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Diari Toscani

Giornale di cultura, viaggi, enogastronomia e società

Il Codex Vindobonensis 324 e il mondo antico (terza parte)

DiGian Luigi Telara

Dic 12, 2022

Sulla Tabula Peutingeriana, sotto il profilo descrittivo dei luoghi, è necessario fare alcune annotazioni, dal momento che  esistono diverse interpretazioni. Considerando gli elementi base identificati  in maniera condivisa, i primi sono i percorsi con le distanze tra i luoghi che sono indicati mediante l’uso di simboli, in stile Guida Michelin (ad esempio, “due casette” oppure “tre casette”) in base al tipo e all’importanza. Le strade sono espresse con delle linee rosse, mentre  le distanze  sono indicate in unità di misura locali. Nella area apuana,  le distanze sono rappresentate in miglia romane terrestri, scritte con numeri romani. L’unità di misura era definita dalla somma di quanti milia Passuum era necessario fare per andare da una località, alla successiva. Il sistema di riferimento, in tempi remoti, era stato realizzato ordinando a due soldati di procedere a passo di marcia e misurando, poi,  la lunghezza del ciclo cioè del passo completo: piede destro avanti, piede sinistro, di nuovo piede destro. Si constatò che, mediamente, ogni passo completo era di dieci piedi. Venne  stabilita una distanza media agevole, per soldati di media corporatura e quello fu il “passus”. Mille passi davano un percorso abbastanza lungo da poter essere quantizzato in distanze percorribili giornalmente. Il “passŭs” corrisponde approssimativamente a 1,48 metri. Un miglio è equivalente, dunque, a 1480 metri e cento miglia di conseguenza a 148 chilometri. Questa misura era, comunque, relativa, in quanto la lunghezza del passo poteva variare a seconda che la strada fosse in salita o in discesa.  Lungo queste strade, sorgevano, a una distanza di circa venti o trenta milia passuum a seconda della morfologia del terreno, le mansiones: una sorta di ostelli che offrivano vitto e alloggio ai viaggiatori e le mutationes per il cambio dei cavalli. Venticinque milia passuum era il percorso quotidiano, medio, di marcia, della fanteria romana. Nella  Tabula Peutingeriana le distanze in miglia romane terrestri sono scritte con inchiostro nero.  Nell’Itinerarium Antonini accanto al numero romano, che indica la distanza, si leggono vari acronimi: m.p. (milia passuum) oppure anche s.m.p. (summa milia passuum) oppure m.p.m., un mezzo acronimo che sta per m(ilia) p(assuu)m.

Negli elementi base ci sono anche  i corsi d’acqua e i laghi, la cui localizzazione, raramente, corrisponde alla realtà e la stessa cosa vale per le catene montuose, in genere stilizzate.  Inoltre, in linea generale, si nota una mancanza di corrispondenza tra i luoghi dell’area tirrenica e quelli dell’area adriatica, come fosse una pasta stesa col mattarello in modo non omogeneo, con la metà in basso (area tirrenica) sfalsata rispetto alla metà in alto ( area adriatica). Sotto un profilo cartografico, in senso longitudinale, c’è un quadro disomogeneo e contraddittorio tra fascia adriatica e fascia tirrenica. In particolare, i passaggi transappenninici sono pochi e, in area apuana, quasi assenti, anche se in effetti queste vie esistevano. Nella  Tabula Peutingeriana il Cursus Publicus romano tra Genova e Arezzo, viene indicato, apparentemente, solo con la via Flaminia, che unisce Adretio (Arezzo) a Fano. Per passare l’Appennino la Tabula Peutingeriana  indica un solo passaggio, molto più a Nord, arrivando con la via Aurelia fino a Genova, da dove era poi possibile oltrepassare l’Appennino. Tuttavia, sappiamo dall’opera di Livio, Ab urbe condita XXXIX 2,5, che le “viae publicae” nella Tuscia erano almeno tre: la via da Adretio (Arretium-Bononia, via Flaminia), da Florentia tuscorum a Bononia (via Claudia) e da Pistoris a Mutina, cioè Modena (via Cassiola), tutte strade che partivano dalla via Cassia. A queste “Tres viae”, andavano aggiunte la Arretium-Caesena, la Arretium-Ariminum (Rimini), la Florentia-Faventia (Faenza), e, più a nord, la “Perme-Laca” (la Lucca-Parma), per un totale di sette, tutte risalenti al periodo tardo imperiale. Molti studiosi, infatti, ritengono che queste  vie di comunicazione fossero già esistenti in epoca etrusca e, quindi, che venissero usate come traccia dai romani,  che, poi le ampliarono e potenziarono. I romani, comunque, ne tracciarono varianti e ne crearono anche di nuove nel corso dei secoli.

