prima parte
La Lunigiana è una terra strana, così come strane sono le dinamiche che la attraversano. A fronte di mille possibilità e prospettive, si rispecchia nell’incapacità di riuscire a trattenere le persone, i giovani più di tutti, che, appena possono, scappano per cercare fortuna altrove. A malincuore, certo, ma consci che l’humus economico forse non è ancora fertile abbastanza per permettere loro di crescere e radicarsi nella loro terra stabilmente, spingendoli a preferire avventure non sempre esaltanti nelle vicine province di Parma, La Spezia e Reggio Emilia. A questa situazione, si contrappone la scoperta del territorio lunigianese da parte di persone, spesso straniere, che scorgono tra queste montagne la possibilità di ritrovare un’alternativa alla frenesia delle grandi città, dalle quali spesso fuggono, per trovare pace e serenità.
Nulla di più facile è camminare tra le vie dei borghi delle terre della luna, incrociando persone che parlano lingue straniere. In questi ultimi anni, inglesi, americani, olandesi, australiani e in genere nord europei hanno comprato le case ormai in rovina, ridando vita a paesini e contrade che ormai sembravano destinati a morire. In questo contesto, ho avuto modo di conoscere persone, davvero, da ogni parte del mondo, ognuno con la propria storia da raccontare ed il proprio bagaglio culturale da condividere. Tra essi ho avuto la fortuna di conoscere un uomo la cui cordialità e gentilezza mi ha colpito da subito. Scambiandoci due chiacchiere, ho scoperto di avere a che fare con un grande regista di Hollywood, Peter Chelsom, che ha scelto di vivere tra le montagne delle Lunigiana, come un lunigianese qualsiasi, diventando a tutti gli effetti un nostro paesano, un’affabile amico col quale bere tranquillamente un caffè la mattina parlando del più o del meno. Qualche giorno fa gli ho chiesto in punta di piedi se poteva concedermi una piccola intervista e pochi giorni dopo, seduti ad un tavolino di un bar, con una gentilezza di altri tempi, ha lasciato che gli rivolgessi qualche domanda.
Chi è Peter Chelsom? Come ha cominciato la sua carriera artistica?
Ho cominciato la mia carriera artistica da attore. Sono stato il primo a recitare in ruoli da protagonista, prima dei trent’anni, alla Royal Shakespeare Company, al Royal National Theatre e al Royal Court Theatre a Londra. Ho avuto ruoli da protagonista sia in film che in fiction televisive ma l’ultimo spettacolo che ho fatto a teatro è stato con Antony Hopkins al National Theatre in una commedia intitolata “Pravda”, lui era fantastico.
Come è passato dal palco alla regia?
Non mi sentivo a mio agio a recitare, ero attratto dalla dalla regia. Ti racconto un momento chiave di questa conversione: l’ultima interpretazione a cui ho lavorato, è stata in una commedia di Moliere per la BBC. Sir Nigel Hawthorn, famoso per la sua interpretazione ne ”La pazzia di re Giorgio”, mi disse: ‘Peter tu dovresti davvero fare il regista’ ed io pensai che me lo avesse detto per suggerirmi educatamente di cambiare mestiere. Lui capì il mio imbarazzo e mi disse: ‘No, tu sei veramente un bravo attore, ma il tuo terzo occhio è troppo sviluppato’ perché aveva capito che avevo più una visone da regista. Non mi perdevo nella parte dal momento, che vedevo come un regista. È stato un momento eccitante, ma anche deprimente, avevo trent’anni all’epoca ed ho pensato che avrei dovuto ricominciare da zero. La verità è che avrei solo dovuto cambiare corsia in una strada che già conoscevo, perché, comunque, godevo già di una certa fama nel mondo dello spettacolo. Nel mio primo film mi sono sentito molto a mio agio sia per quanto riguarda la regia che per quanto riguarda la fotografia.
