Ci sono sere che chiedono silenzio.
Ci sono notti che non vogliono essere comprese, ma solo vissute.
A Nebbiano, poco fuori Gaiole in Chianti, c’è un leccio secolare che le conosce bene. Immobile e vivo, trattiene nelle sue fronde le voci della notte, i respiri degli animali, i sospiri di chi si è fermato sotto di lui per cercare qualcosa – o per smettere, finalmente, di cercare.

È lì che vi porto oggi. Non per guardare il tramonto, ma per entrare nella notte. Non per trovare luce, ma per abituare lo sguardo all’ombra. Sedetevi sotto la sua chioma, e aspettate che il cielo si riempia di punti.
Stelle, sì. Ma anche pensieri, ricordi, possibilità. Con voi portate una bottiglia di Vin San Giusto, Vin Santo prodotto da San Giusto a Rentennano.
Questo vino nasce da uve di Malvasia del Chianti lasciate lentamente appassire, con un tocco di Trebbiano Toscano. Il tempo e la pazienza fanno la loro magia: gli acini si arricchiscono di dolcezza e profumi intensi. Dopo sei anni di riposo in piccole botti di legno, nasce un nettare denso e avvolgente.
Non è solo un vino dolce.
È viscoso, profondo, quasi tattile.
Quando scende in bocca, è come una carezza lenta sulla pelle. Non liscia: piena di curve, di pieghe, di memoria. Evoca il tempo passato con grazia Profuma di frutta passita, di miele, di legno antico. Ma anche di qualcosa che non si dice. È un vino che non chiede di essere capito, ma accolto.
Come certi pensieri di notte. Come certe parti di noi che riemergono solo al buio.

Accanto, il Panpepato senese.
Si narra che, in un tempo duro e affamato, una monaca senese, Sorella Berta, creò un dolce per nutrire un popolo stanco. Così nacque il Panpepato, denso di sapore e memoria. Partì da Siena lungo la Via Francigena, lasciando dietro di sé la scia silenziosa di una leggenda. Un dolce che non è docile: fatto di mandorle, noci, fichi, miele, e spezie nascoste. E poi il pepe. Un piccolo fuoco che risveglia. Che graffia. Un’unione perfetta di sapienza popolare e aromi d’oriente.
Un invito a ricordare che anche la dolcezza, se vera, deve contenere il suo opposto.
Che anche ciò che consola, a volte, punge.

Questa non è una prescrizione per addolcire.
È una prescrizione per sentire.
Per toccare con mano ogni sfumatura di questo momento – denso, fragrante, tiepido, scuro.
Per accettare che non tutto ciò che guarisce deve brillare.
Che possiamo essere anche noi come questo vino: dolci, ma con densità.
Come il Panpepato: capaci di accogliere la dolcezza senza dimenticare il nostro fuoco.
Sotto quel leccio, lasciate che i sensi si allarghino.
Assaporate lentamente. Ascoltate ciò che si muove dentro, senza forzare.
Guardate il cielo pieno di frammenti luminosi, sparsi, imperfetti.
Come voi. Come tutti.
Non tutto è luce. Non tutto è dolce.
Ma tutto può essere degno di essere amato.
Anche ciò che resta in ombra.
Ecco le coordinate 43.38570268113591, 11.435760621598972
