Ci siamo, oggi è la Vigilia di Natale, ovvero il giorno più bello di tutto l’anno. Per strada e nelle case di tutti hanno allestito le decorazioni: alberi di Natale ricchi di palline colorate e di lucine scintillanti, rami di pungitopo appesi agli stipiti delle case, stelle comete appese un po’ ovunque ed infine l’immancabile presepe, vero simbolo di questa festa cristiana. In Lunigiana, come un po’ in tutta Italia, è presente una tradizione ben radicata che è quella del presepe vivente, ormai diffusa in molti luoghi, ad Equi Terme nel comune di Fivizzano, ma altrettanto belli sono quelli di Villecchia di Tresana, di Vico di Bagnone, di san Francesco a Pontremoli, insomma basta girare un po’ anche sui siti internet per vedere come la splendida terra di Lunigiana, si presti perfettamente a questo tipo di rappresentazioni, offrendo l’ambientazione e la magia giusta.

Ma il presepe da dove arriva? Chi lo ha fatto per la prima volta? Cosa rappresenta esattamente? Sono domande che spesso ci poniamo per cui, cercherò di dare qualche risposta e qualcuna di esse lascerà davvero a bocca aperta.Cominciamo dall’etimologia della parola: stando alla più famosa enciclopedia online, il termine deriva dal latino praesaepe, cioè greppia, mangiatoia, ma anche recinto chiuso dove venivano custoditi pecore e capre; il termine è composto da prae (innanzi) e saepes (recinto), cioè luogo che ha davanti un recinto. Già questo basta a farci capire come la genesi della parola dipenda da un contesto agricolo pastorale, legato a doppio filo alle tradizioni contadine. Questa connessione, secondo alcuni studiosi, porta ad una tradizione ancora più antica, addirittura pre-cristiana legata al culto dei Lari. I Lari non erano altro che le anime dei defunti che vegliavano sulla vita dei parenti vivi e, per onorarne il ricordo e soprattutto per tenerseli buoni, venivano fabbricate delle statuette di terracotta da mettere in apposite nicchie sparse per la casa. Esisteva una festa chiamata Sigillaria, celebrata il 20, di dicembre in occasione del solstizio d’inverno, durante la quale i familiari si scambiavano i sigilla, ovvero queste statuette, che rappresentavano i parenti. La sera prima i bambini le dovevano lucidare ed abbellire ponendole in una specie di diorama a tema campestre o silvano a loro fantasia, prima di andare a dormire si lasciavano ai loro piedi delle offerte votive fatte di ciotole di cibo e bevande e il mattino dopo, in segno di ringraziamento, i bambini ritrovavano dei doni che i loro avi gli lasciavano in segno di ringraziamento. Sembra davvero uguale al nostro Natale ed è possibile che la nostra tradizione, si appoggi anche su questa, sebbene la storia di Babbo Natale, con la quale si incrocerà secoli più tardi, farà la sua parte. Questa rito pagano è rimasto nella tradizione popolare almeno fino a quando, nel 1223 san Francesco, ebbe l’idea di creare il primo vero e proprio presepe della storia. Di ritorno dalla Palestina, rimasto colpito da ciò che vide, decise di rievocare il momento in cui Gesù venne al mondo, scegliendo il borgo di Greccio, che secondo lui più si avvicinava a Betlemme. Tommaso da Celano, che per primo raccontò la vita del santo, così scrisse: «Si dispone la greppia, si porta il fieno, sono menati il bue e l’asino. Si onora ivi la semplicità, si esalta la povertà, si loda l’umiltà e Greccio si trasforma quasi in una nuova Betlemme.» La sua sacra rappresentazione rimase molto semplice, tanto che non figuravano né Maria, né Giuseppe, tantomeno il Bambin Gesù. Appoggiato sulla paglia, accompagnato dal bue e dall’asinello, c’era solo un altare sul quale celebrò la Santa Messa. Fu il cavaliere convertito Giovanni di Greccio che, osservando la scena, così come raccontato da Bonaventura da Bagnoregio “affermò di avere veduto, dentro la mangiatoia, un bellissimo bimbo addormentato che il beato Francesco, stringendolo con ambedue le braccia, sembrava destare dal sonno”. Da qui partì l’idea di una ricostruzione plastica dell’evento che nel corso dei secoli, influenzato dalle culture nel quale veniva impiantato, cambiava ad immagine del popoli e delle loro influenze storico artistiche.

