Torno dalle vacanze bello rilassato ed anche un po’ stanco per aver trottato come non mai in una capitale europea e decido di scrivere un bell’articolo su questa esperienza che ha dell’incredibile per alcuni aspetti ma, sfogliando le pagine del web per trovare alcune notizie utili, ecco che mi imbatto in una notizia che mi rovina il mood ed è quindi, per me, gioco forza cambiare il soggetto e rimandare ad un’altra volta. Ma cosa avrò mai letto di così avvilente e pazzesco allo stesso tempo? Ebbene, uno di quei due che non molto tempo fa affermò di aver fatto la storia della musica italiana (lo dice lui) e sto parlando di Fedez (l’altro per chi non se lo ricorda era J-Ax) ha avuto un piccolo incidente durante un concerto tenuto al festival agroalimentare di Amunì in Sicilia, che non sarà come la sagra della porchetta di Popetto, ma non è nemmeno il palco del festival di Glastonbury o di Lollapalooza. Durante l’esecuzione del famoso brano composto insieme ad Emis Killa “Sexy shop”, proprio nelle liriche iniziali (L’amore non si fa nei sexy shop/Sei stata come un jackpot nelle slot/E dopo mi hai mandato K.O./Dici che sono un bastardo, ma per te io non cambio) pianta una stecca clamorosa, allora ferma tutto chiedendo al fonico di rimandare il pezzo dall’inizio perché dice di avere un problema tecnico. Quello riparte, ma la situazione stenta a sbloccarsi e, nel mentre, il rapper fa cantare il pubblico che stranamente riesce a tenere la nota senza alcuna problematica di natura ingegneristica. Il problema tecnico prende il nome di autotune regolato male e sarà lui stesso ad ammetterlo quando sui social si scatena la polemica sulle sue non eccelse qualità vocali: “Mai preteso di essere Céline Dion – ha chiarito Fedez – mai detto di esserlo, però, in questo caso ‘non ho cantato così perché non c’era l’autotune’, ma perché l’autotune era impostato su una scala armonica diversa dalla nota, dalla tonalità del brano, quindi, anche se l’avesse cantata una persona intonata l’avrebbe stonata lo stesso. Basta, finita la polemica”.
Premesso che nessuno, mai, oserebbe paragonarlo a Celine Dion, pena una raffica di fulmini dal sacro consesso degli dei dell’Olimpo, un po’ viene da sorridere all’ennesima scusa tirata fuori dal sedicente cantante, salito agli onori della cronaca, recentemente, più per le sue disavventure giudiziarie ed amorose che per le sue indimenticabili canzoni. E dico indimenticabili nel vero senso della parola, visto che per la maggior parte degli utenti con un minimo di cultura musicale decente, è praticamente impossibile dimenticare qualcosa che non si è mai ricordato. È un sottile gioco di parole, ma credo che in molti mi avranno capito al volo. Come dicevo, sul web si sono scatenate le polemiche tra chi lo difende e chi., nonostante tutt continua ad osannarlo, ma per capire meglio dove si nasconde il cuore di tutta questa discussione è meglio far capire a chi, come me fino a pochi giorni fa, non sappia esattamente come funziona, cosa sia di preciso questo famoso autotune.
Tanto per cominciare è il nome di un software proprietario di cui esistono diverse versioni appartenenti a diverse società, ma per non complicarci troppo la vita, continueremo a chiamarlo così in modo da aver sempre presente di cosa stiamo parlando. In origine nasce come un software per le ricerche petrolifere poi, un po’ per caso o per errore, così come sono stai inventati i pop corn o la ganache al cioccolato, viene l’idea di adattarlo al mondo della musica. La prima ad usarlo più di vent’anni or sono fu Cher nella sua hit “Believe” (quella sì, che ce la ricordiamo) permettendole di ottenere una specie di riverbero metallico in alcune parti della canzone. Il produttore cercò di tenere nascosto lo stratagemma, ma quando il successo del pezzo andò oltre le aspettative, questo trucchetto venne utilizzato un po’ da tutti. La funzione dell’autotune, in sostanza, si può riassumere in una specie di effetto, così come si usano quelli per la chitarra tanto per intenderci, che aiuta a correggere una nota quando questa viene prodotta fuori scala o fuori tonalità in modo da correggere anche, simultaneamente, un errore o una stonatura dell’artista. Esistono vari siti più o meno specializzati che forniscono delle spiegazioni più dettagliate e per chi non avesse voglia di andarsele a cercare, potrà utilizzare quelle che ho letto io nei limiti delle proprie conoscenze tecniche. Un effetto, un aiutino che viene fornito agli artisti e sono proprio i più profondi conoscitori di questo sistema che, in fondo in fondo, giustificano Fedez dicendo che, davvero non era colpa sua se l’autotune era impostato su una scala o una tonalità diversa, chiunque avrebbe sbagliato. Qualcuno si è anche spinto a citare episodi in cui diversi artisti hanno commesso errori sul palco, come quando Jimmy Page durante un concerto sbagliò l’inizio di “Rain Song” e dopo una risata riprese a suonare come se nulla fosse successo. Però amico mio – avrei voluto dirgli – stiamo parlando di uno degli ultimi chitarristi con la C maiuscola rimasti in vita dopo la dipartita di Jeff Beck (che Dio l’abbia in gloria), artista a cui il rapper italiano non potrebbe nemmeno allacciare le scarpe.
