nonna mi regalò un set di matite: erano tante, mi sembrò una cosa strana perché per me le matite erano quelle che avevo sempre usato… scoprii allora che esistevano più durezze delle mine, e la cosa mi piacque molto!

In un suo quadro sono rappresentati Borsellino e Falcone, è un quadro ripreso da una fotografia storica, scattata poche settimane prima dell’attentato di Capaci. Perché riprodurre quella foto? C’è una scelta precisa dei colori, da cosa è dettata?
Ho visto questa foto e mi sono detta: la devo dipingere, e quindi l’ho riprodotta inserendo anche la bandiera dell’Italia. Ho una vera passione per i magistrati e per l’Arma, per me loro sono stati degli eroi. Falcone e Borsellino volevano fermare la mafia, purtroppo sono stati fermati prima. In quello scatto ho captato sensazioni forti, come se si stessero confidando un segreto, come se parlassero sottovoce. È l’immagine di due uomini pienamente consapevoli a cosa stavano andando incontro, eppure nei volti c’è un’espressione di serenità di “pienezza”, ed è per questo che nel mio dipinto ho usato questi colori. Il giallo indica l’esplosione, ma anche l’ottimismo e l’energia; il blu rappresenta la forza, la potenza, la bellezza e l’immensità del cielo azzurro; il verde è simbolo di speranza, ovvero poter riuscire a sconfiggere la mafia… come vede, purtroppo, al colore verde ho dedicato poco spazio. Amo questa foto.
Lei si definisce una ritrattista?
Non sono una ritrattista, sono paesaggista e spesso dipingo dal vero. Qualche volta dipingo in mezzo alla strada anche se una donna che dipinge all’aperto ancora oggi dà un po’nell’occhio. Le persone si fermano e, pur non capendo, mettono bocca: “Questo colore è poco…”, “Perché usi questo?”, “Non è proprio così, sfumalo qui…”. Quando vado con il mio maestro le persone non si prendono troppa confidenza.

Quanto nelle sue opere è presente il desiderio di inviare messaggi a chi le osserva?
Quando dipingo voglio trasmettere emozione di gioia: è il mio “sole” che irraggiando colore può suscitare questa emozione in chi osserva le mie opere. Anche la scelta del blu, che spesso è presente nei miei quadri, è per donare serenità. L’arte è l’espressione della nostra anima.

L’arte è rivoluzionaria?
Per me, l’arte deve trasmettere qualcosa. Non voglio criticare alcuni pittori, ma quando guardo un quadro devo capire cosa mi sta dicendo. Spesso mi succede di osservare alcune opere di coloro che si definiscono artisti e non capire assolutamente ciò che hanno dipinto. Detto fra noi: qualche volta mi sembra che su quelle tele sia stato buttato colore così, senza nessun senso. Io penso che l’arte rappresenti ciò che è dentro il nostro cervello. In quei casi, penso che nella testa di quegli artisti ci sia una gran confusione. Opinione personale, ovviamente.
Si finisce mai di imparare? Soprattutto, quanto è importante sbagliare?
Prendo ancora lezioni: imparare è infinito. Ho due maestri, uno si chiama Antonio Di Sarno, è un ritrattista e mi ha insegnato, e tuttora mi insegna, come lavorare sul volto. Voglio riuscire a creare la linea del naso e dell’occhio perfetta. L’altro è Claudio Scarano, dipinge dal vero da 60 anni, ha 85 anni: lui mi ha insegnato a catturare il momento e a usare i colori a olio. Per me, il colore a olio rappresenta vita, luminosità, gioia. Non mi piace l’acrilico lo trovo “spento”. Il colore a olio è paziente, come me, occorre del tempo per farlo asciugare. Dagli sbagli s’impara, certo! La mia tavolozza ha solo cinque colori, da questi creo le sfumature. Oggi posso dire che sbaglio dopo sbaglio, tentativo dopo tentativo, ho imparato a usarli.
Lei si reputa una passionale: a rischio di cadere nella trappola dello stereotipo: quanto la passionalità meridionale influisce nelle sue opere?
Tanto, metto passione in quello che faccio. Quando dipingo mi perdo, entro nel dipinto. Il mio lavoro parte già con la creazione della tela, dopo averla creata. Succede che, spesso, mentre dormo, mi senta chiamare, come le Sirene con Ulisse, e di notte realizzo un dipinto.

Ogni sua tela ha delle caratteristiche ben precise, una propria “personalità”, viene quasi da pensare che sia la tela a suggerirle la tecnica e il messaggio da comunicare, lei ha il “compito” di eseguire manualmente, un po’ come in un romanzo quando lo scrittore asserisce che sono i personaggi a raccontargli la storia e lui è solo il tramite per metterla nero su bianco. Concorda?
Sì è la verità: man mano che abbozzo il lavoro, è la tela che mi suggerisce come procedere. Mia figlia mi dice che sono i “fumi” dei colori.

Nel quadro Balli sul tamburo, le pennellate di colore danno corpo al movimento e la stessa corporeità delle figure è data dal colore. I volti non sono rappresentati, eppure la potenza dell’immagine, un momento gioioso, la si percepisce. Quest’opera è vicina alla tecnica dei Macchiaioli: la “macchia” dà la concretezza della visione d’insieme. Perché ha scelto questo linguaggio artistico?
In realtà i volti non definiti sono dovuti a una questione di privacy. Questo quadro nasce da una foto fatta in un momento ben preciso, alla festa che si tiene qui da noi in agosto e che si chiama “Il ballo sul tamburo”. Le ballerine danzano attorno ai fuochi mentre suonano le nacchere e gli uomini suonano il tamburo. E dato che ho fatto una foto senza chiedere il permesso ho dovuto necessariamente usare la tecnica della “macchia” affinché non si vedesse il volto.

Arsenio Lupin su di una vespa: altro soggetto, altra ambientazione, scelta dell’inquadratura dettata da una volontà precisa, c’è pure il Vesuvio sullo sfondo…
Ho una vera passione per Lupin così come per la mia città. Ed ecco che ho riprodotto un’immagine presa da una foto, inserendo questo muro di pietre di tufo, tipiche della zona; la costiera Amalfitana e il Vesuvio sullo sfondo. E chi gliela dava la vespa a Lupin se non veniva a Napoli!
Ci sono soggetti particolari che predilige per i suoi quadri? Se sì, quali?
Non ci sono: quando vedo un’immagine il mio cervello elabora e metto sulla tela.

Spesso, però, ci sono paesaggi…
Amo la natura, la mia mente si rilassa guardando fuori dalle finestre e andando a camminare immersa nel verde. Ho la fortuna di vivere in una masseria del 1400 e la sensazione è di stare in paradiso, sono circondata dalla natura e dai suoni che mi regala, pensi che di notte sento le civette. Qui c’è anche una sorgente di acqua viva. Adesso tutto intorno è bosco, ma prima c’erano vigneti perché qui perché veniva prodotto il vino. C’è ancora un torchio del 1400.
Quanto il passato è presente?
Dobbiamo guardare al passato per non commettere gli errori che sono stati fatti e trarne insegnamento.
Cos’è l’arte per Jole?
Tutto, e come dice mia figlia, sono una coloreroinomane: una dipendente da colore.
Progetti futuri?
Migliorare sempre più nella mia arte: un ritratto a matita viene, ma ad olio ancora no.
