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Diari Toscani

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Il teatro Guglielmi, i social e l’amore per la politica: parla il professor Alessandro Volpi, ex sindaco di Massa

DiVinicia Tesconi

Nov 11, 2021

Da tre anni è tornato al suo lavoro, docente di storia contemporanea, di Storia del movimento operaio e sindacale e di storia sociale presso il dipartimento di scienze politiche dell’università di Pisa, dopo un decennio dedicato alla politica attiva nella sua città, Massa, prima come assessore e poi come sindaco. Il professor Alessandro Volpi, che, comunque, ha mantenuto il suo impegno con l’elettorato massese, continuando a fare il consigliere dell’opposizione nell’amministrazione del suo successore, Francesco Persiani, è intervenuto di recente sulle cronache locali in merito alla divulgazione di una perizia relativa al Teatro Guglielmi, chiuso in fretta e furia, nel corso del suo mandato, a stagione iniziata, per presunte irregolarità relative alla normativa antincendio, che, tuttavia, sembrerebbero non confermate dal perito della tribunale. Una ferita ancora aperta, nel ricordo dell’ex sindaco, della quale, e di altro, ha parlato con Diari Toscani.

Partiamo dal teatro, professore: alla fine avevate ragione voi…

Da quello che ha riferito il perito del tribunale, sembrerebbe che tutto fosse regolare. Se fosse vero, sarebbe una conclusione molto amara, perché il teatro era l’elemento fondamentale della nostra politica culturale. Ci siamo adoperati per riaprirlo e lo abbiamo fatto crescere fino a diventare un’importante realtà regionale con prime nazionali, migliaia di abbonamenti, un’attività praticamente ininterrotta per tutto l’anno. Avevamo anche recuperato l’usanza antica degli spettacoli alla domenica pomeriggio, avviato un percorso teatrale per i bambini, popolato la programmazione con fenomeni musicali di grande rilievo come la Primavera Jazz o il concerto di Capodanno. Per arrivare a questo abbiamo fatto una fatica notevole. La nostra scelta era stata quella di concentrarci sull’arte contemporanea, individuandola come forma di espressione in cui Massa poteva attestarsi come importante centro per mostre e eventi, il tutto in linea con l’impulso dato all’attività teatrale, sia al Guglielmi, sia al recuperato Teatrino dei Servi, che nel nostro progetto avrebbe dovuto ospitare forme teatrali di nicchia, teatro d’avanguardia, mentre il Guglielmi restava la sede delle forme più istituzionali che comprendevano anche il teatro dialettale, realtà particolarmente importante per la città.

Lo stop imposto dal tribunale è stato un colpo molto forte per la sua amministrazione…

Sì perché abbiamo dovuto trovare una soluzione in corsa, cosa che non è stata affatto facile. Il teatro tenda che allestimmo in pochissimo tempo ci permise di portare a termine la stagione già programmata, senza perdere neanche uno spettacolo. Ci furono critiche e polemiche, anche se molti spettacoli riuscirono bene anche nel teatro tenda. Ma anche se riuscimmo a continuare con il programma teatrale, di fatto, si interruppe una stagione complessiva ricca di attività culturali proprio nel momento in cui, con l’imminente apertura del Teatrino dei Servi, avrebbe dovuto ampliarsi ancora di più.

Quanto è stato grande il danno causato alla città?

È stato enorme. Il Guglielmi era ormai diventato un luogo preferito dalle compagnie teatrali che sapevano di fare sempre il tutto esaurito su questa piazza. In più c’era anche tutta l’attività collaterale che si svolgeva nelle Stanze del ridotto: presentazioni di libri, convegni. Massa non ha molte sale pubbliche da dedicare agli eventi culturali. Per questo ci eravamo adoperati anche per riaprire realtà fino ad allora chiuse come il Teatrino dei Servi, il museo Guadagnucci, Villa Cuturi ed avevamo incentivato l’uso di alcune sale di Palazzo Ducale per mostre e manifestazioni culturali. Nel 2016 e nel 2017 il teatro fu aperto tutte le sere, salvo giusto nei mesi estivi, dando spazio anche alle rassegne delle scuole di danza e agli eventi creati dalle associazioni. Quando arrivò la notizia dei sigilli messi al teatro noi provammo in tutti i modi ad evitare che la chiusura si protraesse. Da subito contestammo formalmente le prescrizioni dei vigili del fuoco e chiedemmo incontri con la procura, ma non fu possibile risolvere la questione La città di Massa è rimasta orfana di un luogo importante per la sua identità e adesso si dovrà ricostruire dalle macerie lasciate da questi anni di inattività e ripartire da zero.

Qualcuno pagherà per questa storia?

Quando tutto sarà chiarito, sarà necessario capire cosa è successo e quali sono state le responsabilità. La vicenda è imponente e appurare la verità non sarà semplice. Per ora chi ha pagato sono solo i massesi.

Di questa storia, lei ne ha parlato anche sulla sua pagina Facebook, dove abitualmente posta sue brevi, ma accurate analisi di politica e di economia generale. Qual è il suo rapporto con i social?

