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Diari Toscani

Giornale di cultura, viaggi, enogastronomia e società

Letteratura, cinema e teatro: le grandi passioni di Simone Romano

DiSelenia Erye

Ago 18, 2022

Vidi la prima volta Simone Romano in una giornata di pioggia nel centro della città di Massa, dove viveva, moltissimi anni fa. Lui era lì, con il suo lungo cappotto nero di pelle, che scrutava le montagne. Mi colpì, fin da subito, per l’immagine che dava di sé. Già allora sembrava uno scrittore in cerca d’ispirazione. Di strada ne ha percorsa parecchia, da quel pomeriggio invernale. Oggi Simone vive a Roma e spesso è in tournée nei maggiori teatri italiani. Scrittore, sceneggiature critico cinematografico, aiuto regista e coordinatore. È riuscito a realizzare il sogno che aveva da bambino e oggi sente di vivere la vita, che ha sempre desiderato vivere. Ha avuto coraggio, si è trasferito, e per raggiungere il suo obbiettivo ha lavorato sodo. Molto spesso il desiderio di esprimersi nasce in maniera del tutto inaspettata e ti accompagna nel percorso quotidiano: Simone ha trovato il modo di dar libero sfogo al suo essere, restando fedele al ragazzo che era. Rivedo oggi le sue foto e scorgo lo stesso sguardo fiero di allora.

Quando è nata la sua passione per la letteratura?

Prima ancora di imparare a leggere. Sono il più piccolo di tre fratelli, molto più grandi di me. Quando sono nato, tutti in famiglia sapevano già leggere. Vedevo mia madre e le maestre dell’asilo, aprire i libri e raccontare favole ad alta voce, guardandoci dentro e i miei fratelli fissarli in silenzio durante i pomeriggi. Sfogliavo le pagine, attratto più dai segni alfabetici, che dai disegni. Non ne capivo il significato, ma dovevano avere un senso per gli adulti. Un giorno, ricordo, chiesi al maggiore di leggermi la favola nel libro che teneva tra le mani. Rise. Era un’antologia delle medie. Si mise a leggere una lezione. Non capii quasi nulla. Lesse lentamente, tenendo il dito sotto le parole ed è lì che fui attraversato da un’intuizione: leggere dava accesso a ogni testo scritto; la lettura era un’abilità acquisibile. Non avevo più di quattro anni. Approdai alle elementari e imparai a leggere con grande entusiasmo. Potevo leggere le favole in autonomia. I libri dei miei fratelli. Tutti i libri del mondo. La lettura è diventata quasi da subito una funzione biologica per me. Non è un passatempo o una passione. A tutt’oggi rientra nei bisogni fisici. Non un’impellenza, ma resta una necessità. Ho superato da molto i duemila volumi letti.

Lei, per realizzare i suoi sogni si è trasferito ed ha lasciato la piccola provincia in cui era cresciuto. Com’è stata la sua esperienza, dove ha trovato la forza e cosa ha fatto scaturire la scintilla del cambiamento?

Non ho scelto Massa. È stata un’imposizione. Sono siciliano, siamo un popolo migrante. La mia famiglia non ha fatto eccezione. A Massa non sono riuscito a inserirmi nel contesto sociale. Volevo un luogo più ampio, una città complessa, attiva e vivace dove la quotidianità è molestata dagli imprevisti e non una replica costante. La mia filosofia geografica è la seguente: se sogni di vivere in un altro luogo, rispetto a quello in cui ti trovi, è giunto il momento di andarsene. In più, volevo entrare nel mondo dello spettacolo e la città dei teatri e del cinema, è Roma. Nomen omen. Sono cittadino di Roma per diritto di cognome. Alla fine, ho semplicemente sposato la città eterna, i suoi trambusti, i suoi trascorsi, le sue leggende, la sua maestosità. A Roma sto vivendo il mio presente. Sono nel posto giusto. Me lo dice il mio umore. Da quando vivo in questa metropoli, credo di aver scoperto la ricetta della felicità. Se mi si oscurano i pensieri, se sento lo spirito appesantirsi, mi bastano due passi in centro per ritrovare il sorriso. È litio puro. E poi la capitale sa accoglierti se tu accetti il suo carattere caotico, a metà tra il ricordo di un impero imponente e i disastri della civiltà moderna. Non ci vuole coraggio per cambiare, solo voler stare meglio.