A proposito di fotografia, so che è un bravissimo fotografo, ho visitato la sua mostra a Forte di Marmi l’estate scorsa. Come è nato questo amore?
Mio padre, che venne a mancare poco prima che io compissi 14 anni, mi regalò una Kodak Retinette 1B e, da quel momento, tutto il mondo divenne una fotografia. Divenne un’ossessione. Ora, guardando indietro, mi sono reso conto che fotografare era il mio modo per passare del tempo con lui, perché anche lui amava la fotografia. Fotografare è come fare delle istantanee all’umanità. Così, rendendomi conto di essere molto capace nella fotografia, sapendo di capire profondamente la recitazione e la drammaturgia, mi sono sentito subito a mio agio. Io ora posso avere a che fare attori di vario tipo, non sono un purista. Alcuni hanno un certo modo di lavorare ed io posso farlo con tutti i tipi di attori, ma negli ultimi dieci anni – è molto interessante questa cosa – mi piace di più non dirigere. Ad esempio mi piace essere sorpreso, creando l’atmosfera giusta, senza ingombrare la testa di un attore, creandogli confusione perché è la cosa peggiore. Un esempio è “Security” un film che mi ha reso molto orgoglioso e non solo perché è stato al terzo posto nel mondo tra i film più visti su Netflix. In “Security” non c’è traccia di recitazione, tutti sembrano spontanei e gli attori sono spettacolari”
Questo vuol dire che lascia agli attori la possibilità di recitare come vogliono?
Entro certi limiti, ovviamente, facciamo delle prove, ma riguardo l’improvvisazione… ti faccio un esempio: Fabrizio Bentivoglio. Alla fine delle riprese io dò lo stop ad una scena e lui è fantastico. Si gira verso di me e mi chiede se voglio farne un’altra. Io gli rispondo che non ne ho bisogno, ma se vuole farne un’altra per me è ok. Allora lui mi chiede se ho qualche suggerimento ed io gli rispondo che ne ho un sacco. Quali sono? “Non te li dico” gli rispondo. Allora gli dico ‘Fabrizio, tu sei esattamente nel posto giusto’. Alcuni registi hanno il loro stile, io non penso di averne uno, ho solo una mia versione della realtà che deve essere credibile, vera. Così gli ho detto: ‘Fabrizio credo che la tua interpretazione sia adeguata, probabilmente sei in grado di dirigerti meglio di quanto possa farlo io, ma ho un solo suggerimento: goditi il risultato e basta, mi va bene così.’ La scena dopo è stata fantastica, lui mi ha chiesto se gli fosse piaciuta ed io gli ho risposto che si era diretto molto bene, ma alla fine del film sarà scritto che il regista è Peter Chelsom e ci siamo messi a ridere. Quando lavori con un attore davvero bravo, devi vedere il suo istinto”
È ciò che è successo anche nel suo ultimo film?
Lasciamelo dire, nel film che uscirà a Natale col titolo di ‘Ops! È già Natale’, la protagonista è una ragazzina di 10 anni: per molto tempo l’ho lasciata andare da sola, perché il suo istinto era davvero notevole. Io ho fatto la scuola di recitazione, ho anche insegnato, ma non ho voluto farlo con lei e le ho lasciato la libertà di fare le sue scelte. Naturalmente l’ho diretta ma era così brava.
Come sceglie gli attori in un suo film?
