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Diari Toscani

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Il Fortino di Marina di Avenza: quel che resta del telegrafo di Napoleone

DiLuigi Giovanelli

Set 15, 2021

L’aspetto, ricostruibile al netto dei danneggiamenti causati da decenni di incuria e degrado, è quello di una torretta fortificata: una struttura cilindrica con tetto, quel poco che resta, a cupola e due solo aperture laterali, oggi, peraltro murate. Fortino, infatti, è il nome con cui è sempre stato chiamato dagli abitanti di quella che oggi è Marina di Carrara e a quel tempo era Marina di Avenza, abituati a distinguerlo nel folto della pineta vicina al Campo dei Pini, sul lungomare, ma il Fortino in realtà non è mai servito per fare la guerra. Il suo massimo contributo in senso bellico fu l’essere adibito, dalle truppe Estensi, verso la fine dell’’800, a magazzino per le munizioni per la Ridotta Costiera, ma con le strategie militari e belliche, tuttavia, ebbe molto a che fare, sin dalla sua stessa costruzione che derivava, appunto, dall’esigenza di coprire il territorio italiano con una proto-rete di comunicazioni, per favorire la discesa e la conquista totale dell’Italia da parte di Napoleone Bonaparte.

L’invenzione di quello che era, in buona sostanza, una sorta di primordiale telefono su grande scala, risaliva al 1792. Il telegrafo ottico serviva per trasmettere messaggi a distanza ed era stato creato dell’abate francese Claude Chappe, che, con l’appoggio del fratello Ignace, aveva messo a punto un sistema che si basava su una catena di segnalatori, posti a 10, 15 chilometri di distanza circa, costituiti da un’asta molto lunga, che in molti casi veniva montata in punti già elevati come i tetti di alcuni palazzi, le torri di antichi manieri, i campanili delle chiese e anche le vette di alcuni rilievi, e tre braccia in legno: una più lunga e due più corte. Il segnalatore, mediante il braccio rotante alle cui estremità c’erano i due bracci minori, era in grado di descrivere un’intera circonferenza. Questo sistema poteva trasformare le diverse posizioni assunte in un vocabolario generale in cui Chappe aveva, alla fine, selezionato 92 messaggi per velocizzare le trasmissioni. L’abate preparò un libro di 92 pagine con 92 messaggi per ogni pagina, e per trasmettere un messaggio si trasmettevano solo due codici: il numero di pagina e il numero corrispondente al messaggio all’interno della pagina.
Il sistema funzionava naturalmente durante le ore di luce del giorno, e i bracci erano verniciati in modo da essere più facilmente visibili all’orizzonte.
Gli operatori della stazione telegrafica Chappe dovevano saper manovrare il braccio per scrivere nel cielo i messaggi e dovevano saper usare un cannocchiale per leggere quelli che arrivavano dalle postazioni vicine.

Per Napoleone, impegnato nella campagna d’Italia, il sistema Chappe era oro, per cui lo impose su tutto il territorio che aveva conquistato. La linea costiera ovviamente era prediletta, perché teneva il polso degli eventuali arrivi dal mare di navi nemiche. Il fortino di Marina, che era in realtà una stazione telegrafo Chappe, venne creata nel 1810 dalle truppe francesi e segnalata sulle carte come collocata a Marina di Avenza, tra la stazione di Monte Marcello e quella del Cinquale. La linea di telegrafo Chappe avrebbe dovuto arrivare fino a Roma, ma si interruppe quando Napoleone vene sconfitto.

Il fortino di Marina è uno dei pochi sopravvissuti della linea telegrafica di Napoleone. Quello del Cinquale, ad esempio venne distrutto dalle truppe naziste nel 1944 perché limitava la visuale sulla costa. Miglior destino lo ebbero poche di queste strutture, il che rende molto più prezioso quello di Marina e molto più increscioso lo stato di abbandono in cui versa. Il suo destino fu segnato dal declino della tecnologia Chappe che venne sostituita con la più efficace rete di telegrafo elettrica già a metà dell’’800. Agli inizi del ‘900 divenne proprietà privata passando di mano in mano e di uso in uso, da carbonaia a mulino, a deposito per gli attrezzi, a rudere, con sopra un cartello con scritto “vendesi”, quale è oggi.

© Foto di Luigi Giovanelli