quarta puntata
Ogni volta che Joo andava a trovare sua madre, le conversazioni assumevano tutt’altro tono e spessore. L’argomento era uno, e uno solo. Solo un caso. Come spesso accade, è il caso che ha fatto incontrare Joo e Hyeok. Se si crede nel destino, il caso è il meccanismo che tutto governa, che a tutto sottende. Quali che siano gli sforzi che profondiamo nel prendere e mantenere il controllo delle nostre esistenze, nulla possiamo davanti alla fatalità, a volte cieca e crudele, a volte benigna e fruttuosa.
Lei è minuta e ha il viso di una bambola di porcellana finissima. Lui è alto, tratti morbidi, di qualche anno più grande di lei, e porta con sé il carisma di un uomo maturo e realizzato, che infonde sicurezza, nonostante sia ancora molto giovane. Ma per Joo non c’è spensieratezza, nemmeno durante quei mesi in cui lei e Hyeok passano dall’interesse all’amicizia, e dall’amicizia all’amore. Il suo cuore porta due pesanti fardelli, e li deve tacere entrambi, perché figli dello stesso segreto. È nel segreto più totale, in una mattina di fine ottobre del 2015, che Joo lascia Chongjin, il suo lavoro, i suoi amici e, soprattutto, il suo grande amore, per raggiungere la madre, su al nord. La sofferenza per questa scelta ha la portata di un’amputazione, ma non poteva restare solo per una storia d’amore, per quanto bella ed intensa. Insieme a lei, alla sorella, ad una zia e a una cugina, partiranno verso il confine, per provarci un’altra volta. Grazie al lavoro di Joo e della sorella, i soldi per farsi aiutare, stavolta, ci sono. Devono solo attraversare il confine, entrare in Cina, ed incontrarsi con un tizio che fa parte di una rete segreta di collaboratori, finanziata dalla Liberty in North Korea, una ong statunitense-sudcoreana, che ha sede a Seoul e in California. La guida le avrebbe accompagnati al punto successivo, dove sarebbero state prese in consegna da un’altra guida, e così via fino alla Tailandia, percorrendo più o meno lo stesso numero di chilometri che divide New York da Los Angeles.
Alcuni tratti vanno fatti a piedi, altri in bus, qualche volta in macchina e persino in barca. Per rendere più difficile individuare i fuggitivi e le loro guide, i percorsi cambiano continuamente. Una volta in mano alla prima guida, nelle immediate vicinanze della frontiera cinese, tutto fila quasi sempre liscio. Ma gli imprevisti sono sempre dietro l’angolo. Così capita che per coprire un pugno di chilometri, a volte, s’impiegano giornate intere, perché si rende necessario tornare indietro, aggirare l’ostacolo, cambiare mezzo o percorso. Ma, tutto sommato, è un viaggio relativamente sicuro. I meccanismi sono ben rodati, gli agganci fidati. Stavolta, ad accompagnare le cinque donne durante le due settimane di cammino che le separano dall’ingresso in Cina, non ci sono le zanzare, bensì l’inverno nordcoreano, con tratti coperti da un manto di neve alto fino alle ginocchia, cosa che rende immensamente difficile e lento ogni singolo passo.
Per tutto il tempo, Joo non ha pensato altro che a Hyeok. Non c’era momento in cui, nelle rare pause che il gruppo si concedeva, il pensiero non andasse a lui. A volte qualche lacrima le scendeva sulle guance infreddolite. Se n’era andata da un giorno all’altro. Sparita nel nulla. Come l’assistente di un mago da quattro soldi che esegue un vecchio numero ad effetto. Soltanto poche ore prima di partire, si erano lasciati con un bacio, come fanno tutte le coppie di questo mondo, a tutte le latitudini, di ogni etnia e di ogni credo. Gli aveva mentito per mesi, e quella sera la bugia era stata ancor più dolorosa, perché sarebbe stata l’ultima, e quella con la quale Hyeok avrebbe marchiato il suo ricordo per sempre. Una ragazzina stupida e bugiarda, ecco quello che Joo sarebbe stata per lui, dal giorno dopo in poi. Lei che invece era la donna più forte, più coraggiosa e più leale che Hyeok avrebbe mai potuto incontrare in vita sua.
Sua madre aveva cominciato a pensare ad una nuova fuga nel momento stesso in cui aveva avuto la certezza che lei e il marito non sarebbero finiti in prigione per sempre, né davanti al plotone d’esecuzione. Nient’altro le interessava. Si era trasferita a nord, dalla madre, vicino al confine, proprio per questo. In quelle zone di frontiera è più semplice prendere contatti con le organizzazioni che aiutano i nordcoreani a fuggire. Joo ammirava la forza di quella donna. Apparentemente indifferente a tutto quello che la circondava, persino alla vita delle figlie, dentro di sé covava un violento sentimento di ribellione, che l’aveva portata ad organizzare una nuova fuga. Nel 2015, tre anni dopo il primo tentativo, tutto era pronto per il secondo. Ma poi Joo aveva incontrato Hyeok, e l’ordine delle priorità, per lei, era cambiato. Le discussioni con la madre erano andate avanti per mesi. Se si fosse rifiutata di partire per amore, sua madre non l’avrebbe mai perdonata. Poi c’era la sorella. Se fosse successo loro qualcosa durante la fuga, non avrebbe potuto aiutarle. Avrebbero potuto morire e lei non sarebbe stata lì con loro. Non si poteva tornare indietro. Doveva partire, questo era certo. Ma cosa fare con Hyeok? Non dirgli niente e sparire da un giorno all’altro era una prospettiva orribile, ma d’altronde, rivelargli tutto poteva essere pericolosissimo e lacerante: se lui le avesse chiesto di rimanere, infatti, non sarebbe stata sicura della sua risposta. La voglia di non separarsi da Hyeok, inoltre, non faceva altro che amplificare la sua paura più grande e che, in ogni caso, albergava in lei, latente, anche prima di conoscerlo: e cioè la prospettiva realistica di essere catturata una seconda volta, e di dover subire nuovamente quelle umiliazioni, se non peggio. “Il peggio è passato…”, nessuna parla, ma è quello che tutte pensano. Il fiume Yalu è alle loro spalle, di nuovo. Per Joo e la madre è una sensazione già vissuta, un film già visto. Sembra il dejavu di Matrix, quello in cui Neo, alias Keanu Reeves, vede passare due volte lo stesso gatto nero nello stesso punto, a distanza di pochi secondi. I suoi compagni sanno che non è un buon segno. È un segnale d’allarme. La realtà virtuale in cui sono immersi – e che è percepita come reale da un’umanità in perenne stato di stasi onirica, soggiogata dalle macchine, e ridotta a fare loro da batteria – si è riconfigurata, cambiando la disposizione delle cose e degli eventi, come un cubo di Kubik che torna allo stato di perfetto allineamento, passando per un rapidissimo ciclo di spostamenti. Così, dove prima c’era un uscita, adesso c’è un muro, e il gruppo deve trovare una via di fuga alternativa al più presto. È quello che succederà, di lì a poco, alle cinque donne in fuga. Dopo appena qualche chilometro in territorio cinese, una pattuglia della polizia di frontiera le individua a distanza. Cominciano a correre, disperate. Hanno pochi minuti prima che i militari siano loro addosso. Bisogna prendere una decisione, e bisogna prenderla in fretta. Per sfruttare quel poco vantaggio che hanno, è meglio dividersi in due gruppi e scappare in direzioni diverse.
continua…