• Ven. Ott 4th, 2024

Diari Toscani

Giornale di cultura, viaggi, enogastronomia e società

OLTRE|FRONTIERA

Destinazione: Foresta di Bialowieża, Polonia e Bielorussia

Coordinate: 52°43′53.66″N | 23°52′03.95″E

Distanza da Firenze: 1.764 km

Un bacino, dei brandelli di pelle ostinatamente attaccati a qualche osso sparso nelle vicinanze, un cranio, delle fotografie, qualche vestito strappato. Questo è tutto ciò che rimane dell’esistenza di un uomo partito dall’Etiopia, probabilmente nel 2022, e diretto in Polonia. Un uomo di corporatura minuta, fragile, con chissà quali speranze, chissà quali sogni. Il suo viaggio è finito qui, nella parte polacca della foresta di Bialowieża, al confine con la Bielorussia. È morto nel silenzio, sotto lo sguardo centenario delle querce e degli abeti, completamente solo. Il freddo, la fame, la sete, la disperazione, l’attacco di un animale selvatico. Chissà cosa l’ha ucciso. Forse tutte queste cose insieme, o forse altro. Nessuno si prenderà la briga di capirlo. È già tanto che i suoi pochi, miserevoli resti siano stati ritrovati. Il merito è di un manipolo di volontari, che raccolgono le scarse informazioni sull’ultima posizione delle persone scomparse fornite loro dai familiari o dai compagni di viaggio, e poi si mettono a pattugliare la zona individuata. Come una specie di macabra e raccapricciante caccia al tesoro. L’ambiente è altamente ostile: ci sono fiumi e moltissime paludi, dove la ricerca senza mezzi adeguati è difficile. Ma il nemico peggiore è la bella stagione. Con l’esplosione di verde che essa porta con sé, il suolo diventa difficilmente perlustrabile ad occhio nudo: se si trova un cadavere è perché, letteralmente, ci si sbatte contro. Oggi, il ritrovamento dell’uomo etiope – avvenuto nel gennaio di quest’anno, e quindi in pieno inverno e con terreno umido ma brullo – sarebbe stato impossibile. Così, la natura avrebbe fagocitato presto anche quel poco che è stato ritrovato, facendo sparire per sempre ogni sua traccia. Il passaggio della frontiera attraverso la foresta, qui come in altre parti del mondo caratterizzate da confini naturali altamente selvaggi, equivale ad una specie di suicidio. Nonostante questo, molti ci hanno provato e altrettanti vi hanno trovato la morte. Le autorità della cattolicissima Polonia sanno bene che molte parti della loro bella foresta sono piene di cadaveri. Eppure, sembrano sottrarsi, senza troppi travagli morali, al sacro vincolo della misericordia – per non parlare di quello umanitario sancito dal diritto internazionale – che imporrebbe loro la ricerca e la restituzione dei corpi alle famiglie. Ancor più raccapricciante, e ancor più immorale, è il fatto che le stesse autorità non fanno niente neanche per aiutare le persone ancora vive, e che per qualche motivo non sono riuscite a portare a termine l’attraversamento della foresta. Il 12 febbraio due volontari hanno trovato il corpo di una giovane donna, etiope anch’ella. Giaceva esangue a qualche centinaio di metri dalla strada che costeggia la foresta. Pochi giorni prima si era sentita male e non aveva potuto continuare il cammino. Si è accasciata a terra e ha aspettato. I suoi compagni di viaggio sono andati a cercare aiuto, e hanno segnalato la sua posizione, ma le autorità polacche hanno pensato bene di respingerli in Bielorussia, mettendo il soccorso della giovane in fondo alla lista delle cose da fare. Quando finalmente si sono mossi, la loro ricerca si è limitata ad un veloce passaggio in auto nei pressi della zona segnalata, affacciandosi al finestrino, senza neanche scendere a dare un’occhiata più da vicino. La ragazza poteva essere facilmente salvata: magari oggi non avrebbe comunque coronato il suo sogno di rifarsi una vita in Polonia o in altro paese della Comunità Europea, ma almeno sarebbe ritornata a casa, sana e salva. Invece è morta, sola anche lei, dopo interminabili giorni e notti di agonia, con nient’altro che un tronco d’albero a sostenere il suo corpo che, istante dopo istante, respiro dopo respiro, veniva abbondonato dalla vita.