Forse sbagliando ho utilizzato poco i social nel periodo in cui ero sindaco. Avevo ed ho una sorta di ritrosia a utilizzare Facebook per affrontare il dibattito politico amministrativo, perché temo che la tendenza dei social alla semplificazione e alla banalizzazione possa rendere scivoloso il terreno quando si cerca di spiegare dinamiche complicate come quelle dell’amministrazione di un comune. Nello stesso tempo non ho mai voluto un supporto per la gestione dei social, perché la mia scelta e quella che ho chiesto a tutta la mia giunta, è stata quella di non aprire mai consulenze esterne e di usare, piuttosto, il personale del comune. Non ho mai voluto gravare inutilmente sulle casse comunali assumendo consulenti esterni. Non ho mai chiesto neppure i rimborsi per il carburante nei viaggi istituzionali. Inoltre ho sempre voluto valorizzare il personale dell’ente. I social, quindi, li avevo esclusi durante il mandato a sindaco e li ho ripresi solo dopo aver concluso quell’esperienza. Tornando al mio lavoro ho ripreso a fare ricerca e mi sono convinto che i social potrebbe essere un formidabile elemento di crescita culturale, se ognuno vi raccontasse quello che sa. Per questo ho scelto di proporre le tematiche che ho avuto la fortuna di studiare e approfondire: metto in rete quello che so per un arricchimento generale. Quando sfoglio le pagine di Facebook mi piacerebbe imparare cose da chi ha competenze specifiche diverse dalle mie. Immagino quella dimensione e lo utilizzo in quel modo. Raramente parlo di vicende che mi riguardano direttamente come quella del teatro. Questa volta l’ho fatto anche per Mauro Fiori, amico e allora assessore alla cultura, che condivise con me lo sconcerto della chiusura improvvisa del teatro ma che, purtroppo, non ha avuto la possibilità di conoscere gli esiti attuali.

I suoi post sono piccole perle di cultura, come nascono?

Io parlo di quello che studio e che ho modo di approfondire grazie al mio lavoro. Credo che la rete vada usata per inserirvi ciò che si conosce e che può suscitare interesse negli altri in modo da arricchire il patrimonio di conoscenze degli altri. Pubblico un post al giorno che, di solito, mi preparo prima.

Come giudica l’annunciata evoluzione di Facebook nel metaverso?

Penso che questa idea sia stata tracciata perché Facebook ha delle difficoltà soprattutto in America: è una specie di strategia per distrarre da altre criticità. Ma il tema delle realtà virtuali è comunque centrale. La pandemia ha accelerato il processo di trasferimento della realtà in uno scenario social virtuale iperamplificato dove si confonde il vero con il verosimile. È inevitabile essere preoccupati perché sarebbe necessario un codice di autoregolamentazione di ognuno che non c’è. I social hanno cambiato il linguaggio politico e favorito la didascalizzazione di politica e scienza, fatte per slogan. Vedremo come si evolverà: molto dipende dall’ evoluzione della pandemia.

Quali sono i segni più grandi sulla società che resteranno dalla pandemia?

La pandemia ha prodotto conseguenze pesanti che hanno aggravato le disuguaglianze e le differenze, come sempre accade nei fenomeni critici. Situazioni che renderanno più ricco chi è già ricco e più povero. Ci sono realtà che sono state azzerate dalla pandemia che faranno una fatica enorme a riprendersi. Le stesse disuguaglianze sono state peggiorate nei processi di apprendimento dove chi aveva più mezzi ha potuto studiare agevolmente e chi invece ne aveva pochi è stato molto penalizzato. La pandemia, inoltre, ha anche esasperato e abbruttito il già esistente scontro generato dai social. Ha liberato una grande quantità di rabbia dovuta, in parte, all’acuirsi delle disuguaglianze, e in parte dalle restrizioni che la pandemia stessa ha imposto, chiusure, lockdown, segregazioni. Ne è uscita fuori un’opinione pubblica incattivita nella quale si è generata la spettacolarizzazione dello scontro: quando si parla dei temi legati alla pandemia si assiste a una rappresentazione di ruoli già definiti, basata su un canovaccio che è fatto apposta per alimentare lo scontro. E il risultato è una distorsione dei processi informativi che diventano show. Siamo a un preoccupante livello di esasperazione perché la pandemia fornisce argomenti che alimentano lo spettacolo e addirittura fungono da moltiplicatori. E anche la politica tende a entrare a far parte dello spettacolo perché non ha alternative credibili nel breve e medio periodo e cerca la maniera più semplice per deresponsabilizzarsi. Sarà necessario un difficile processo di ricostruzione del linguaggio per rientrare nel merito delle discussioni.

Tornerà a candidarsi per fare il sindaco?

È stata un’esperienza irripetibile, ma non sono nelle condizioni di poterla rifare. Non avrebbe senso, ma la politica continua a piacermi: credo che sia un linguaggio indispensabile. Quando ho perso alle ultime amministrative ci ho messo un po’ ad elaborare il lutto, ma poi ho capito che avevo un impegno con chi mi aveva votato e ho continuato nel ruolo di consigliere. La politica fa parte della mia vita, ma riproporre la dimensione di sindaco avrebbe poco significato.