Di che cosa si occupa nel mondo dello spettacolo?

Ho fatto diversi mestieri e ricoperto varie figure prima di riuscire ad entrarci, ma, da molti anni, sono assistente e aiuto regista. In pratica, collaboro strettamente con i registi, sia a teatro che al cinema, sono il loro braccio destro. Svolgo mansioni di organizzazione e controllo, sia in fase di preparazione, sia in fase di riprese, o di messinscena per il teatro. Metto in comunicazioni i vari reparti tra loro, scenografi, costumi, trucco eccetera e mi occupo anche degli attori, dall’accoglienza al provvedere alle loro necessità. È molto divertente, anche se davvero impegnativo. Bisogna avere spirito di adattabilità, sangue freddo per affrontare gli inconvenienti, umiltà e accantonare ogni traccia di permalosità. Bisogna saper sorvolare su un rimbrotto ingiustificato o un nervosismo del momento. Quello dello spettacolo è un lavoro di gruppo molto stressante, ma che dà grandi soddisfazioni. Con alcuni artisti sono diventato amico, specie con quelli con cui ho collaborato a teatro. Le tournée ti portano a stare molto tempo lontano da casa e a vivere gomito a gomito tra un palcoscenico e l’altro, cambiando provincia ogni settimana. Queste esperienze legano molto, diventiamo, per certi versi, una famiglia.

Il teatro com’è l’ha conquistata e cosa le ha regalato?

La mia passione è nata con le recite scolastiche, dove non ero mai il protagonista. Da bambino non possedevo la bellezza dell’infanzia. Ero magrissimo, pallido, come sono adesso, gli occhi già cerchiati per i troppi pianti e, neanche a dirlo, ero l’unico della classe a non essere favorito dalla maestra. Ho avuto già dalla primissima recita di Natale un’intuizione: mentre per gli altri era un gioco, io ho intravisto una possibilità. Lo spettacolo è artigianato. Avevo capito che era un mestiere. Iniziai a desiderare di fare teatro. Attorno alle medie sono arrivati Goldoni, Shakespeare, Molière, prima in drammaturgie che andavano ordinate appositamente in libreria e poi gli spettacoli veri e propri nei teatri. Poco dopo i 20 anni ho conosciuto una piccola compagnia di attori amatoriali. Siamo diventati amici. Ho cominciato ad aiutarli a fare i loro spettacoli. Stavo dietro le quinte, è stato bellissimo e molto formativo. Scoprii qual era il mio posto. A teatro gli spettatori hanno diversi tipi di visioni, in base alla fila, alla balconata, ma è sempre frontale. Noi vediamo lo spettacolo sul palco, lateralmente. È un altro punto di vista, privilegiato direi. Facciamo parte noi stessi della messinscena, aiutiamo gli artisti nel buio a cambiarsi, a prendere gli oggetti da portare in scena. Dietro le quinte c’è un altro spettacolo che nessuno vede.

Mi ha riferito che sta lavorando alla stesura di un libro, può parlarcene?

È il quarto che scrivo, ad essere precisi. Parallelamente al mio lavoro di assistente e aiuto regia, scrivo per la rivista Gufetto Press, nella quale mi occupo di recensioni di spettacoli teatrali e di narrativa. Ho già pubblicato dei racconti nelle antologie miste della Diamond. Questo romanzo, però, non resterà qui con me. Ho deciso di presentarlo a qualche casa editrice. Per il resto non mi pronuncio. Sono sempre siciliano, sempre teatrante e, quindi, sempre scaramantico.

Se si guarda indietro cosa vorrebbe cambiare?

