La prima in assoluto fu ritrovata a Zignago, in provincia di La Spezia nel 1827 e destò un grande scalpore. Si succedettero altri ritrovamenti, addirittura anche in fondo al mare, nel 1886: giacevano a 12 metri di profondità, ma andarono perdute. Poi nel 1905, a Fivizzano, in zona Pontevecchio, località Bocciari, un contadino che dissodava il terreno per seminarlo, ne ritrovò ben nove ed anche queste fecero molto parlare di sé, dal momento che si trovavano in fila una di fianco all’altra e tutte rivolte verso il corso del sole, con lo sguardo in direzione del Monte Sagro. Particolare non di poco conto, se si considera che, come il nome stesso suggerisce, esso identificava una zona sacra per tutte le popolazioni Liguri, tanto che insieme al monte Beigua, di cui si vede la sommità, situato nella zona appenninica tra Sassello e Varazze e il monte Bego posto nelle Alpi marittime francesi forma una linea di continuità culturale e religiosa. I ritrovamenti di statue stele si sono susseguiti tra le province di Massa Carrara, Lucca e La Spezia più precisamente nei comuni di Villafranca in Lunigiana, Filattiera con ben 11 esemplari ritrovati in zona selva di Filetto, Casola in Lunigiana, Mulazzo e Minucciano e più frequentemente nei punti di immissione dei torrenti Taverone e Aulella nel fiume Magra. In tutto sono circa ottanta e gran parte di esse sono visibili oggi nel museo delle statue stele di Pontremoli. Le statue stele non sono uniche del territorio lunigianese perché ne sono state trovate anche in altre zone d’Italia in Valcamonica, in Sardegna, in Trentino Alto Adige, in Piemonte ed in Puglia. Fuori dall’Italia in Francia, Svizzera, Spagna, Portogllo, Germania e Ucraina. Anche se le forme differiscono leggermente, si tratta sempre di personaggi nei quali si possono distinguere il sesso maschile, caratterizzato dalla presenza di accessori da caccia o da guerra come pugnali e asce, mentre per ciò che riguarda l’identificazione femminile è facile scorgere alcune fossette o protuberanze all’altezza del seno.
Inizialmente, la presenza di una scritta sulla stele di Zignago, fece presumere che queste fossero di origine etrusca: vi era incisa la parola “mezunemunius”, il cui significato rimane ancora oggi incerto. Pur se in assenza di documenti storici sulla loro realizzazione, studi più accurati basati sugli scavi fatti nelle vicinanze dei luoghi di ritrovamento, sugli studi stratigrafici e sull’analisi delle immagini raffigurate, hanno potuto stabilire l’età che va dalla fine del IV millennio a.C. nella cosiddetta età del eneolitico (cioè la fine del neolitico dove accanto a strumenti di pietra cominciano a comparire i primi di metallo, solitamente rame) al VII-VI secolo a.C. nella piena età del ferro.
Le statue vengono generalmente classificate in tre tipi, come stabilito dagli studi di A.C. Ambrosi: A, B e C. Il sito internet del Museo delle statue stele di Pontremoli offre un’ampia descrizione di questi tre tipi: il gruppo A “comprende quelle caratterizzate dalla presenza di una testa a contorno semicircolare non distinta dal corpo se non per la presenza di una leggera rientranza che indica le spalle e di una leggera fascia orizzontale in rilievo, che rappresenta la zona clavicolare”. Il gruppo B: “è un’evoluzione rispetto al gruppo precedente con una maggiore definizione dei dettagli anatomici e una netta distinzione della testa dalla restante parte del corpo. La testa ad arco semicircolare (a cappello di carabiniere, n.d.r.) presenta espansioni laterali più o meno sviluppate ed è collegata al corpo mediante un collo tronco-conico”. Infine il gruppo C: “di più recente fattura, è caratterizzata da una più fedele rappresentazione della figura umana, con un evidente tentativo di ricerca tridimensionale”. Esisterebbe in realtà un quarto grippo nel quale confluiscono tutte quelle statue di difficile ed incerta classificazione.
