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Diari Toscani

Giornale di cultura, viaggi, enogastronomia e società

La Cancel Culture in Sudafrica

DiStefano Guidaci

Set 26, 2023

parte prima

Agli inizi di settembre, mentre mi trovavo in Kenya in visita al mio orfanotrofio, ho ricevuto la visita di una piccola delegazione del Rotary club di Mombasa,  che mi ha proposto, tra le altre cose, la possibilità di partecipare con loro, come uditori, ad una conferenza internazionale sulla “Cancel Culture” che si sarebbe tenuta, il 9 settembre, presso la Witwatersrand University a Johannesburg.

Attratto, come sempre, dall’dea di esplorare nuove culture nelle realtà africane, ho accettato l’offerta e sono partito per Johannesburg, dove la stagione era alla fine dell’inverno e faceva ancora piuttosto freddo, tanto da dover correre a comprare indumenti pesanti e da farmi prendere un fortissimo raffreddore. Nonostante l’indisposizione, il giorno successivo, ero puntualissimo nell’aula magna, dove, alle 8,30, il Magnifico Rettore, professor Zeblon Zenzele Vilakazi, dopo un breve saluto, apriva i lavori.  Il primo relatore, il  professore e giornalista  Mrototo, ha subito sottolineato la differenza con la “call-out culture”, la quale si limita alla richiesta di pubbliche “scuse” e/o il “ravvedimento” della persona o dell’azienda che colpisce con espressioni ritenute “offensive” alla pubblica morale. “ La Cancel Culture, al contrario – ha spiegato il professor Mrototo – è la tendenza, diventata molto diffusa in rete, a rimuovere dalla produzione culturale persone o aziende che si considerano colpevoli di aver sostenuto, anche in passato, o con presunte singole azioni personali, incluse opere d’arte, valori contrari ai diritti delle minoranze, alla parità di genere, all’uguaglianza e in generale al politicamente corretto. Il termine “cancel culture” si è diffuso a partire dal 2017, in un gruppo informale Twitter composto per lo più da utenti afroamericani e trae le sue origine dal “Movimento Me too”, infatti, con tale termine, si definiva inizialmente lo “smettere di dare supporto a una determinata persona” con mezzi come il “boicottaggio” o la “mancata promozione” delle sue attività. Ciò nel tentativo di danneggiare anche economicamente quella persona, giudicata moralmente o socialmente deprecabile”. Il professor Mrototo ha spiegato anche questo tipo di approccio si è diffuso così rapidamente nel loro stato: “Verso il 2015, un gruppo di studenti e uomini di cultura appartenenti a gruppi twitter, iniziarono a manifestare un atteggiamento di colpevolizzazione nei confronti di personaggi o aziende che commettevano ancora errori o scorrettezze verso le popolazioni di colore, nonostante l’apartheid avesse avuto il suo capitolo finale  oltre 30 anni prima. In quel periodo, il Sudafrica aveva subito un’immensa pressione economica per porre fine all’apartheid. Le banche e le società di investimento si erano ritirate dal Sudafrica, indicando che non avrebbero investito nel paese fino alla fine del  razzismo istituzionalizzato. Anche molte chiese hanno esercitato pressioni, culminate con manifestazioni violente organizzate da masse di sudafricani determinati ad un radicale cambio di rotta. Il combinarsi di questi fattori ha condannato il sistema. Così, nel 1990, sono iniziate le abrogazioni delle leggi razziali; quattro anni dopo, il Sudafrica ha avuto elezioni democratiche e le ultime tracce legali dell’apartheid sono state eliminate. Durante i primi anni duemila, comunque, il disgusto per la segregazione razziale pianificato sulla base del “razzismo scientifico”, importato dal colonialismo britannico e la componente razzista religiosa di origine calvinista-olandese su cui si basava la giustificazione teologica della separazione delle razze non erano del tutto tramontati. In quegli anni,  in alcuni gruppi intellettuali in ambienti universitari cominciava a circolare l’idea che le stesse nazioni che, negli anni ‘80 e ‘90 avevano esercitato pressioni economiche e politiche tese a distruggere l’apartheid, fossero le stesse che lo avevano generato. Si cominciava così, gradualmente, a propagare il pensiero di eliminare certi abusi perpetrati dai governi occidentali da testi storici. La locuzione si estese rapidamente a tutti quegli ambiti di revisionismo e moderna iconoclastia che chiedevano, a vario titolo, la rimozione di monumenti, riconoscimenti e, in generale, puntando sull’azione di ciò che, a loro dire, era politicamente corretto.

continua…