Dopo una settimana di tempo alquanto incerto oggi è una giornata stupenda con una bella temperatura che invita a muovere le gambe; ed allora partiamo. Risaliamo da Carrara fino a Campocecina su di una strada che, lasciatemelo dire, rispetto all’ultima volta che l’abbiamo percorsa è stata interamente risistemata tanto da sembrare un tavolo da biliardo. Era ora!
Arrivati al Piazzale dell’Uccelliera, pieghiamo a destra verso la Foce di Pianza a quota 1275, sulla via del Morlungo, una volta asfaltata, che il traffico dei camion provenienti dalle cave del monte Borla ha ridotto ad una pista sassosa e piena di buche. Comunque arriviamo e, dopo aver ammirato l’incredibile panorama sul mare e sulle cave sottostanti, cominciamo a risalire i sentieri CAI 172 e 173; al bivio, dopo circa dieci minuti, pieghiamo a sinistra sul 173 e scendiamo per un breve tratto leggermente esposto per poi iniziare la salita vera e propria che aggira le cave del Sagro.
A quaranta minuti dalla partenza incontriamo il sentiero contrassegnato con vernice gialla e blu che porta in vetta al Sagro, mentre il 173 piega a sinistra, in leggera salita, sul pratone ovest del monte stesso. Procediamo senza difficoltà fino a scollinare la cresta nord ovest; da qui in avanti il sentiero è poco più di una cengia, comunque ben attrezzata con funi metalliche che danno sicurezza in ogni punto. È ovvio, tuttavia, osservare che in inverno, con il ghiaccio, è estremamente imprudente avventurarvisi.
In una ventina di minuti eccoci alla Foce di Faneletto a quota 1427, dove arriva la cresta dalla cima Tre Uomini che ci proponiamo di fare al ritorno. Una breve sosta per ammirare il panorama che va dal mare al monte Borla, alla valle del fiume Lucido, poi su fino al Pizzo d’Uccello con la Cresta Nattapiana ed il sottostante paese di Vinca, quindi alla strapiombante parete est dl Sagro.
Scendiamo sulla destra lungo il 173, che continua ad essere attrezzato per un breve tratto, e ci immettiamo in una fresca faggeta fino ad una vasta pietraia che attraversiamo con prudenza, a causa del fondo instabile, per proseguire poi fino al Catino, una conca ricoperta di faggi che scende fra il crinale nord del Sagro ed i contrafforti del Puntone della Piastra e la Punta Varino. Arrivati al Catino proseguiamo su 173 fino alla Foce del Pollaro, circa duecento metri più avanti, e qui ci fermiamo per rifocillarci dopo due ore e mezzo di cammino.
Sotto di noi la valle di Vinca e più in alto tutta la Cresta del Garnerone fino ai primi contrafforti del monte Grondilice e dietro, maestoso, il monte Pisanino, il Re delle Apuane. Ce la prendiamo comoda perché uno spettacolo così, mica si vede tutti i giorni!
Dopo una quarantina di minuti torniamo sui nostri passi sul 173, che lasciamo non appena troviamo due “ometti” che segnano l’inizio del “Sentiero del Catino”. Ora chiamarlo sentiero è veramente un eufemismo: in effetti, non ce n’è alcuna traccia, il fondo è un morbido tappeto di foglie invaso da innumerevoli rami e tronchi di vecchi alberi caduti; fortunatamente ogni tanto s’incontrano dei provvidenziali cumuli di pietre, gli ometti appunto, alcuni dei quali difficilmente riconoscibili perché ricoperti da muschio, che danno la certezza di non aver smarrito la strada.
Dopo circa un chilometro attraversiamo una bella radura ricoperta da bassi cespugli di ginepro e poi di nuovo fra gli alberi fino a perdere ogni traccia; proseguiamo “a naso” tenendoci sempre sulla sinistra del bosco, che ora precipita a valle, fino a trovar un passaggio che risale e ci porta finalmente su una traccia ben visibile seguendo la quale arriviamo su un pratone di paleo alla cui sommità, sulla sinistra, scorgiamo la sagoma di uno dei Tre uomini. Saliamo, sotto il sole che picchia forte, fra ginepri nani, elicrisi profumati, erica e ginestrelle in fiore e timo fino alla meta dopo oltre quattro ore di cammino.
I Tre Uomini sono in effetti tre grossi cumuli di pietre allineati a poche decine di metri l’uno dall’altro, che si stagliano sul crinale e sono ben visibili perfino dal paese di Vinca. Lo spettacolo attorno a noi è imponente e ce ne riempiamo gli occhi in rispettoso silenzio.
Alcune foto di rito e poi dovremmo proseguire sul crinale fino alla Foce del Faneletto, ma, siccome in una precedente escursione una componente del gruppo, scivolando malamente in un guado, si è procurata una piccola frattura composta al radio del braccio sinistro, tanto da dover portare un tutore che le blocca il polso, non riteniamo opportuno dover affrontare la cengia che abbiamo fatto all’andata perché la fune di sicurezza questa volta dovrebbe essere afferrata, in caso di necessità, proprio con quel braccio.
Decidiamo allora di scendere, in un mare di ginestre nane in fiore, fino ad incontrare la vecchia via di cava che serviva per portare i blocchi di marmo alla lizza e successivamente alla teleferica, ora dismessa, del Balzone, uno strapiombo che incombe sulla via che da Monzone risale verso il paese di Vinca.
Ci aspettano circa tre chilometri di strada di cava contornata in un primo tratto da pini, in mezzo ai quali abbiamo la fortuna di trovare tre bei funghi della famiglia dei boleti granulati o pinuzzi, e piante di maggiociondolo ricolme dei caratteristici fiori gialli a grappolo poi entriamo nel cuore del bacino marmifero del complesso Sagro-Borla e proseguiamo in mezzo al biancore del marmo fino alle case Walton, un gruppo di costruzioni, quasi tutte diroccate, che servivano da alloggio ai cavatori che qui trascorrevano le settimane lavorative e poi ancora su fino alla Foce di Pianza, dove finisce la nostra giornata.
Abbiamo percorso nove chilometri, oltre cinque ore di cammino effettivo, 576 metri di dislivello e consumato un bel po’ di calorie che, però, riprenderemo appena giunti a casa dove ci aspetta la rituale merenda accompagnata da birra, per gli altri, ed un ottimo Grignolino piemontese per me.