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Diari Toscani

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Davide Lazzaroni: storia di cavalieri, di spade e del Club Scherma Apuano

DiVinicia Tesconi

Apr 26, 2022

È lunga la storia della scherma apuana: affonda le radici, addirittura, nella prima società sportiva nata nel comune di Carrara, quella mitica Pro Patria che nel 1890 introdusse la pratica sportiva per i giovani carraresi, con l’insegnamento della ginnastica e della scherma, appunto, anche perché l’istruttore era il professor Augusto Dovati, militare ed esperto schermidore. È una storia lunga, ma non priva di buchi e di periodi in cui la pratica di quello che è lo sport nazionale, che ha dato il maggior numero di medaglie olimpiche, è stata completamente azzerata. Fino a che il sogno di un ragazzino, innamorato di Cyrano De Bergerac, del mondo dei cavalieri e dei valori migliori dello sport, non si è avverato. La passione per la scherma di Davide Lazzaroni, maestro e formatore di istruttori di scherma, titolare del Club Scherma Apuano, è nata quasi con lui, in uno di quei vuoti storici in cui la scherma a Carrara non era contemplata da nessuno. Dalla sua passione e da quella di pochi altri ragazzini, e dall’impegno dei loro genitori, negli anni ’80, è nata una società sportiva che non ha più interrotto la sua attività in un crescendo, non solo di partecipazione, ma di diffusione dei più alti e significativi valori dello sport. Capelli lunghi fin sulle spalle, baffi sottili, appena spioventi sulle guance, occhi che brillano di una luce antica e moderna contemporaneamente, sorriso guascone: Davide Lazzaroni ricorda talmente tanto D’Artagnan, che con lo sguardo ci si scopre a cercare il cappello con la piuma e la casacca con la croce. La spada, invece, non bisogna cercarla: ce ne sono di varie dimensioni e diversa foggia appoggiate ai muri o appese ai supporti o in mano agli allievi del Club Scherma Apuano del quale lui è il maestro di scherma.

Come è iniziata la storia del club?

È iniziata con me, nel 1983. Ho sempre avuto, sin da molto piccolo, una passione per il mondo favolistico dei cavalieri. A quell’epoca a Carrara non c’era nulla. C’erano state esperienze di scherma negli anni ’70 portate avanti dal professor Andrea Fiaschi, che era maestro di scherma, ma si era perso tutto. Fu un mio parente che aveva partecipato a quelle esperienze di scherma e che era appassionato di questo sport, insieme a Adolfo Cagetti, che decisero di provare a far ripartire la scherma e lo fecero in uno spazio che gli era stato concesso nella struttura delle suore del Cappelletto, a Carrara. Quello che desideravano era di dare a qualche ragazzino la possibilità di avvicinarsi alla scherma e quindi di conoscere questo sport. Io avevo 11 anni: mi proposero di iniziare e così cominciai.

Come erano organizzati gli allenamenti?

All’inizio eravamo un gruppetto di una decina di ragazzini. Facevamo un solo allenamento a settimana, il sabato pomeriggio. Usavamo un fioretto di plastica, maschere di plastica che non so neppure da dove erano state recuperate. All’epoca non sapevamo neppure tanto bene come era organizzata la scherma agonistica: era un’attività totalmente amatoriale, senza alcuna pretesa, se non quella di far fare un po’ di sport a dei ragazzini. In questo modo andammo avanti per due anni, poi, il professor Fiaschi, che dopo la prima esperienza si era dedicato ad altri sport, tornò ad interessarsi della scherma e ci fece partecipare ai Giochi della gioventù, e, incredibilmente, Jacopo Nicoli, uno dei nostri schermidori, vinse il titolo nazionale. Nicoli poi è rimasto sempre nella società sportiva prima come atleta e poi nella categoria Master.

Cosa determinò quell’insperata vittoria?

