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Diari Toscani

Giornale di cultura, viaggi, enogastronomia e società

Scrivo perché non ne posso fare a meno: Paolo Giannotti, giornalista, saggista e scrittore massese

DiSelenia Erye

Lug 28, 2022

Insegnante, giornalista, autore di testi teatrali e di molti saggi su storia e politica e romanziere esperto di gialli, alcuni dei quali ambientati in Versilia, nei suoi luoghi d’origine. Paolo Giannotti è nato a Massa nel 1961 e si è laureato in lettere all’università di Pisa. Per 20 anni è stato collaboratore de La Nazione e, da sempre è studioso appassionato della narrativa italiana dell’800 e della storia di Massa. Come scrittore è stato finalista al premio Calvino e al premio Morselli. Ha pubblicato diversi romanzi noir tra cui “Il paese degli Acchiappacitrulli” edito da ItalicPequod; “Giallo in Versilia” Frilli editore e “Labbra Spente” Antonio Stango Editore, sue ultime fatiche che stanno riscuotendo un largo successo.

Quando si ha la possibilità di incontrare un uomo come Paolo Giannotti bisogna essere in grado di sostenere conversazioni molto elaborate e ricche di contenuti. Nulla con lui è lasciato al caso: la cultura e la sete di conoscenza appartengono alla sua mappa genetica. Non si sottrae mai, neanche in incontri casuali, alle domande più disparate che gli vengono rivolte. Sguardo attento, risata frizzantina e battuta sempre pronta, Paolo Giannotti ha un bagaglio culturale enorme e tantissimi interessi, che riesce a coltivare, nonostante il lavoro. Giannotti è un osservatore attento di tutto ciò che lo circonda e un’abile penna capace di trasmutare esperienze in carta stampata. I due libri che sta promuovendo con successo al momento,”Giallo in Versilia” Frilli editore e “Labbra Spente” sono al centro di un periodo, per lui, ricco e fecondo, nel quale i suoi sogni sembrano essere divenuti realtà. Vincitore del Premio Speciale Eugenio Allegri, Paolo è un classico esempio di giustizia e meritata fama: il duro lavoro, l’umiltà e credere nei propri sogni, aiuta a raggiungere ottimi risultati

Paolo lei è un uomo di immensa cultura, ci racconti come ha avuto inizio la sua passione letteraria?

La lettura è sempre stata la mia passione. Da piccolo, quando non sapevo ancora leggere, sfogliavo e risfogliavo un’edizione di “Pinocchio” con le illustrazioni di Chiostri, che conoscevo a memoria. Sapevo che quel testo, per me, misterioso, conteneva qualcosa di bello e non vedevo l’ora di poterlo comprendere. Ecco, la letteratura, è iniziata, per me, con questo senso di fascino misterioso. Una volta avuto l’accesso, non ho più smesso. La storia è nota e di molti, ma anch’io sono, soprattutto, orgoglioso di ciò che ho letto. Leggere, indubbiamente, mette voglia di scrivere, e per scrivere occorre leggere. Tanto.

Lei per molto tempo ha scritto per una testata giornalistica a tiratura nazionale, ci può parlare del periodo dei suoi inizi come giornalista ed anche delle innovazioni che apportò alla cronaca?

Ho sempre avuto un rispetto sacro per la letteratura. Da ragazzo, a parte qualche esperienza teatrale, non mi sentivo pronto per affrontarla materialmente, per cui ripiegai verso ciò che della letteratura può definirsi l’ancella, il giornalismo. Ci presi, peraltro, gusto e continuai per anni. Mi sono formato “a bottega”, vale a dire in una redazione di provincia de “La Nazione”. Lì, diedi anche sfogo alla creatività, così, insieme all’amico Marzio Pelù, inventammo “Il Mercurio” una intera pagina quindicinale dedicata alla cultura della nostra città. Senza falsa modestia, devo dire che fu un successo, e fu, anche, l’unico esempio del fare cultura locale del quotidiano fiorentino. Durò per anni e ne vado ancora orgoglioso.

