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Diari Toscani

Giornale di cultura, viaggi, enogastronomia e società

Girovagando sulle Apuane: il monte Castagnolo

DiGiovanni Viaggi

Set 14, 2023

foto di Gianni Viaggi

C’è un monte, forse poco noto, ma dal quale si gode una vista incomparabile su tutto l’arco nord est delle Apuane ed in particolare sui monti Sagro, Grondilice, Contrario e Cavallo. Nonostante sia una cima minore, che arriva a quota di 1007 metri,  è particolarmente amata dagli escursionisti sia perché facilmente raggiungibile con un minimo di allenamento, sia per gli scorci panoramici che offre. Sto parlando del monte Castagnolo, che sovrasta e divide le valli di Resceto e di Forno.

Vetta del Castagnolo

Arriviamo al mattino presto a Resceto quota 482, un piccolo borgo di cavatori e pastori arroccato al termine dell’omonima valle e sviluppatosi ai tempi della costruenda e ben nota Via Vandelli, realizzata a metà del diciottesimo secolo per unire il Ducato di Modena a Massa. Siamo fortunati e troviamo parcheggio nella piccola piazza del paese, solitamente occupata dalle macchine degli escursionisti che da qui partono per  il monte Tambura o per le ardite vie di lizza che portano al rifugio Aronte e quindi al passo della Focolaccia.

Dopo aver parcheggiato torniamo indietro di un centinaio di metri per incontrare sulla destra, ben indicato, il sentiero CAI n°161.Cominciamo a salire attraverso un folto castagneto che offriva, un tempo, con i suoi frutti, cibo prezioso agli abitanti del borgo. Dopo circa dieci minuti incontriamo una strada abbandonata che doveva collegare la Garfagnana a Massa, sottopassando con una galleria il monte Tambura: progetto poi definitivamente abbandonato con conseguente spreco di danaro pubblico. Alcuni gradini in cemento riprendono il sentiero, che continua ad inerpicarsi fino ad incontrare una deviazione non segnata, che scende dal monte Girello fino al Pian dei Santi, per arrivare poi all’abitato di Forno.

Proseguiamo tenendo la destra, con la vegetazione che si fa sempre più scarsa, osservando in lontananza la bonifica che negli anni ‘30 si proponeva di creare dei terrazzamenti coltivabili, ma che, a tutt’oggi, appare completamente abbandonata. Il sentiero ora si fa più ripido e, costeggiando la roccia viva del monte, arriviamo, dopo un’ora e trenta circa dalla partenza, ad una deviazione che, abbandonando il sentiero 161, ci porta alla modesta cima del monte Castagnolo. La cima sarà pure modesta ma la vista che ci offre sull’anfiteatro delle Apuane è veramente impagabile.   Dopo una breve sosta torniamo sul 161 ed arriviamo alla sella della Cima della Croce da dove dovremmo proseguire sulla destra per il monte Mandriòla.

Qui incontriamo degli escursionisti provenienti dal bivacco Aronte, i quali ci sconsigliano vivamente di proseguire in quella direzione a causa di alcune cenge (sporgenze pianeggiante della roccia su parete ripida, a picco o strapiombante, che permette, alpinisticamente, un passaggio trasversale sul fianco del monte) molto esposte. Alcuni di noi esprimono i loro timori ed allora, per evitare che chi non si sente sicuro possa farsi del male, di comune accordo decidiamo di rinunciare. Tornare indietro? Non se ne parla nemmeno! Abbiamo un piano B che convince tutti: pieghiamo a sinistra per aggirare dal basso il monte della Mandriòla. Scendiamo quindi rapidamente, dopo aver superato l’omonima cava abbandonata ed un ravaneto il cui attraversamento necessita di un po’ d’attenzione, a causa dei detriti instabili, per arrivare a quota 800 fino ad incontrare il sentiero CAI n°36 che, piegando sulla destra, ci porterà fino alla foce della Vettolina a quota 1106 metri.

Il caldo di luglio, comincia a farsi sentire, ma, per fortuna, risalendo, ci imbattiamo in una provvidenziale fontanella di acqua freschissima presso la quale troviamo ristoro.  Qui comincia la risalita su una marmifera fino ad incontrare la cava del Cerignolo anch’essa abbandonata; lo spettacolo è deprimente: vecchi container arrugginiti, serbatoi, batterie e rottami vari di attrezzature di cava ci danno l’idea di come l’uomo, dopo aver sfruttato la montagna, l’abbia poi abbandonata in totale spregio della bellezza del luogo.

Continuiamo a salire attraversando varie piccole cave abbandonate fino ad incontrare una grossa corda che ci permette di superare facilmente un tratto scosceso. Da lì saliamo ancora e superata un’ultima cava seguiamo a destra, sotto il sole implacabile ed un caldo opprimente, appena mitigati da qualche refolo di vento, il sentiero che prosegue fra ginestre spinose  e paleo, che complicano notevolmente il cammino, fino ad un boschetto dove riprendiamo fiato, poi, dopo una breve discesa, incontriamo un tratto di roccia con corde metalliche che ci facilitano il passaggio.

Riprende la salita e finalmente dopo circa tre ore e mezzo dalla partenza arriviamo al passo della Vettolina, dove incrociamo il sentiero CAI n° 170. Breve sosta per rifocillarci e poi giù a rotta di collo lungo detto sentiero, certamente non facile, con alcuni balzi da discendere con la massima attenzione. Più in basso, dopo aver superato un altro ravaneto, il sentiero si apre, permettendo la vista della Cà del Fondo della Vandelli di fronte a noi e, sulla sinistra, la ripidissima lizza del Padulello, che sale fino al rifugio Aronte. Ancora altre cave abbandonate ed incrociamo il prosieguo della inutile strada che avevamo incontrato all’inizio del 161. Un altro breve tratto in discesa ed eccoci sul sentiero CAI n°35 Via Vandelli, che seguiamo sulla destra per arrivare, dopo sei ore circa dalla partenza, avendo superato un dislivello di 800 metri, al paese di Resceto.

La via Vandelli

Inutile dirlo siamo stanchi, cotti dal sole ma felici.  Mandriòla, ci rivedremo presto!