Francesco Massari è il negoziante più sui generis, che abbia mai conosciuto. La nostra amicizia è nata grazie a una gomma bucata, mentre pedalavo lungomare, a Marina di Ragusa, ed è proseguita negli anni, in occasione de L’Eroica, una manifestazione di biciclette d’epoca, che si tiene a Gaiole in Chianti, il primo fine settimana di ottobre. Un passo alla volta, anzi, una pedalata alla volta, partiamo lungo la strada del mestiere di Francesco.
La giornata volge al termine, così come la breve vacanza di Francesco e Flavia, la sua compagna. Siamo seduti nel mio angolo di paradiso, un paesino arroccato a tre chilometri da Gaiole. Francesco ha una flemma nel parlare, che rasenta quella anglosassone, tinteggiata però dalla passionalità sicula.
La domanda iniziale è se l’amore per la bicicletta è arrivato prima del suo mestiere di biciclettaio o dopo.
“A quattro o cinque anni, scendevo nel negozio-officina di moto del mio papà. Ero affascinato da quel mondo e, lì, conobbi la meccanica, molto importante nel mio mestiere di biciclettaio meccanico. Un biciclettaio si limita ad assemblare i pezzi, mentre un biciclettaio meccanico dà nuova vita a una bici vecchia, la fa rinascere”. A 15 anni interrompe gli studi di ragioneria: il suo mondo è nelle due ruote e va a lavorare nel negozio con il padre Vincenzo, dove, dopo qualche anno, viene inserito anche il reparto bici. “Lì nacque l’amore: non era lavoro, era una passione vera. Uscivo in bici, correvo. Ho avuto una squadra di ragazzini con la mountain bike, sono stato e sono allenatore sportivo, ho formato dei ragazzi, atleti ragusani, che hanno vinto campionati italiani e medagliati a livello mondiale”.
Francesco, di solito, è un uomo di poche parole. Volutamente non accendo la luce per non perdere il bagliore crepuscolare che rende l’atmosfera confidenziale e agevola la sua narrazione, in cui non si avverte la linea di demarcazione fra mestiere e passione. Mi rivela di essere conosciuto nel mondo del ciclismo per essere stato, per alcuni anni, commissario nazionale nel settore fuoristrada, e lo dice con una punta di modestia, che mi lascia piacevolmente colpita. Cosa faccia un biciclettaio meccanico, più o meno, lo si può intuire, ma ciò che fa Francesco va oltre, anche in questo caso, non vi è una linea di demarcazione che separi artigianato e arte.
Ogni singolo componente per costruire una bicicletta è pensato per quella bicicletta. Alcuni li fa fare appositamente, come le ruote che sono, per le bici artistiche, costruite in legno: ognuna di esse è un pezzo unico. Il legame fra bicicletta e mestiere è talmente stretto che gli chiedo cosa significhi per lui: “Già quando mi sveglio, penso a cosa ideare, cosa inventarmi di nuovo da proporre ai clienti”. Per un attimo, dimentico che stiamo parlando del suo mestiere, ovvero quell’attività che in fondo al mese deve, necessariamente, portarti un riscontro economico. Di nuovo mi stupisce: “È fondamentale capire quali siano le esigenze del cliente e creare fiducia fra te e lui. L’obiettivo non è quello di monetizzare: se vendi solo per i soldi, sei fuori mercato, già esistono grandi negozi che vendono a prezzi inferiori puntando sulla quantità”. Alcuni sono suoi clienti da oltre 30 anni e con essi si è instaurato un apporto di amicizia: il piacere sta nel vederli, parlarci e poi, dopo, arriva l’argomento bicicletta.
Come sempre sono a caccia di emozioni e sensazioni. La riservatezza di Francesco si arrende davanti alle mie domande. “Dare nuova vita al vecchio è un’emozione Quando finisci il restauro di una bici, la sensazione è che la vorresti tenere per te”. Infatti, a conferma di questo, in negozio, appesa alla parete c’è una vecchia bicicletta di Flavia, restaurata, e che, nonostante le molteplici richieste, non vende.
Cosa ci sia di così attraente nelle biciclette vecchie e scassate, lo riassume in una sola parola: “Hanno un’anima!”. Sempre con la sua flemma, mi racconta che, spesso, è oggetto di bonari sfottò da parte di amici, quando a Marina di Ragusa esce, per esempio, con una vecchia Graziella. Starci seduto sopra e accogliere il vento prodotto dal movimento, non è altro che respirare la storia di quella vecchia bici, ascoltare ciò che gli sta raccontando attraverso il cigolio della catena, dei freni, del telaio arrugginito. Solo dopo averla ascoltata, pensa a come darle nuova vita. In quella nuova vita, ad alcune bici, ha dato i colori del rosso cinabro, con le decorazioni fatte da amici, che simboleggiano la Trinacria, carretti siciliani su due ruote, che hanno varcato anche il confine, per arrivare in un museo di Los Angeles, in una esposizione insieme agli articoli di Dolce e Gabbana.
E, nuovamente, afferma che le situazioni si creano quando c’è un proposito, un obiettivo. Una conferma la ebbe quando fece conoscere il suo lavoro in una galleria d’arte di Milano: chiesero dieci biciclette artistiche da esporre, e fra quelle anche una con la decorazione del carretto siciliano. Gli ostacoli, spesso, sono un’occasione di crescita, e, infatti, l’ostacolo si presentò quando da Milano gli comunicarono che avrebbero dovuto spostare la data della mostra, in quanto in quei giorni c’era un’esposizione di Oliviero Toscani. Avendo già organizzato il viaggio si rifiutò di cambiare date. Dopo poco, arrivò la proposta di esporre con Toscani. “Bici e foto abbinati. Un successo incredibile!” anche il suo marchio “BeSpoke Cycles”, nato per le biciclette artistiche, ebbe un forte riconoscimento.
Si zittisce. So che sta elaborando un pensiero.: “A breve sarà inverno: è la stagione in cui mi godo il mio angolo di progettazione, di creatività, dove mi nutro dell’odore dell’officina, da cui scaturiscono idee e, intanto, insieme a un amico, andiamo avanti con il progetto Barocca, una manifestazione cicloturistica, che si terrà a Ragusa il 29 e il 30 aprile 2023“.
È quasi buio, ultime due domande. Quale presupposto deve esserci affinché venda una sua bicicletta artistica: “Al cliente devono brillare gli occhi quando la vede”. E se si sente un figlio d’arte: “Sì, se oggi sono questo lo devo al mio papà. Si faceva gli attrezzi da solo e io, fin da piccolo, ero sempre con gli attrezzi fra le mani, che, per questo, puzzavano sempre di benzina, anche quando andavo a scuola. Tutt’oggi, rievocare quell’odore con il pensiero mi emoziona”.
Foto per gentile concessione di Francesco Massari