foto di Silvia Meacci
A Firenze, al “Rifugio Digitale“, spazio espositivo ricavato da un tunnel antiaereo in prossimità dei bastioni, è stata inaugurata “Avevo due paure“, una mostra sulla Resistenza, ben fatta ed emozionante. La conformazione stessa del Rifugio, il cui scopo è impresso nella mente di tutti, amplifica le emozioni durante la visita e rievoca la storia. Attraverso le immagini dei luoghi, attraverso i racconti dei partigiani con le foto di Paolo Cagnacci e Matteo Cesari e i video di Theo Putzu. Vivide stimolazioni visive e sonore che ci portano sulla Linea Gotica, trecentoventi chilometri lungo la dorsale degli Appennini, da Massa-Carrara a Rimini, “l’ultimo argine da rompere per chiudere la guerra in un’Italia devastata da lutti e macerie tra l’estate del 1944 e il 1945”.

Alla vigilia dell’ottantesimo anniversario della Liberazione, gli artisti hanno voluto dare corpo al passato con immagini potenti, dettagli e primi piani dei testimoni della lotta clandestina che rischiarono e spesso persero la vita. Sono raccontate infatti tante storie, tra cui quella di Flora Monti, una delle più giovani staffette che portava alle formazioni partigiane i messaggi, nascondendoli nelle trecce o nelle scarpe, o quella di Genesio Rulli, classe ’28, che poco più che tredicenne, dopo aver scoperto che sua madre faceva la staffetta partigiana, intraprendentemente, da solo, compì azioni per i GAP, riuscendo anche a rubare delle armi dalla caserma tedesca. Si vedono cimeli, lapidi, monumenti, documenti, divise: suggestiva quella di un partigiano del Mugello, col fazzoletto rosso, distintiva delle brigate garibaldine.

Si vedono i boschi, rifugio dei giovani combattenti. “Ci è capitato persino di dover vivere per una settimana con un pugno di castagne secche e acqua di fonte, senza nient’altro, perché non potevamo avvicinarci ai paesi. Poi, quando il rastrellamento è passato, abbiamo ripreso i contatti con i vari paesi e, piano piano, qualche fetta di polenta si riusciva a raccattare”, racconta Giacomo Scaramuzza, classe 1923, nome di battaglia, “Giorgio”, partigiano in Val Nurne. Si vedono i campi, teatro di uccisioni, come quello in cui vennero ammazzate la mamma e le sorelle di Vera. Era bambina quando, nell’aprile del ’44, la sua famiglia offrì riparo a cinque partigiani. Ma la casa fu circondata dai tedeschi. Fumo, macerie, rovina, vite spezzate. All’inaugurazione della mostra Vera era presente. Molti visitatori hanno voluto abbracciarla e condividere con lei le emozioni, i ricordi e la consapevolezza dell’importanza del ricordo. Per non dimenticare, mai.

Il titolo della mostra è evocativo, non retorico, asciutto, immediato. È stato preso da una poesia scritta dal partigiano milanese, Giuseppe Colzani:
Avevo due paure
La prima era quella di uccidere
La seconda era quella di morire
Avevo diciassette anni
Poi venne la notte del silenzio
In quel buio si scambiarono le vite
Incollati alle barricate alcuni di noi morivano d’attesa
Incollati alle barricate alcuni di noi vivevano d’attesa
Poi spuntò l’alba
Ed era il 25 Aprile
“Avevo due paure” – Dal 9 al 26 gennaio 2025 – Rifugio Digitale Firenze