La carota selvatica appartiene alla famiglia delle Ombrellifere. Ritenuta un’erba infestante, la si trova ovunque nelle nostre campagne, anche in luoghi aridi e sul ciglio delle strade. Il termine “carota” deriva dal greco Karotón. Per “daucus”, invece, esistono due interpretazioni: daucus = riscaldo, in riferimento alle proprietà “riscaldanti” della pianta e dakkos = pianta selvatica. La pianta ha una grossa radice commestibile che, invecchiando, diventa legnosa. A differenze della carota coltivata, che è arancione, la radice della carota selvatica è di colore giallo biancastro. Con i suoi fiori bianchi a forma di ombrello la “bastonata” è molto vistosa e riconoscibile: i fiori sono piccoli, bianchi, con cinque petali, in mezzo ai quali, quasi sempre, c’è un fiore quasi nero. La carota selvatica è una pianta vitaminizzante, mineralizzante, diuretica, depurativa, regolatrice intestinale, antinfiammatoria, carminativa, cioè aiuta a espellere gas intestinali. Le sue proprietà antinfiammatorie, cicatrizzanti e lenitive, sono conosciute da sempre. La polpa cruda veniva utilizzata in passato direttamente sulla pelle per curare bruciature, orzaioli, dermatiti ed altre affezioni cutanee di origine infiammatoria; è consigliata quando vogliamo dare nuovo vigore e tono alla pelle, ma anche in caso di cicatrici, smagliature e acne. Inoltre la carota selvatica si rivela particolarmente efficace nella protezione e preparazione della pelle all’esposizione al sole, aiutando l’abbronzatura e impedendo l’aggressione dei raggi ultravioletti. Questa sua caratteristica si rivela molto utile anche in inverno, perchè protegge la pelle dal freddo. Un altro uso delle radici è quello della preparazione di decotti, in grado di attenuare le infiammazioni dello stomaco e dell’intestino, stimolare la diuresi e depurare l’organismo.
La carota selvatica è molto apprezzata per le sue proprietà alimentari e trova diversi usi in cucina: le foglie tenere della rosetta basale e anche la radice sono consumate crude in insalata o cotte, assieme ad altri erbi. Le radici possono essere tagliate a pezzi e lessate, si possono poi aggiungere alle minestre o possono essere condite con olio e sale e limone, Con i semi, oltre alla preparazione di bevande digestive, si possono fare degli ottimi liquori. Tuttavia della carota selvatica la parte edibile di maggiore pregio non è la radice, bensì la rosetta di foglie basali che si raccoglie in primavera, quando le foglie sono più tenere. Le radici invece vanno raccolte nel tardo autunno quando sono più grosse e sempre in autunno si raccolgono i semi, a piena maturazione, quando i fiori iniziano a seccare.
ATTENZIONE: alla stessa famiglia a cui appartiene la carota troviamo anche alcune specie velenose che possono, se ingerite, portare persino alla morte come la cicuta, quindi prestate particolare attenzione durante la raccolta. L’elemento che ci permette sicuramente di distinguere le due specie è l’odore: se strofiniamo le foglie della carota sentiremo l’inconfondibile aroma della carota, la cicuta invece emana un odore sgradevole, acre e nauseabondo, che ricorda urina di topo o di gatto. Il fiore della cicuta, inoltre, non presenta il caratteristico fiorellino nero al centro dell’infiorescenza. Tuttavia, dal momento che quando si raccolgono le foglie l’infiorescenza non è ancora presente, l’olfatto resta il principale alleato per riconoscere le due specie. Nel dubbio: non raccoglietela.
Curiosità : Nell’ antichità si i riteneva che un fiore di carota, raccolto nelle notti di luna piena, servisse a curare l’epilessia, che aumentasse la fertilità e che fosse afrodisiaco. In Inghilterra un tempo si instaurò fra le dame la moda di mettere tra i capelli rami fioriti di carota selvatica, come segno di disponibilità a farsi corteggiare. Sembra, inoltre, che le cimici, in particolare la cimice carabiniere (quella di colore rosso-nero), siano attratte particolarmente dall’ infiorescenza ad ombrella della carota selvatica.