Improvvisamente si accese l’attenzione su di noi e molti dei nostri genitori, tra cui mio padre, che è una vera macchina da guerra e ancora oggi è presidente della società, si attivarono per trasformare la nostra attività in una società sportiva di scherma, in modo da poter accedere alle gare federali. Nel 1986 nacque il gruppo schermistico, che era un gruppo sportivo aggregato, primo passaggio per poter diventare una società sportiva. Il 2 gennaio 1987 nacque ufficialmente il Club Scherma Apuano che, da allora, non si è mai fermato.

Quindi è iniziata anche la sua carriera di schermidore…

Sì, ho fatto tantissime gare. All’inizio è stata durissima perché io avevo già 15 anni e mi confrontavo con ragazzi che tiravano già da otto anni, quindi molto più allenati ed esperti. L’attività federale ufficiale di un atleta agonista inizia a dieci anni. Noi prendevamo botte di 5 a 0 di continuo, ma non mollavamo. La prima volta che ho messo a segno una stoccata, ho urlato come se avessi vinto i mondiali. Avevamo tanta voglia di fare scherma, per me, era ancora molto forte quell’aspetto evocativo della scherma che mi aveva tanto affascinato da bambino, che poi è quello che anima un po’ tutti quelli che si avvicinano alla scherma. Io, praticando questo sport, mi sentivo molto un cavaliere.

Da atleta, poi, è diventato istruttore…

Sì. Ho gareggiato ancora per un po’ e ottenuto alcuni buoni risultati e poi ho deciso di intraprendere la strada dell’insegnamento, perché mi piaceva cercare di trasmettere quello che avevo imparato io, ad altri. Nel 1994 ho fatto il percorso di istruttore e ho cominciato a insegnare nelle elementari con progetti del Coni legati all’avviamento allo sport e poi nel club.

Il Club Scherma Apuano era rimasto nella stessa sede?

 No. Dalla sede al Cappelletto, ci eravamo spostati nei locali seminterrati sotto la scuola Saffi, che, all’epoca venivano usati come palestra e poi, per un periodo avevamo usufruito della palestra dell’istituto Zaccagna. La sede attuale, in viale Vespucci a Marina, è arrivata nel 1995. In quel periodo, quella zona di Marina era completamente deserta in inverno e assai degradata perché frequentata solo da spacciatori e malviventi. Noi facemmo richiesta di poter utilizzare gli spogliatoi della piscina comunale che, in inverno, era chiusa, insieme ai due locali in cui ancora adesso svolgiamo la nostra attività. Praticamente diventammo una specie di presidio in quella zona. In seguito cominciarono ad aprire pizzerie e ristoranti e la situazione migliorò.

Come è cresciuto il Club Scherma Apuano?

Quando arrivammo nella sede di Marina avevamo una ventina di iscritti. Oggi ne abbiamo 130. L’attività è andata sempre in crescendo ed è diventata il mio lavoro. Oggi, qui, ci sono io come maestro e Gabriele Favaretto, che è stato mio allievo, ora diventato maestro. Abbiamo un’istruttrice nazionale di secondo livello, un’altra istruttrice e due kinesiologi, laureati in scienze motorie, che si occupano della parte legata alla preparazione fisica.

Qual è stata la ricetta vincente?

Abbiamo creato un percorso virtuoso che, da un lato, ha permesso la crescita dei numeri della società, dall’altro, ha messo in atto un progetto di approccio allo sport che si fonda su valori come l’integrazione che è stato sposato da professionisti che condividono la nostra idea e mettono a disposizione le loro competenze a titolo gratuito.

Perché i ragazzini si avvicinano alla scherma?