Più curioso è invece l’universo di personaggi che lo animano e che non tutti derivano dai testi dei Vangeli di Marco e Luca, ovvero quelli che ci offrono qualche informazione sull’infanzia di Gesù, perché, in realtà, di quel lasso di tempo sappiamo davvero poco. I vangeli canonici, ovvero quelli accettati come veri dalla chiesa cattolica, ci parlano di una mangiatoia, di adorazione dei pastori e della presenza di angeli nel cielo. L’iconografia classica ci suggerisce poi Maria con una veste azzurra a rappresentare il cielo, mentre san Giuseppe viene dipinto in abiti molto semplici e poveri per rappresentare l’umiltà. Per san Giuseppe mi viene da spendere due parole in più che ci introdurranno un’altra fonte dalla quale la rappresentazione sacra pesca a grandi mani: il Protovangelo di Giacomo, un vangelo cioè scartato e ritenuto apocrifo, perché scritto molto tempo dopo i fatti avvenuti e perché offre una versione della vita di Gesù che troppo si avvicina alle necessità di una fetta di credenti che desideravano una narrazione più consona ai propri bisogni. Il marito di Maria viene sempre raffigurato come un vecchio con la lunga barba bianca per due motivi ben precisi: il primo per non far intendere che potesse avere dei desideri del tutto umani verso la sua consorte, il secondo per giustificare il fatto che ad un certo punto dei vangeli canonici vengono citati dei fratelli di Gesù Così infatti recita il testo: «Allora il sacerdote disse a Giuseppe: “Tu sei stato prescelto a ricevere la vergine del Signore in tua custodia! Giuseppe si schermì dicendo: “Ho già figli e sono vecchio, mentre essa è una fanciulla! Che io non abbia a diventare oggetto di scherno per i figli di Israele!”»

Torniamo al presepe, il bue e l’asinello ad esempio sono tratti anche da una profezia di Isaia che così recita: “Il bue ha riconosciuto il suo proprietario e l’asino la greppia del suo padrone”. Non è scontato che questo si riferisse alla natività, ma i due animali diventarono presto il simbolo degli ebrei (il bue) e dei pagani (l’asino). La stessa grotta non è citata da nessuna parte nei vangeli canonici che parlano solo di mangiatoia, però la grotta è da sempre stata simbolo di mistero legato alla vita, da essa sgorgano acque che simboleggiano la nascita e la rinascita. Porfirio, un filosofo di origine etrusca, così scrisse al riguardo: “Gli antichi consacravano davvero opportunamente antri e caverne al cosmo, considerato nella sua totalità o nelle sue parti”.

Matteo ci racconta della venuta dei re Magi, ovvero dei sapienti o dei sacerdoti, probabilmente zoroastriani, che arrivarono dall’oriente con tre doni, ma è ancora un vangelo apocrifo, quello Armeno dell’infanzia a darci nomi ed origini precise: Melkon (Melchiorre) dalla Persia con in dono oro, simbolo di regalità, Gaspar (Gaspare) dall’Arabia meridionale con in dono incenso, simbolo della natura divina e Balthasar (Baldassarre) dall’Etiopia, con in dono mirra, simbolo della natura umana e prefigurazione della sua morte. Più tardi gli si attribuiranno anche il simbolo dei popoli appartenenti alle terre allora conosciute Europa, Asia e Africa, ma, inizialmente, il numero non era preciso, si pensava potessero essere tra i due ed i dodici. Papa Leone Magno, per dirimere la questione decise che, se i doni erano tre, pure i Magi dovevano essere tre e questione chiusa.

Per ultimo la stella cometa. Matteo ci dice che i Magi seguirono una luce, una stella particolarmente luminosa per trovare l’orientamento e capire quale strada seguire. Alcuni parlano dell’apparizione di una supernova, altri dicono che si trattò di un allineamento straordinario di alcuni pianeti e siccome i Magi erano sicuramente esperti astrologi, furono in grado di prevederla. Altri ancora parlano di una cometa vera e propria, quella di Halley che comparve per l’ultima volta nel cielo nel 1986. Dai calcoli astronomici sappiamo che un passaggio avvenne nel 12 a.C. per cui è possibile che sia stata proprio lei ad indicare la via, di certo sappiamo che il 25 ottobre 1301 fu avvistata nei cieli italiani e che un pittore di nome Giotto, rimastone affascinato, la ritrasse nella cappella degli Scrovegni a Padova proprio nell’affresco dell’adorazione dei Magi. Da quel momento in poi è entrata a far parte delle nostre sacre rappresentazioni.

I particolari dei nostri presepi viventi si arricchiscono ancor di più con l’aggiunta di scene in cui la nascita di Gesù viene affiancata dalla rappresentazione delle varie arti e dei vari mestieri del popolo, il suo popolo, che ogni anno lo omaggia con la semplicità dei gesti quotidiani che si ripetono ormai da millenni. Questo è un segno che deve riportarci al messaggio iniziale e più profondo del Natale, che è il ricordo della nascita di un bambino speciale, unico. Dio che per rendersi tangibile diventa come uno di noi per farsi guardare, per farsi toccare e soprattutto per parlare con noi. Ricordiamocelo quando in questi giorni cammineremo al freddo e al gelo per rifare un tuffo nel passato, nel presente dei nostri borghi e nel fondo del nostro cuore.
Buon Natale a tutti.