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Diari Toscani

Giornale di cultura, viaggi, enogastronomia e società

Chianti, numismatica e novella toscana del cantuccio e vinsanto

DiSilvia Ammavuta

Ott 21, 2023

seconda e ultima parte

Siamo arrivati a Barbischio, in lontananza sentiamo il suono delle campane. Claudio mi fa cenno di sedermi sotto la pergola dell’Osteria il Papavero: “Adesso ci prendiamo un vinsanto con i cantuccini, però prima vado in casa.” 

Ritorna in breve tempo con uno dei suoi fogli. “Ecco una curiosità: la chiesa di Gaiole fu consacrata nel 1959 e prima di allora matrimoni e battesimi e funerali si officiavano alla Pieve di Santa Maria a Spaltenna, che divenne fra il 1102 e il 1110 la prima per importanza dopo che la Pieve di San Pietro in Avenano andò in decadimento.

Pieve di Speltenna

Purtroppo oggi la Pieve di Spaltenna è chiusa per restauro. Ecco perché al suono delle campane sono andato a prendere questo foglio, ho trascritto alcune notizie curiose tratte da un documento del Liber Censuum Communis Pistorii di Guido Santoli di Pistoia, relativo al periodo storico 1220-1270, inerenti le monete, per esempio: una campana per una chiesa in quel periodo costava 12 mila denari, l’equivalente di 50 lire, anche se la lira non esisteva fisicamente come moneta. L’unità di conto era il denaro, e sempre per restare in tema di oggetti per la chiesa: una tovaglia da altare costava 672 denari. In questo documento i costi vengono espressi in denari pisani. Pisa coniava appunto i suoi, simili comunque a quelli di Lucca, che erano quelli usati nella nostra zona. Tra gli inizi dell’anno 1000 fino al 1180 circa, la moneta più importante in Toscana fu proprio la moneta lucchese, e la sua zecca è la più antica zecca toscana in assoluto. Ci sarebbe ancora tanto da dire sulle monete e sulla loro storia, vedrai che nel corso dei nostri incontri ne parleremo ancora, ora però: cantuccini, vinsanto… e una storia: questa la racconto spesso ai miei ospiti e, dato che è una storia che rischia di perdersi, è bene rammentarla e tenerla viva, perché appartiene al passato dei nostri nonni e bisnonni. Mangiare cantucci e vinsanto è un vero e proprio rituale. Intanto, il cantuccio viene chiamato anche biscotto di Prato, perché è proprio lì che nasce questo dolce, nella storica pasticceria Mattei alla fine del 1800. È un dolce prettamente rinascimentale, come lo è anche la pasticceria senese: era un biscotto molto ricco con uvetta e canditi. Mattei decise di togliere quest’ultimi e inserire le mandorle. Il cantuccio ha una consistenza parecchio dura, possiamo dire che è marmoreo, quindi il fatto di inzupparlo nel vinsanto fa sì che diventi più friabile per poterlo gustare meglio.

Nel passato i nostri nonni e bisnonni non inzuppavano questo biscotto in modo casuale, prima di mangiarlo lo bagnavano esattamente sette volte. Una curiosa novella toscana della fine del 1800 racconta che il vinsanto era, ed è tutt’oggi, il vino dei preti, in quanto, in Toscana, il sacerdote celebra la messa, l’eucarestia, con il vinsanto come sangue di Cristo. In quel periodo, qui nel Chianti avevamo più vino bianco, quindi questa è proprio tradizione nostra. Piccolo inciso: il vinsanto è più alcolico del vino, e siccome i preti fanno più messe al giorno, io consiglio sempre la messa pomeridiana perché sarà indubbiamente più divertente! Da ragazzino ho fatto il chierichetto e servivo messa, come molti altri, perché poi il prete ci faceva assaggiare il vinsanto. Tornando al cantuccio: in genere lo si mangia quando si è già sazi, perciò il dolce è la gola, che è uno dei sette peccati capitali. Tutti hanno fatto  almeno sette peccai perciò, nello specifico, se si prende uno dei peccati e lo si inzuppa sette volte in un vino santo che toglie i peccati, quando lo vai a mangiare ti purifichi da ciascuno di essi. Ai miei ospiti dico sempre: ora che avete mangiato cantucci e vinsanto siete lindi! La novella continua con un però: dopo esserci alzati da tavola, purificati ben bene, solitamente la sera si torna in camera da letto, e lì sì che son dolori: torniamo a essere peccatori. Quindi, il giorno dopo dobbiamo bere di nuovo il vinsanto. La novella conclude così: questa è la ragione per cui i preti tutti i giorni bevono il vinsanto.