Qual era la loro funzione? A cosa servivano? È facile intuire che alcune potessero avere una funzione religiosa, ma non sempre è così tanto, che molte di loro conservano un tratto enigmatico e la loro specificità non è del tutto certa. È importante capire che molte di esse sono state trovate al di fuori del loro contesto sociale per cui capire il motivo della loro erezione diventa di difficile interpretazione. A favore giocano, però, le similitudini con altri ritrovamenti avvenuti in altre parti di Italia che possono suggerire una motivazione più che plausibile alla loro presenza. È il caso delle stele del gruppo C che, comparate con quelle ritrovate in Veneto, Puglia e area medio adriatica, restituiscono quasi certamente una funzione funebre, in memoria di un personaggio di spicco della comunità locale, un guerriero o un aristocratico di rilievo che viene raffigurato con i simboli del potere o della sua levatura sociale. Più difficile è l’interpretazione delle stele di tipo A e B, per le quali bisogna fare un ragionamento più complesso. Il passaggio dall’età della pietra a quella del rame funge da cartina tornasole per una società che si stava trasformando da agricola, e quindi più di stampo sedentaria e matriarcale, ad una più pastorale, nomade e mercantile e perciò patriarcale, dove la figura del guerriero emerge a fronte della necessità di dover difendere le greggi, i metalli che si cominciavano a commerciare ed i possedimenti in generale. È, per questo motivo, ipotizzabile che queste venissero erette per segnalare aree specifiche di transito e ne è riprova il fatto che, quasi sempre, sono state rinvenute lungo specifiche vie di transito e di comunicazione tra le varie regioni d’Europa, oppure in prossimità di luoghi di delimitazione ben precisi come intersezioni tra fiumi o valichi montani. Al pari di questa interpretazione può essere presa in considerazione anche una funzione ancestrale, trascendentale giustificata dalla già citata trasformazione culturale da una società prettamente agricola e stanziale ad una mercantile e nomade. I ritrovamenti di Fivizzano e di Filetto suggeriscono la finalità religiosa a descrizione di una religione totemica, nella quale si faceva riferimento a figure mitiche o semidivinizzate, delle specie di numi tutelari posti a guardia dei territori e delle popolazioni ivi residenti.
Il culto delle statue stele è comunque rimasto radicato ben oltre il neolitico, sopravvivendo anche alla conquista romana ed alla successiva cristianizzazione del territorio, basti pensare alla famosa lapide di Leodegar, oggi custodita all’interno della chiesa di San Giorgio a Filattiera, datata 752 d.C..
Leodegar o Leotecario viene identificato dai più come un vescovo fuggito da Luni, per via delle incursioni saracene e rifugiatosi in alta Lunigiana, da altri come un gastaldo ovvero un funzionario longobardo con compiti amministrativi. Chiunque esso sia stato, è certo che si propose di eliminare gli ultimi rimasugli di quella religione pagana che ancora a quell’epoca, vedeva i locali adorare le statue stele, letteralmente spaccando e sotterrando gli idoli di pietra, così come descritto nella sua epigrafe in cui si legge quel “Idola fregit…” passato alla storia locale. Il suo corpo venne dapprima sepolto nella pieve di Sorano, posta ai piedi del paese e poi traslata nella chiesa in cui forse giace ancora oggi. Chissà se sia un caso che durante i lavori di restauro della Pieve di Sorano sia stata ritrovata, usata come pietra da costruzione, proprio una delle più iconiche e famose stele della Lunigiana.
Il mistero ed il fascino legato a queste statue aleggia ancora oggi tra i boschi e le valli della Lunigiana, terra di suggestioni, di miti e di racconti a cavallo tra realtà e fantasia, leggenda e storia. Camminando tra le sue vie, i suoi borghi ed i suoi sentieri non ci si può mai sentire soli.