• Dom. Apr 28th, 2024

Diari Toscani

Giornale di cultura, viaggi, enogastronomia e società

OLTRE|FRONTIERA

Destinazione: Seul, Corea del Sud
Coordinate: 37°33′36″N | 126°59′24″E
Distanza da Firenze: 8.894 km

Essere donna è difficile. Comunque e dovunque. In moltissime parti del mondo, però, è qualcosa di più, è quasi una condanna. E non sto parlando del mondo arabo. Sarebbe troppo facile e banale. Ci sono paesi non islamici – o comunque non permeati dai precetti di altre religioni o dottrine – dove le donne subiscono il retaggio di una cultura fortemente sessista che, nonostante tutto, fatica a scomparire. Uno di questi è la Corea del Sud, la cui struttura sociale è fondata su una visione fortemente tradizionalista, e del tutto istituzionalizzata, del rapporto uomo-donna. Eppure la modernità dilaga, da queste parti. I sud coreani sono molto social, hanno app per qualunque tipo di servizio, si dilettano a recensire senza sosta qualunque cosa, spesso in modo così virulento da rovinare persone ed attività stesse. Per alcuni aspetti legata all’industria dell’entertainment, la Corea del Sud è assurta, addirittura, ad un ruolo di leadership, impensabile fino a pochi anni fa: Seul, con i suoi 10 milioni di abitanti, è una capitale scintillante e il suo skyline non è molto diverso da altre grandi capitali occidentali. Ma quando si parla di donne, tutta la modernità svanisce e le lancette dell’orologio fanno retromarcia. Oggi come ieri, il ruolo femminile prevede unicamente tre arcaici doveri: essere asservite sempre alle due figure maschili più importanti (padre e marito), rispettare sempre rigidi standard di femminilità e, naturalmente, mettere sempre l’utero a disposizione del fabbisogno demografico del paese, in altre parole, figliare il più possibile. Almeno per i nostri parametri di giudizio, l’ostinata resistenza di questi assurdi dogmi quali fondamenta dell’impalcatura sociale coreana, è sbalorditiva e incomprensibile. Senza contare il fatto che essa genera distorsioni, per molte delle quali la Corea vanta una serie di primati, alcuni curiosi, altri un po’ meno. I primi si riferiscono al fatto che il paese è saldamente in cima alle classifiche mondiali per consumo pro-capite di prodotti di bellezza, e per interventi di chirurgia estetica.  Ben più grave e triste è il primato mondiale del tasso di episodi violenti che si registra nelle coppie coreane, oppure il fatto che gli episodi di femminicidio o di “revenge porn” sono molto frequenti e, cosa ancor più grave, che tali episodi sono sanzionati in modo iniquo, o addirittura archiviati. Emblematico e clamoroso è il caso di una venticinquenne che, per aver postato su internet la foto di un modello nudo in una scuola d’arte, è stata condannata a dieci mesi di carcere, e a seguire una terapia di solito comminata ai colpevoli di violenza sessuale.