Se abbiamo citato apologeti dell’ex Ferragnez dobbiamo anche riferire di chi non ha atteso un attimo per cercare di affondarlo ancor di più, se mai ce ne fosse bisogno, come un’ex concorrente di X-Factor, a mio parere altra mostruosità del panorama musicale odierno. Mi sono sempre chiesto, infatti, come possa aver fatto a giudicare le capacità canore ed artistiche di giovani emergenti uno che senza autotune non sarebbe in grado nemmeno di cantare Fra Martino campanaro (questo lo affermo io). Queste la parole di Dora Lee Marchi, che riferisco integralmente: “Io sono stata eliminata da te perché hai detto che ho un modo di cantare vecchio. Il tuo modo di cantare ‘moderno’ è essere stonati e non saper cantare? Fedez io sarò vecchia e avrò un modo di cantare vecchio, però ho sempre avuto rispetto per la musica. Ormai per uscire bisogna passare da un talent, non c’è altro modo. Lui ha mandato via gente che sapeva cantare, ha fatto questo tutta la vita. È diventato famoso sulle spalle degli altri. Tu non hai nessun tipo di competenza musicale, zero”Parole che io sostengo in ogni virgola.
Un pensiero conseguente a questa vicenda riguarda però il modo, tramite il quale questi artisti passano dall’anonimato al successo senza alcun passaggio intermedio. Spesso sentiamo di tale rapper o trapper, dal nome impronunciabile e di cui non si conosceva l’esistenza fino al giorno prima, che alla prima produzione discografica è già vincitore di un disco d’oro o di platino. È pur vero che i metodi di vendita e di riproduzione sono profondamente cambiati da quelli di dieci o venti fa, ma un’occhiata mi è venuta voglia di darla. Diciamo subito che ogni nazione ha dei parametri diversi, per cui, trattandosi di artisti italiani con canzoni (sarà lecito chiamarle così?) italiane, è al mercato nazionale che dobbiamo fare riferimento. Questi si differenziano principalmente in due, le vendite di singoli e le vendite di album, che inizialmente si calcolavano con i vinili, poi con i Cd e per ultimo con i download legali dalle piattaforme di vendita online. I riconoscimenti più conosciuti sono il disco d’oro e quello di platino, ma esistono anche quello d’argento, di diamante e, udite udite, di uranio!
Nel tempo le classifiche di vendita, perché di questo stiamo parlando, sono mutate a seconda dell’andamento del mercato discografico, per cui un disco d’oro degli anni ’70 ad esempio, non equivarrà sicuramente ad uno odierno. In Italia con venticinquemila album venduti si vince il disco d’oro mentre con cinquantamila quello di platino, fino al 1974 le soglie erano un milione e dieci milioni, come vedete sono cifre da capogiro per l’epoca. Per la classifica dei singoli invece le cifre raddoppiano, cinquantamila per l’oro e centomila per il platino, giusto per curiosità fino a prima del 1974 si parlava di un milione di 45 giri per l’oro e dieci milioni per il platino. Per capire i criteri adottati, ci facciamo aiutare dalla voce su Wikipedia che così spiega: “I criteri adottati per la determinazione delle vendite differiscono tra i diversi Paesi. In alcuni, il sistema si riferisce a quante copie siano state distribuite; tale criterio viene spesso nominato sell in (“venduto all’interno”) della catena di distribuzione musicale, e riguarda le copie vendute ai negozi (e quindi non necessariamente all’utente finale). In altri Paesi è invece adottato il criterio nominato sell out (“venduto all’esterno”) della catena di distribuzione, cioè vengono contate le copie effettivamente acquistate da un utente finale. Dagli anni 2000 il sistema di certificazione è stato esteso anche alle vendite on line, includendo quindi i brani acquistati digitalmente su Internet, e successivamente anche i brani ascoltati in streaming sulle apposite piattaforme digitali”. Ecco quindi svelato l’arcano che si nascondeva nella frase “I brani ascoltati in streaming”. Quando le case discografiche intendono lanciare un nuovo artista, inseriscono nelle loro playlist le loro canzoni per cui, a differenza di quando eravamo ragazzi noi, quando un disco costava quello che costava, per cui ci pensavamo su sei o sette volte prima di acquistarlo, l’ascolto in streaming è garantito e ciò fa parte del conteggio valido per la classifica. Questo è il motivo per cui gente che non sa cantare Fra Martino Campanaro senza l’uso dell’autotune, si ritrova ad avere un successo di pubblico inaspettato.
L’ho già detto in un precedente articolo, non siamo più liberi di ascoltare quello che vogliamo e di premiare l’artista che più ci piace, dobbiamo sorbirci personaggi ambigui che, come diceva il buon Battiato, ci sommergono di immondizia musicale. Con buona pace di chi osò dire di aver fatto la storia della musica italiana e delle mie povere orecchie.