Diari Toscani incontra il pittore Stelio Pediaditis. Pediatis vive sull’isola di Creta, dove è nato, a Sissi, vicino al palazzo minoico di Malia. Ha studiato ingegneria a Napoli, città dove vive sua figlia Marika, con la quale ha più contatti telefonici al giorno e questo lo aiuta a tenere in allenamento il suo ottimo italiano.
Maestro Pediaditis, desidero partire con la prima domanda che vorrei associare a un modo di dire: nasce prima l’uovo o la gallina? Questa espressione racchiude in sé il concetto d’infinito, ovvero la creazione e il forte legame con il cosmo. Perché la sua scelta di dipingere le uova di struzzo? C’è una correlazione con il concetto d’infinito?
Io dipingo qualsiasi cosa, l’uovo è indubbiamente un simbolo. Nell’uovo c’è il concetto di vita, la vita va avanti con la nascita.
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I suoi soggetti preferiti?
Ho iniziato a dipingendo soggetti sacri, poi mi sono cimentato nel rappresentare scene di vita contadina cretese, foto scene di vita contadina per poi tornare ai soggetti sacri. Ho fatto copie di icone di chiesa ortodossa, non solo, anche di opere di molti artisti del passato, Leonardo da Vinci, Giotto, Piero della Francesca, Domínikos Theotokópoulos, conosciuto come El Greco, fino ad arrivare a Salvador Dalì, è anche da loro che ho preso ispirazione
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Per dipingere, oltre alle uova e alle conchiglie lei usa anche sezioni di olivo, pianta che simboleggia la pace, l’amore e la speranza. Mi piace pensare che tutto ciò che lei usa come basi per le sue opere siano un inno alla sacralità della vita…
Sì, sono un inno alla natura, alla vita.
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Maestro, i suoi dipinti sono prevalentemente icone bizantine in cui si percepisce una forte spiritualità: quanto la fede religiosa l’aiuta a realizzare le sue opere?
Sono molto devoto, non so quanto la fede mi aiuti a realizzare le mie opere, ma so per certo che dipingere mi aiuta ad affrontare la vita e qualsiasi preoccupazione, pensiero, dolore. Quando inizio a dipingere riesco a lasciare tutto fuori.
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L’arte sacra nasce dunque dalla Fede?
Sicuramente, oltretutto, se fai un’icona devi sapere di cosa si tratta.
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Possiamo dire che la sua sia arte bizantina?
Guardi, i miei quadri non sono assolutamente bizantini, sono vicini all’arte cretese che amo molto, a quella macedone e all’arte rinascimentale, mischio tutto con un mio stile e nascono le mie opere. Anche le icone bizantine le rielaboro con il mio tratto, le personalizzo. In esse c’è sempre qualcosa legato al sentimento, non c’è la severità delle espressioni, metto un tocco personale che le rende uniche, le diversifica.
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I maestri iconografi del passato, come quelli attuali, tendono a mantenere viva la tradizione di produrre i propri colori; da quello che ho capito, nel suo caso, non possiamo più parlare di icone bizantine in quanto lei, pur rimanendo legato ad esse, attua una sua rielaborazione.
I colori che uso non sono a tempera, che sono quelli usati nelle icone bizantine, io uso i colori acrilici perché sono più resistenti e vivaci e sono italiani perché qui non ci sono. Oltretutto, nella tecnica classica viene usato l’uovo che steso sopra al lavoro lo rende lucido, questo però può creare dei problemi in quanto gli insetti attaccano il legno, lo tarlano, e i colori ottenuti da spezie, fiori e la polvere ricavata dalle conchiglie rosa, che si trovano a Creta, tendono a danneggiarsi. La scelta dell’acrilico è dovuta anche a questo, in quanto più resistente.
Maestro, quando ha iniziato a dipingere?
Nel 1977. Mia moglie lavorava all’Accademia delle Belle Arti a Napoli, era segretaria, e io conoscevo tutti coloro che insegnavano e lavoravano lì, spesso andavo a vedere le esposizioni degli studenti. Un giorno chiesi a un professore di fare un ritratto a mia moglie, lui lo fece, ma era irriconoscibile. Quando mia moglie lo portò a casa andai sulla tela con il bianco, la ricoprii totalmente, e le dissi: “Ora te lo faccio io un quadro!” E da quel momento è nata la mia passione per la pittura.
Proprio a seguito di quanto mi ha detto le chiedo: quanto coraggio ci vuole per fare arte?
Le rispondo come mi rispose tanti anni fa un professore all’Accademia dopo che esternai una mia perplessità sul quadro di un allievo che non capivo proprio: “Se questo allievo ha avuto il coraggio di fare questo quadro significa che è già un artista.”
La domanda, a questo punto, è d’obbligo: Maestro Pediaditis, cos’è l’arte per lei?
È un hobby, una forma di espressione e un’occasione di studio per approfondire, per esempio, la vita dei santi che amo, per poi rappresentarli nei miei dipinti. Come le dicevo prima ho ri-fatto quadri da Giotto, Piero della Francesca fino ad arrivare a Dalì.
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Lei è ingegnere, quindi ha conoscenze di matematica, fisica, chimica, studi che poi ha applicato a procedimenti tecnici. Le sue competenze le sono state utili per esprimersi artisticamente?
Certamente, io non faccio come fanno alcuni pittori che usano un proiettore puntato sulla tela sulla quale poi riproducono le immagini, e non uso i “quadratini” come fanno altri per fare una copia. Avendo competenze nel disegno tecnico, schizzavo progetti a mano libera, questa mia manualità mi ha indubbiamente facilitato, e mi facilita, in quello che faccio oggi, ovvero, dipingere.
Avere capacità e conoscenze tecniche può rischiare di essere un limite per la sua espressività artistica?
No, tutt’altro! Per esempio, avere la conoscenza della prospettiva non può che andare a beneficio del risultato del dipinto.
Progetti futuri?
Eh… ho 85 anni e grazie a Dio che esisto ancora. Mia figlia ripetutamente mi esorta ad andare a Napoli, fra l’altro mi è stato chiesto anche di fare una mostra là, vedremo…
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