Fortunatamente non tutte le giovani donne coreane stanno a guardare. Forse è vero che un certo grado di frivolezza impera anche sulle nuove generazioni, limitando l’orizzonte di una vita femminile desiderabile ad obiettivi quali il matrimonio, il guardaroba, il trucco, la casa, i figli. Ma i movimenti antagonisti a questa visione “maschio centrica” del ruolo della donna, stanno crescendo in numero e in intensità. Uno di essi, forse il più interessante e di certo il più radicale, è il “4B”. La visione e il ruolo della donna che esso propugna vanno oltre le istanze del femminismo classico. Il nome deriva dall’abbreviazione di quattro parole coreane che iniziano per la sillaba bi, che significa “no”: la prima è bihon, cioè no al matrimonio eterossessuale; la seconda è bichulsan, vale a dire no alla maternità; biyeonae è il rifiuto del corteggiamento; mentre bisekseu è il rifiuto dei rapporti eterosessuali. Si tratta, in pratica, di una sorta di lesbismo politico ed ideologico improntato al boicottaggio della figura maschile in generale – al punto che moltissime aderenti estendono questo rifiuto per gli uomini anche agli amici – e del ruolo meramente familiare e riproduttivo della donna. Il movimento non è interessato a cambiare gli uomini coreani, in quanto sono considerati irrecuperabili e irrimediabilmente fomentati ad esprimere liberamente la naturale tendenza maschile all’oppressione, da una società ancora fortemente intrisa di patriarcalismo. I frequenti episodi di misoginia –  spesso non punita, come abbiamo visto – sono la naturale conseguenza di questo entroterra culturale. Il matrimonio, lungi dal rappresentare il sogno di una vita, è considerato una vera e propria minaccia esistenziale. Nato tra il 2015 e il 2016, il movimento è cresciuto molto, impattando fortemente sui dibattiti on-line, sulla politica e sulla vita delle donne sudcoreane, molte delle quali – pur non essendo delle attiviste vere e proprie – devono aver preso molto sul serio il rifiuto della gravidanza, visto che il tasso di natalità della Corea è, da qualche anno a questa parte, il più basso del mondo. Secondo un recente sondaggio, il 65 per cento delle donne sudcoreane rifiuta non solo la maternità, ma anche il matrimonio. Questa sorta di “sciopero delle nascite”, come è stato brillantemente definito questo fenomeno, sta velocemente uccidendo il paese. Il saldo tra numero di nati e numero di morti è andato in zona negativa dieci anni prima del previsto. Nel 2022, l’attuale presidente della Corea del Sud Yoon Suk-yeol ha vinto le elezioni incolpando le femministe del tracollo demografico, promettendo di abolire il ministero per la parità di genere e la famiglia, la cui poltrona era occupata da una ministra del governo precedente, che invece dava la colpa alla rigida cultura maschilista e patriarcale del paese, in esasperata contrapposizione della quale erano nati i movimenti femministi, ultimo dei quali il 4B e la sua linea di azione dei “quattro rifiuti”. Una dichiarazione d’intenti tanto reazionaria, sarebbe stata inimmaginabile persino per il più conservatore dei repubblicani americani, o per il più bigotto di politici europei di estrema destra, ma in Corea del Sud non stupisce che questa posizione abbia raccolto tanti consensi, perché anche per la popolazione maschile del paese – per motivi diversi, naturalmente – le donne sudcoreane sono diventate un “nemico”. Il numero di donne istruite cresce costantemente, e quest’ultime sono diventate delle pericolose concorrenti per posti di lavoro sempre meno numerosi. Esentate  dal servizio militare, le donne non possono avanzare altri diritti o privilegi, sostengono gli uomini. Nel 2014-2015 questa sindrome di accerchiamento ha fatto nascere e sviluppare velocemente una comunità on-line maschile, violentemente misogina e antifemminista, chiamata Ilbe. Sono stati anni di furiosi scambi di offese in rete. Interventi provocatori, linguaggio volgare, offese. Per questa massa di “hannamchung” – parola coniata dai siti femministi che significa “insetto maschio coreano”, per identificare il prototipo di uomo coreano brutto, sessista e fissato con il sesso a pagamento – le donne erano tutte egoiste, vanitose, ossessionate da se stesse e sfruttatrici del partner. Questa tensione è sfociata, nel 2016, in una vera e propria sollevazione d’opinione on-line di stampo femminista, all’indomani di un raccapricciante fatto di cronaca. In un bagno pubblico di Seul, una ragazza fu massacrata a coltellate da un giovane. Quest’ultimo confessò di averlo fatto perché le donne lo avevano sempre ignorato, ma la polizia non lo classificò come crimine d’odio, rivelando al mondo intero l’indole sessista e misogina della società coreana. Da allora i toni si sono smorzati, alcuni risultati sono stati raggiunti, e all’interno del movimento sono cominciate ad affiorare delle spaccature, ma è presto per dire se il movimento prospererà o meno. Su una cosa le attiviste sono tutte d’accordo: la Corea del Sud è tutt’ora un posto dove essere donna è difficile, pericoloso e, spesso, umiliante. In assenza di diversità etniche di rilievo, il genere è la principale linea discriminante e di frattura della società.  Lo dimostra, in sintesi, un altro triste record del paese:  un divario retributivo di genere che tocca il 31 per cento, il più alto al mondo.

Un consiglio: se fra i lettori di questa rubrica ci fosse qualche maschio intenzionato ad andare a Seoul in vacanza, non siate insistenti o, meglio ancora, evitate proprio l’approccio a donne dai capelli rasati o raccolti in cappellini: molto probabilmente si tratta di attiviste del 4B, e la cosa potrebbe avere risvolti molto, ma molto spiacevoli.

Fonte: Internazionale, Wikipedia