Gli espertoni d’arte non si saranno lasciati sfuggire il recente ritorno dell’Edvard Munch nel nostro paese, con la grande mostra capitolina dedicata al percorso dello sfortunato artista norvegese, dagli esordi alla morte. Il famigerato “Urlo”, opera talmente accentratrice e totalizzante da diventare esageratamente più famosa del suo stesso artefice – che pure vanta una produzione alternativa piuttosto cospicua-, era presente nella versione litografica. Eh già, perchè del celeberrimo quadro urlante esistono almeno quattro varianti, se non vogliamo annoverare come quinta quella che potete trovare a Carrara, tra il civico 15 e 15a in Via Eugenio Chiesa.”Sentivo che un grande urlo infinito pervadeva la natura“, raccontò Munch stesso, circa l’episodio che gli ispirò la realizzazione dell’iconica immagine. E su questa affermazione del pittore, si sono susseguite teorie a iosa: alcuni pensano che ad urlare sia il paesaggio circostante, il colore stesso, per cui la figura ectoplasmica al centro della scena si starebbe tappando le orecchie per minimizzare l’atroce rumore. Altri sostengono, con molta più attendibilità (poiché altri scritti dell’Edvard remano decisamente in questa direzione), che sia invece la stessa disturbante figura a gridare: le mani alla testa sono solo un appoggio mimico teso a sottolineare la terribile angoscia del momento.

Dal momento che l’equivoco sulla provenienza dell’urlo che dà il titolo all’opera è stato palesemente ingenerato da quelle maledette mani alle orecchie (gesto presente in tutte le varianti Munchiane), la versione apuana risolve la questione in maniera semplice, ma geniale: le omette completamente, così è del tutto ovvio chi sia, a lanciare l’Urlo.

“Urlo” che, secondo Munch, andava a formare, nelle sue varianti, il cosiddetto “Fregio della Vita”. Fregio della Vita che, almeno a Carrara, doveva essere stato precedentemente affisso a quello stesso muro, dal quale è stato poi palesemente rimosso con la forza, lasciando però due piccoli tasselli lignei in corrispondenza dei bulloni che lo fissavano. Tasselli che sono diventati, opportunamente, le pupille negli occhi della testa ritratta. Trattandosi di Carrara, forse è meglio non sapere cosa stia gridando quella testa. Molto meglio. Tanto, non sarebbe riportabile qui🤭.
Mi piace pensare che il suo grido abbia voluto attirare la mia attenzione per indurmi ad inserire in rubrica questo nuovo graffito, ma, anche, per farmi accorgere del piccolo sasso bianco ben levigato, che si trovava in un incavo dello stesso muro di Via E. Chiesa su cui sorge l’Urlo Carrarino in oggetto.
Un sasso che, non a caso, ritrae Daffy Duck, personaggio dei cartoons che i suoi stessi ideatori definivano “maniacalmente folle e/o spregevolmente depresso”. Proprio come lo stesso Edvard Munch, guarda un po’!😄

Colei o Colui che ha decorato quel sasso invita chi lo rinverrà a “tenerlo con sè o farlo viaggiare”, riportandovi sopra pure il perentorio monito disneyano “PENSA, CREDI, SOGNA ED OSA”.
Infine, questo anonimo spacciatore di sassi ed emozioni, chiede, a chi dovesse ritrovarli, di condividere la cosa online. Neanche immaginando, forse, di poter beccare, fra tutti, proprio ME, che da sempre rifuggo come la peste nera il mondo dei cosiddetti social netuorcs😅, quindi non ho modo di far niente di tutto ciò, se non molto indirettamente ed in maniera parecchio mediata: lo stesso modo, cioè, in cui queste mie boiate di articoli vengono sbattute lì sopra. Mi appello pertanto a chi, settimanalmente e gentilissimamente, ce li sbatte: “A mio modo, come Munch, ho sentito anch’io un urlo che pervadeva la natura intorno a me. Aiutatemi a diffonderlo, se potete”🙏😄😱