Niente che non dipendesse da una mia scelta. Quindi o scelte altrui o cause di forza maggiore, al di fuori del mio controllo. Tutte le decisioni che ho preso, anche quelle sbagliate, sono state dettate da una certa autodeterminazione e poi, di questo ne sono certo, arriviamo a certe conclusioni quando siamo preparati. Non nego di aver affermato, un po’ come tutti, la frase “Se solo lo avessi fatto prima!”, ma è evidente che facciamo le cose solo quando siamo pronti.

Qual è la dote principale che si riconosce?

Quella che nessuno crede io possegga guardandomi: la tenacia.

Cosa, invece, vorrebbe cambiare?

Nulla. Se cambiassi qualcosa, sarei un altro individuo. Non credo a chi dice di voler cambiare una o più parti di sé. Passa un messaggio di non accettazione e, forse, prima di rifiutare le caratteristiche che ci rendono unici sarebbe bene imparare ad amarsi. Io ho i miei spigoli, i miei aculei. Se ho ferito l’ho fatto involontariamente. Io mi sono auto-ferito spesso, ma era solo per sabotarmi. Ora non è più così. Non voglio cambiare qualcosa di me, ma fare come si fa con i computer: scaricare la mia versione aggiornata e migliorata. L’esistenza è un processo che va avanti nel tempo, quale modo migliore di impiegare gli anni che avanzano se non diventando più consapevoli, sicuri e decisi del giorno precedente?

Lanci un messaggio ai nostri lettori. C’è v è sempre molto bisogno di esempi positivi come lei…

Non saprei davvero cosa dire e non mi sento un esempio da seguire. Ci sono video motivazionali in rete davvero efficienti, anche se la maggior parte barbosi! Invece di lanciare messaggi, vorrei consigliare tre romanzi letti che amo particolarmente e che hanno ispirato altrettanti film. Sono tutti di molti decenni fa e li segnalo perché, oltre a non aver perso fascino, sono ancora dannatamente attuali.mIl primo è Oleandro Bianco di Janet Fitch. La versione cinematografica è stupenda, le protagoniste sono Alison Lohman, Michelle Pfeiffer, Renéè Zellweger e Robin Wright. Il libro è del 1999 mentre il film del 2002. Narra la storia di una ragazzina, che si ritroverà sballottata tra case-famiglia e centri per minori, dopo che la madre, una bellissima poetessa (nel film un’artista) uccide il suo partner finendo in carcere.

Il secondo è La Ragazza Interrotta di Susanna Kaysen. Nel film (il cui titolo è Ragazze Interrotte) le protagoniste sono Winona Ryder e Angelina Jolie, ma ci sono altre attrici straordinarie come Clea DuVall, Brittany Murphy, Jillian Armenante e una clamorosa Whoopi Goldberg. Il libro è del 1993, mentre il film è uscito nelle sale nel 1999. È la storia autobiografica dell’autrice che a soli diciotto anni fu ricoverata in un noto ospedale psichiatrico – tra le cui pazienti si annovera anche Sylvia Plath – per disturbo della personalità borderline e tratta la malattia e la vita all’interno di queste strutture negli anni ’60.

Il terzo è Pomodori verdi fritti al caffè di Whistle Stop di Fannie Flag del 1987. La versione cinematografica è Pomodori verdi fritti alla fermata del treno ed è uscito nel 1991. Questa bellissima storia percorre due linee temporali e narra due vicende: quella dell’anziana signora Threadgoode e di Evelyn Couch. Attraverso i racconti della signora Threadgoode emerge una società degli anni trenta-quaranta che, pur cominciando a cambiare, fatica, ancora, ad accettare la popolazione nera al di fuori dell’ottica della servitù e di un amore toccante tra due donne bianche e della loro lotta all’indipendenza economica. Nel film le protagoniste sono Mary Stuart Masterson, Mary-Louise Parker, Kathy Bates (immensa come sempre) e Jessica Tandy.

Foto per gentile concessione di Simone Romano