 Questa per me è stata la domanda epocale che mi sono fatto sin dall’inizio. Per trovare una risposta ho fatto riferimento a me stesso e ho visto che l’aspetto che mi aveva portato ad avvicinarmi alla scherma e amarla poi così tanto, era stato quello evocativo. La scherma è in grado di evocare molte cose, al di là del combattimento e della battaglia tra spadaccini. Evoca aspetti molto legati all’immaginario fantastico e creativo della favola e il sogno di essere qualcosa che può mettersi in gioco. Abbiamo cercato di rompere lo schema dell’insegnamento classico, che è quello squisitamente finalizzato alla prestazione con l’obiettivo di creare campioni, cioè selezionare persone che hanno determinate caratteristiche e sono ubbidienti. Io queste cose non le ho mai volute. A me interessano persone che crescano qui, con noi e che si divertano e abbiano voglia di partecipare sentendosi appagati.

In che modo riuscite a perseguire questi obiettivi?

Abbiamo creato un sistema, questo è il nome del nostro progetto, per cui, quando un bambino viene da noi non trova la scherma olimpica, avrà tempo per trovare quella, ma trova il sogno di bambino che lo ha portato qua. Trova il cavaliere, la mappa, le favole. Noi iniziamo coi bimbi di cinque anni e li inseriamo in un contesto di gioco. Il gioco è l’elemento formativo per eccellenza. Prima devono giocare e imparare a sperimentare la loro relazione con se stessi, con gli altri, col proprio corpo, con gli oggetti. Oggi la realtà è assai diversa dal passato: c’è meno relazione fisica e più virtualità e questa è una cosa che i bambini subiscono.

In che modo intervenite per riportare il bambino in contatto con la sua fisicità?

Noi parliamo di ginnasticare cioè di rendere i bambini in grado di poter esprimersi in maniera armonica con la realtà che li circonda. Devono saper gestire se stessi, arrampicarsi, fare capriole, che sono gli schemi motori di base che servono per dare una base motoria fondamentale. I bambini hanno perso tantissimo quello che io chiamo artigianato infantile, cioè la capacità di creare con le mani. Noi diamo loro la possibilità di crearsi gli scudi di cartone, le spade. Gli diamo i materiali e loro costruiscono. Li spingiamo anche ad imparare ad allacciarsi le stringhe che è un esercizio di manualità. Infatti da noi sono bandite le scarpe con la chiusura a velcro. Cerchiamo di insegnar loro la coordinazione devono imparare ad allacciarsi le stringhe non vogliamo le scarpe con lo strappo. Devono imparare coordinazione.

Come funziona l’approccio alla scherma per i più piccoli?

I bambini che iniziano si trovano in una grande avventura, nella quale hanno una mappa con una serie di appuntamenti e obiettivi da raggiungere. Man mano che vanno avanti, crescono, si muovono insieme, scelgono le strategie da percorre. In seguito ottengono una scheda personale, in cui hanno il loro personaggio come in un gioco di ruolo, scelto da loro che è una specie di loro avatar nell’avventura. La scheda è la storia ed è personalizzata per ogni bambino. In essa mettono le loro aspettative e i loro obiettivi. All’inizio, quindi, i bambini, non si confrontano con il fioretto o la spada olimpica ma usano la spada a due mani, la spada medievale e lo scudo o le spade dei tre moschettieri. Provano la scherma in tutte le sue forme, non solo dal punto di vista motorio ma soprattutto da quello emotivo.

In che modo passano all’attività sportiva vera e propria?

L’obiettivo, anche nella prima fase è quello motorio. La scheda, man mano che proseguono nell’attività diventa una scheda da allenamento, curata da esperti, che punta alle gare e alle competizioni. I ragazzi, però, sono abituati sin da piccoli a usare la scheda. Dai cinque ai 20 anni lavoriamo per aiutarli a superare le fasi critiche dell’abbandono sportivo. Per noi, infatti la crescita della società si fonda sul concetto di non perdere le persone che hanno iniziato con noi, assai più che sull’aumentare il numero degli iscritti. E per far questo dobbiamo far innamorare i ragazzi di questo sport nell’arco del loro percorso di crescita.

In che modo incentivate i più piccoli?