L’ostilità e la scarsa vena collaborativa delle autorità sono il riflesso del sentimento popolare riguardo i migranti. Quando è iniziata la crisi, l’establishment ha rapidamente diffuso una propaganda che li dipingeva come una massa indistinta di spacciatori e violentatori. Questo per dare un senso a quello che i polacchi avrebbero dovuto vedere da lì a poche settimane.

Lo stesso giorno in cui sono stati ritrovati i resti dell’uomo etiope, due ore dopo, in un fiume vicino, sono stati ripescati i corpi di altri due uomini. Nell’ottobre 2022 una donna incinta è stata ritrovata morta per ipotermia. I volontari l’hanno seppellita sul posto. Accanto hanno costruito una tomba vuota per il bambino che non è potuto nascere. Sono talmente tante le persone hanno perso la vita qui, che durante queste battute di ricerca si parte per cercare qualcuno, e si finisce per trovare qualcun altro. Erano circa 300 le persone di cui non si sapeva più nulla: ad oggi la foresta ha restituito 37 corpi, nove dei quali in questi primi sei mesi del 2023. Gli altri 260 sono ancora lì. E forse molti altri ancora. Una buona parte di loro non verranno mai ritrovati. Il motivo è dovuto a una  ricerca  oggettivamente difficile, ma soprattutto alla mancanza di volontà per farlo. Gli attivisti sostengono che i migranti muoiono nella foresta, non perché quest’ultima sia pericolosa, ma perché sanno che il governo li bracca in modo disumano, per cui la foresta rimane il miglior rifugio possibile, in attesa che il vento cambi, magari.

La vicenda parte nell’estate di due anni fa. Dopo le ennesime elezioni farsa che vedono la vittoria del presidente-dittatore filorusso Lukašenko, in Bielorussia nasce un movimento di protesta contro il regime, che ottiene l’appoggio della Comunità Europea e della Polonia in particolare, la quale non vede l’ora di togliersi dai confini un paese bellicoso e antidemocratico come la Bielorussia. In risposta a questa ingerenza, Lukašenko incoraggia migliaia di migranti ad entrare in Polonia, grazie ad un  passaggio libero e sicuro attraverso la Bielorussia. Vengono organizzati convogli ferroviari e voli internazionali. I migranti scendono dai treni e dagli aerei e vengono scortati al confine dalle forze dell’ordine bielorusse. La Polonia reagisce dichiarando lo stato d’emergenza nelle zone lungo il confine e viene costruita in poche ore una barriera.  Per presidiare l’integrità territoriale, viene mobilitato l’esercito che, naturalmente, non esita ad usare la violenza per respingere ogni tentativo di ingresso. I migranti respinti, però, non possono tornare indietro perché i bielorussi li bloccano. Per settimane, una moltitudine di persone rimane intrappolata nelle paludi della foresta, lungo la quale corre una parte rilevante del confine tra i due paesi. In autunno, grazie alle pressioni internazionali, i paesi di provenienza sospendono i voli “ad hoc” verso la Bielorussia. Dall’estate del 2021 fino alla fine del 2022, sono stati 50.668 i respingimenti. Il flusso è calato, ma i migranti continuano ad arrivare e a morire.

È un orrore che sembra non finire mai. Si rigenera dalle sue stesse ceneri. Cambia il teatro, cambiano gli attori, ma il dramma è sempre il medesimo. È sbalorditiva la capacità degli uomini investiti di un qualche tipo di potere, di farsi beffe del passato e trovare sempre soluzioni nuove per perpetrare i crimini più nauseanti, senza perdere nemmeno un’ora di sonno. Forse le generazioni future vivranno tempi in cui questa fiera delle atrocità e dell’ingiustizia sarà solo un ricordo. Noi, invece, non possiamo altro che prendere atto che la strada verso un mondo migliore sembra essere ancora intollerabilmente lunga. E raccontarlo.