prima parte
Immagini tratte dal volume “Gaiole in Chianti, retrospettiva di un territorio”

Proseguo il mio viaggio nella storia del Chianti con Giorgio Pagni come guida. Dalla storia delle sorgenti intorno a Gaiole, siamo passati al racconto delle vicende delle persone che, in questa zona, hanno vissuto. “Ecco, abbiamo fatto un salto indietro di un’ottantina d’anni”, dice Giorgio Pagni, sempre con gli indici rivolti verso l’alto, e mi osserva. Quando capisce che la mia attenzione è stata catturata, abbassa le mani, le poggia sulle gambe, si protende in avanti. “Immagina un giorno di festa in un paese del Chianti. Una processione si snoda per le stradine a ‘erta’. Al passaggio del Santissimo, preceduto da una doppia fila composta, quasi unicamente, da donne, gli uomini, a lato della strada, accennano a piegare il ginocchio e si fanno il segno della croce rapido, quasi un gesto rabbioso.

Passato il Santissimo tornano a parlare di grano, di vitelli o svinature. Hanno un modo di esprimersi violento e sboccato che Curzio Malaparte ben descrive ed esalta nel suo libro Maledetti Toscani, ma che altrove, in Toscana, non esiste quasi più. In queste terre a cavallo fra Firenze e Siena, nelle case di campagna è arrivata la televisione, la luce elettrica, l’acqua potabile e i contadini sono passati di colpo, con un passo rapidissimo, dal XIX al XX secolo, nonostante ciò, la gente conserva ancora atteggiamenti e costumi secolari. Qui le persone hanno un modo tutto loro di concepire la religione, perché la religione dipende dalle stagioni e dal raccolto nella vigna, è strettamente collegata alla terra, al lavoro nei campi. E proprio riguardo a questo, anche la mentalità sta cambiando, i contadini non desiderano diventare proprietari del loro podere: “Macché, ‘un voglio grattacapi” dicono. Preferiscono un padrone che installi in casa il water closet, la doccia, la luce elettrica e che faccia migliorie nel podere. E sebbene il tenore di vita sia migliorato – non mangiano più pane, fave e castagne bollite, e non sono più costretti a vendere i polli, anziché mangiarli, per raggranellare qualche soldo – molti contadini finiscono per andarsene dai poderi, cambiando addirittura mestiere, dando ascolto a una balorda propaganda, convinti da questa di essere esclusi dal paradiso della vita facile: la città. E così comincia l’emigrazione: nel solo comune di Gaiole nel 1956 si contano 5541 abitanti, nel 1959 gli abitanti scendono a 4279. Il cigolio dei carri trainati dai bovi viene sostituito dal rumore del trattore e dei motorini. Tutto sta cambiando in questi anni, perfino il matrimonio: l’ideale delle contadine è quello di trovare un marito operaio che le liberi dal lavoro nei campi. Le ragazze chiantigiane, prima di sposare un colono arrivano a decidere di rimanere ‘pinze’: piuttosto che sposare un contadino preferiscono rimanere zitelle. Mi viene in mente il pensiero che accomuna tre sorelle, tra i 24 e i 14 anni, mentre ricamano all’ombra di un pagliaio sbilenco. I loro genitori coltivano il podere della chiesa di Radda, mentre loro tre fanno il ricamo su commissione e aiutano nei lavori di casa. Tutte e tre si sposerebbero volentieri anche l’indomani, ma per poter dire: “Sto meglio”. Per stare peggio o uguale a come stanno adesso, sono concordi nel dire: “Meglio aspettare”. La vita del contadino è troppo brutta e di sacrificio. Quello che pensano le sorelle è la stessa cosa che pensano le ragazze di questo tempo: la moglie dell’operaio sta in casa, e non si spezza la schiena nei campi, mentre la moglie del contadino deve lavorare in casa e dare una mano nel podere. Per questo tutte cercano di sposare un operaio. Pensa, nel 1958 a Castellina, più di 150 ragazzi e ragazze dai 13 ai 17 anni chiedono il passaggio di categoria da contadini a operai generici, per poi andare in città a fare i muratori o gli apprendisti meccanici. In questi anni nel Chianti iniziano ad arrivare i primi turisti, molti da Roma, da Firenze e da Siena, e le ragazze dei contadini guardano le ‘guendaline’ di città, annoiate e ben vestite, le osservano, tengono gli occhi ben aperti e cercano di uniformarsi a quei modelli.

Se un giovane contadino si avvicina loro, storcono il naso; se, invece, ad avvicinarsi gli capita un ‘pollo’ che non è contadino, gli tirano subito il ‘collo’.

Questo è anche uno dei motivi per cui i giovani coltivatori, sentendosi in stato d’inferiorità cercano di lasciare la terra. Nei luoghi più isolati, però, le ragazze devono, addirittura, abbandonare ogni speranza di sposare un operaio. Non possono neanche permettersi lo svago di andare a ballare: gli piace, ma piuttosto che andarci con lo stesso vestitino preferiscono stare a casa. E poi, in campagna, si sa è più facile innamorarsi e anche fare figli

Nella frazione di Montegrossi di Gaiole, per esempio, essendo più isolati, ragazzi e ragazze si sposano fra di loro, fra compaesani, non a caso si chiamano tutti Ferrucci e si dicono discendenti di Francesco Ferrucci, l’eroe di Gavinana. Quindi, i tempi stanno cambiando, addirittura i preti sostengono che i motorini siano gli strumenti di Lucifero, specialmente per le ragazze. “Mamma vo’ qui, mamma vo’ alla funzione” dicono uscendo sull’aia. Ha’ voglia, te, di cercare di tenerle in soggezione, la mamma ci prova, ma loro si allontanano: dietro la curva le attende il fidanzato col motorino e vanno via insieme… su per le macchie di ginestre fiorite! Che ti faccio fare tardi?” Mi chiede Giorgio, impensierito dall’ora di ‘desina’ ormai prossima. Nessuna fretta, gli rispondo, e lui riprende a raccontare…

continua…