Diamo loro delle carte, a seconda degli obiettivi che raggiungono. Sono carte che possono collezionare scambiare, con cui possono giocare. Sulle carte ci sono i personaggi e indicazioni che sono anche stimoli alla ricerca perché anche l’aspetto culturale adeguato alla loro fascia di età diventa uno stimolo per incuriosirli e legarli a questo sport. Suggeriamo film o libri in cui si pratica la scherma. Sono convinto che ci si innamora di chi ci insegna le cose, quindi il ruolo dell’istruttore è fondamentale, per questo noi tutti siamo in modalità di formazione permanente. Io stesso continuo a fare corsi di aggiornamento, oltre che corsi per formare altri istruttori.

Come è organizzata la parte agonistica?

Noi facciamo parte della federazione della scherma e quindi, con i nostri atleti partecipiamo a gare individuali e a squadre. Gli atleti cominciano a gareggiare a 11 anni col Gran premio giovanissimi che dura fino ai 14 anni. Si tratta di gare locali che si concludono con il campionato nazionale di Riccione. E poi ci sono gli open in cui ci sono divisioni per età e per categoria, nei quali puoi anche trovarti a combattere contro un campione olimpico.

Che tipo di allenamento deve fare un ragazzo che vuole affrontare gli Open?

Un agonista nostro si allena due ore e mezzo al giorno per almeno cinque volte a settimana. È molto impegnativo, specie per i ragazzi che devono andare a scuola. Noi non li obblighiamo: gli facciamo presente qual è il percorso e poi sarà lui a scegliere se farlo o no. Purtroppo, lo sport dilettantistico è una grande ipocrisia perché è dominato da gruppi sportivi militari, in cui ci sono atleti che sono dilettanti ma sono pagati per fare sport e possono dedicare tutto il loro tempo all’allenamento.

Quali sono i vostri obiettivi?

Abbiamo atleti che stanno lavorando molto e che hanno ottenuto bene ottimi risultati come Andrea Della Pina, che è salito su podi internazionali, ma il nostro traguardo è quello di creare una struttura di scherma sempre più forte e radicata. Io sono entrato nella commissione tecnica nazionale di scherma e, insiem ad altri quattro maestri, mi occupo della formazione magistrale. Abbiamo creato un progetto che si chiama Obiettivo scherma, con il quale organizziamo incontri formativi con esperti nazionali. Molti di loro sono venuti a fare incontri anche qui a Carrara.

Che tipo di risposta avete avuto dalla città?

Abbiamo combattuto molto per avere attenzione: ci siamo fatti apprezzare per quello che facciamo, al di là degli obbiettivi agonistici. La città ha risposto bene, anche se non abbiamo mai avuto sponsor, perché ogni volta che qualcuno si è proposto, ci ha chiesto fatture gonfiate e noi siamo sempre stati contrari a questa forma di doping fiscale nello sport. Abbiamo preferito rimanere con quello che avevamo. Qualcuno cui ha dato una mano, anche le varie amministrazioni che ci hanno permesso di portare avanti la Coppa Città di Carrara, che è un evento che curiamo da 33 anni.

Chi è l’idolo a cui si è ispirato?

Riguardo a questo non riesco a distinguere la fantasia dalla realtà. Il mio primo idolo fu sicuramente Cyrano de Bergerac. Mio padre aveva questo libro sul comodino, quando io ero molto piccolo, e io ero rimasto affascinato dall’immagine del cavaliere con la spada, perché non sapevo ancora leggere. In seguito lessi il romanzo e mi accorsi di condividere anche i valori di Cyrano, soprattutto il suo vivere male i compromessi. Tra gli atleti reali che mi hanno affascinato ci sono tutti schermidori non convenzionali, quelli che hanno avuto percorsi strani, come Fabio Dal Zotto o come Antonio Di Ciolo, maestro di umanità e professionalità dall’indole folle e anarchica che a Pisa ha creato una società che si basa su un approccio globale molte simile a quello che ho voluto creare io.