Secondo lei com’è cambiato il modo di approcciarsi alla notizia? Oggi cosa potrebbe fare un giornalista per differenziarsi dalla “massa”?

La professione giornalistica in Italia oggi è in crisi, inutile nasconderlo. Per pochi che ancora credono in questa nobile professione e sanno farla, in nome della verità, ci sono i più, che sono costretti o hanno aderito, servilmente, alle direttive degli editori, collusi con il potere. Così è sempre stato, invero, ma oggi si è superato il livello di guardia e c’è un’aria di regime, che non mi piace affatto. Cinque o sei anni fa, e in tempi, ancora, non così critici, restituii la tessere dell’Ordine, dal quale non mi sentivo più rappresentato.

Cosa rende un essere umano degno di definirsi tale?

Questo è difficile e troppo complesso dire. Se dovessi sintetizzare direi che, per definirsi degnamente umano, occorre un contatto, o almeno tentarlo, con l’Assoluto. Le strade sono molte e ognuno deve trovare la propria.

Paolo, mi piace definirla un’artista molto prolifico e allo stesso tempo meditativo, nel senso che lei si prende il giusto tempo per i suoi lavori. Com’è riuscito a trovare questo equilibrio e perché sembra immune dal consumismo letterario?

Sono pigro e aspetto sempre fino all’ultimo prima di fare qualcosa. Quando, però, le idee pressano, allora prendo appunti su appunti. Poi lascio decantare: se ciò che ho in testa è buono, lo vedo dopo un bel po’ di tempo. Il tempo è, appunto, un ottimo filtro per valutare ciò che si ha in mente. Ho sempre avuto un’idea inattuale della letteratura. Non mi interessano le mode né le conventicole letterarie. Una ventina di anni fa rischiai di pubblicare con grandi case editrici, poi non andò. Fu la mia fortuna. All’epoca non ero ancora pronto ad affrontare quel mondo e, appunto, avrei rischiato di esserne travolto. Il narcisismo è il demone peggiore dell’artista. Oggi scrivo quello che mi interessa e lo faccio perché non posso farne a meno. Si tratta di un’esigenza interiore. Se riesco a pubblicare bene, altrimenti pazienza.

In questo periodo è impegnato nel promuovere due suoi romanzi, che stanno riscontrando molto successo di pubblico. Ce ne parli…

Questo è un periodo fortunato. Ho pubblicato un noir per la Frilli Editore dal titolo “Giallo in Versilia”, uno spaccato di vita del mondo apuo-versiliese: un mondo dove moda, turismo, ricchezza si mescolano a trafficoni e ricconi russi e non solo. Ne è protagonista un giornalista fuori dal coro, che ne passa di tutti i colori. Inoltre, con l’amico fraterno e sodale letterario Alessandro Raffi ho pubblicato, per Antonio Stango Editore, il romanzo “Labbra spente” una storia divertente, che ha come sfondo (ma solo come tale) l’ambiente della scuola. Si tratta di un testo politicamente scorrettissimo e ne siamo fieri. Adesso sono e siamo impegnati nei vari giri di presentazione. Per un tipo come me, una faticaccia, ma come dice un detto toscano: “Il signor Bisognino fa trotta’ la vecchia!” e dunque bisogna trottare.

Ha vinto anche un premio teatrale molto importante Eugenio Allegri, ci racconti da dove nasce questo interesse per il teatro?

Un mondo ancora più difficile, forse è quello del teatro, cui sono comunque legatissimo anche per motivi familiari. Scrivere per il teatro, oggi, è assai complesso, soprattutto se sei un autore puro. La crisi del teatro ha portato molti attori a diventare autori di se stessi, e, per chi scrive e basta, è tutto più complicato, soprattutto, nel proporre i propri testi. Ogni tanto, però, arriva qualche conferma sul proprio lavoro, come, per me, il premio teatrale dedicato a Eugenio Allegri, nell’ambito del premio nazionale di drammaturgia Luigi Candoni di Udine, vinto con la pièce Sancio e il Cavaliere. Una conferma che, almeno, si è sulla strada giusta e non soltanto preda della propria vanità.