La Tabula Peutingeriana, dunque, riporterebbe solo i grandi assi viari consolari, ma, secondo l’ipotesi di alcuni studiosi, in realtà erano segnalate anche le vie apparentemente non riportate, in una forma che risulta “nascosta” ai moderni, ma che era chiara per i contemporanei. I valichi, ad esempio, sarebbero rappresentati da vie fluviali marcate con colore rosso, lo stesso colore delle strade. Il tratto rosso, infatti, per alcuni fiumi, si appaia al segno nero (in realtà marrone scuro). Probabilmente, una volta giunti sui valichi, i viaggiatori avrebbero potuto vedere direttamente la via, anche se a livello cartografico  non era segnalata. Questo, probabilmente, era ciò che accadeva per i  passaggi tra Regio VII (Etruria, via Cassia) e Regio VIII (Aemilia, via Aemilia) che sono stati identificati, su base indiziaria, a partire del ritrovamento di alcuni tratti dei percorsi stradali citati, cui si sono sommati ritrovamenti epigrafici (cippi miliari). Molto utili, a questo fine,  anche gli studi di toponomastica. Le aree di valico delle vie citate sopra ed i nomi di queste strade, non sono facilmente identificabili sul territorio e pochi sono, comunque, i ritrovamenti archeologici. Come già spiegato, la viabilità romana subì notevoli variazioni nei secoli. In generale, si può dire che, in alcuni casi, il nome di un tracciato poteva cambiare, come  pure il percorso o la creazione di varianti più veloci e l’aggiunta di nuove strade poteva prendere il nome di un antico tracciato o il vecchio perdere il nome antico, per assumerne uno nuovo. Ad esempio la via Cassia da Roma a Firenze divenne la “Cassia Vetus”,  cioè la sua parte più antica, mentre il nome  Cassia passò ad indicare  il suo prolungamento per Lucca. Con il nome di via Clodia, fu conosciuta, inizialmente, la via che metteva in comunicazione Roma con Roselle, ma poi il nome   comprese tutta la via che connetteva Roma con Lucca, nel III secolo, come risulta dall’Itinerarium Antonini. Un altro esempio è la via che  da Lucca continuava fino a Parma, lungo il corso del fiume Auser, che diventò la via  Clodia Nova o Secunda (nome che, però, alcuni studiosi ritengono distinto per la Lucca-Parma). È  evidente, quindi che di  vie Clodie ne esistevano più di una: oltre alla via Clodia descritta sopra, altre vie, ampliate modificate o costruite ex novo,  vennero chiamate  Clodie.  Nell’alto medioevo anche la Florentia-Bononia era considerata via Clodia, così come la parte occidentale della via Aemilia e, a partire dal III secolo in poi, anche la stessa via Cassia originaria, venne chiamata Clodia. Purtroppo tra gli studiosi non esiste grande uniformità di vedute su queste denominazioni, così, anche nelle rappresentazioni cartografiche che si ispirano alla viabilità romana, questo fatto ingenera ulteriori errori nella consultazione dei loro studi, perché ognuno ha raffigurato una propria “mappa”. La loro lettura necessita pertanto di una costante opera di revisione delle fonti che a loro volta mancano di chiarezza.

Secondo Gottarelli, nel suo libro “La via Claudia di età imperiale” del 1988, con questo nome sarebbe stato indicato un reticolo di strade con direttiva nordica, verso le valli danubiane e verso il Brennero per le aree germaniche per formare intorno al 46 d.C. la via Claudia Augusta. Un altro studioso, Calzolari, ha definito questo reticolo come “Area di strada”. A Gottarelli e Calzolari si associano anche altri studiosi.

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