Nell’insieme la risposta è semplice, è importante che mi piacciano. Quando hai grandi nomi, di solito, vai da loro, ma per scegliere il ruolo della ragazzina nel mio ultimo film ho visionato migliaia di ragazze negli Stati Uniti, con dei provini registrati e poi ne ho fatti alcuni live in videoconferenza e quando ho visto Antonella, come ho detto in un’intervista a Roma la scorsa settimana, ho deciso di prenderla ancor prima che aprisse la bocca. Poi lei ha cominciato a parlare: è davvero molto simpatica ed ho notato che riusciva a entrare subito nel personaggio, inserendosi al giusto momento nella scena. Ho chiamato il direttore del casting e, prima ancora che dicesse una parola, l’ho indicata come la protagonista. Ho visto qualcosa di così professionale in una ragazzina di dieci anni. Tornando alla domanda: ancora di più, oggi, mi deve piacere l’attore. Torniamo indietro alla fotografia…
Ok torniamo indietro…
C’era una brava giornalista di Sky television, Valentina Clemente, che all’apertura della mostra mi ha chiesto che cosa volessi che le persone percepissero guardando le mie fotografie, visto che da quando era entrata dentro, non aveva mai smesso di sorridere. È stata una domanda molto carina e le ho risposto che non ho mai scattato una fotografia senza provare affetto e, spero, vorrei che questo affetto si trasmettesse al pubblico, allo spettatore. La stessa cosa succede nei miei film. Mi piacerebbe sapere che trasmettono più affetto di altri, lo stesso che io provo nel farli. Gli attori in questo modo recitano più intimamente pur cercando di immedesimarsi pienamente nel loro personaggio, offrendo una visione anche personale dell’interpretazione.
Quando decide di fare un film, ha già in mente chi lo può interpretare?
A volte sì. Il film “Funny bones” (Il commediante, n.d.r.) ad esempio, una dark comedy ambientata a Blackpool, la mia città natale, l’ho scritto per Jerry Lewis e Leslie Caron ed un altro paio di attori che hanno subito accettato. Altre volte, i produttori mi spingono a cercare dei nomi importanti, ma è bello poter raggiungere un punto in cui, grazie ai buoni rapporti che ho con attori di grosso calibro, io possa contattarli direttamente come ho già fatto molte altre volte”
Tranne quando le grandi produzioni la chiamano per proporle un film da dirigere: da dove viene l’idea per crearne uno per conto suo? Da un libro, un racconto?
No, ad esempio i miei primi tre film, che sono stati chiamati la trilogia di Blackpool, sono totalmente inventati e, quando hanno ricevuto le nomination ai BAFTA, ho capito che ero sulla strada giusta. Mi hanno incoraggiato a continuare. Io partecipo alla scrittura, alla costruzione della sceneggiatura che, a volte, rivedo se non la scrivo o riscrivo totalmente. Mi sono capitate delle storie non mie che, però, ho dovuto rivedere, anche con coautori, per adeguarle alle mie necessità, per far sì che io potessi trasformarle in film. Nel film in uscita tra un mese “Ops! È già Natale”, per esempio, con la mia coautrice Tinker Lindsay, con la quale scrivo da più di trent’anni, abbiamo rifatto completamente la sceneggiatura, prendendola da un altro film. Nel film “Shall we dance?” esisteva già una sceneggiatura, che noi abbiamo appena ritoccato, così come in Serendipity. Questi sono esempi in cui le produzioni avevano già una storia e sono venute da me.
Una curiosità: è vero che Jennifer Lopez e Richard Gere fecero le prove del famoso ballo ognuno per conto loro?
Sì, è stata una mia idea quella di fare la scena del ballo, quella della lezione privata, utilizzando quella musica. Ricordo che discutendo con Harvey Winestein e Richard, avevo con me questo pezzo, ‘Santa Maria’ dei Gotan Project e gliel’ho fatto sentire, spiegandogli che questo era un film sulla danza ed aveva bisogno di qualcosa di provocatorio e sexy, un ballo che valesse dieci pagine di dialogo, perché c’è un’ambivalenza sulla loro relazione. Lei non la vuole, mentre lui pensa che lei la stia cercando, lui vuole solo tornare a sentire il sangue scorrergli nelle vene, vuole tornare a sentirsi vivo e questa cosa ha funzionato. È vero Jennifer era occupata e provava addirittura in un altro continente, erano due cuori uniti dalla stessa danza.
continua…