Vertine seconda e ultima parte
Claudio Bonci, la mia guida storica nel Chianti, alla fine della nostra visita a Vertine mi aveva lasciata in sospeso con la frase: “E qui ho una chicca per te…” quasi fosse necessario calarci maggiormente in quell’atmosfera, in quel periodo. Ripartiamo da lì ed io scruto in giro in cerca di un maniscalco o di una bottega in cui giovani apprendisti affiancano il maestro per imparare un mestiere.


Annuso l’aria nella speranza di captare odore di spezie o di pane appena sfornato, o magari di sentire il rumore di una pialla che leviga un pezzo di legno grezzo. Claudio interrompe questo viaggio nel tempo, pur parlando di quel tempo là. “Sai chi nacque a Gaiole? Il nonno di Masaccio, che di mestiere faceva il cassaio, ovvero il costruttore di casse di legno e casse da morto. Masaccio non era il vero nome del famoso pittore, in realtà si chiamava Tommaso Cassai. Il nonno, Simone, detto Mone, acquisì il cognome Cassai proprio dal suo lavoro. Le cronache raccontano che il babbo di Masaccio, Ser Giovanni Cassai, si spostò da Gaiole, o forse da Vertine, in direzione Valdarno, ovvero a San Giovanni, per poter svolgere il suo lavoro di notaio.” Un notaio figlio di un cassaio! Esclamo. “Sì, sì, pensa te, interessante! C’è speranza per tutti! Quindi, seppure la famiglia fosse di origine Gaiolese, o Vertinese, Masaccio nacque a San Giovanni Valdarno. Il perché venisse chiamato Masaccio, anziché Tommaso, ce lo dice Giorgio Vasari, biografo degli artisti. Il soprannome pare fosse dovuto alla sua trascuratezza nel vestire e per il poco interesse per ciò che accadeva nel mondo. Era un artista!”.

Abbiamo concluso il giro, più o meno un’ellisse, e siamo nuovamente prossimi all’arco che è proprio davanti a noi, sulla sinistra c’è un bar, Claudio sventola una mano: “La sorpresa è lui!”. Ci sediamo e mi presenta Andrea Pagliantini: vertinese, appassionato di storie del territorio chiantigiano. Per me è veramente una sorpresa: ho avuto occasione di leggere alcuni suoi scritti e mi sento onorata che sia riuscito a ritagliare un po’ di tempo per incontrarmi. Quindi, dopo la veloce presentazione va dritto al dunque: “Vertine veniva chiamato il paese delle torri, ce ne erano sette.

Nella canonica c’è un affresco di scuola fiorentina del Cinquecento che ritrae il paese come era e lì, a destra della torre grande, si vede ancora una parte della vecchia torre che venne abbassata negli anni ‘20 del novecento, per rendere meno difficoltoso scaldarla, anche perché vi abitavano tanti bambini. Al momento, di quelle torri, ne sono rimaste visibili tre e mezzo. Una è coperta da un fico e da folta vegetazione di edera, ma si intravede ancora il basamento. Le altre due sono franate e molto probabilmente le pietre sono state riutilizzate per altre costruzioni all’interno del paese. C’è un edificio costruito più recentemente, dato che alla fine dell’800 non c’era, e non è escluso che parte delle pietre siano proprio quelle. A proposito di torri, questa davanti a noi fu restaurata nel 1972.

Durante un bombardamento tedesco ci furono parecchi danni e molti morti. Una vera curiosità è, invece, la storia del diciottesimo leccio del Parco della Rimembranza. Questa pianta non ha mai voluto crescere, perché non aveva la piastrina di un defunto della prima guerra mondiale, come invece avevano gli altri 17.” Le storie da narrare sarebbero ancora molte, ma Andrea è costretto a salutarci con la promessa che ci rivedremo presto. “Immagina questo paese con la neve – mi dice Claudio – Ma tanta, tanta neve! E adesso torniamo al 1351 e alla questione di interessi fra i figli e i nipoti di Arrigo Ricasoli e lo zio Ranieri, Pievano di San Polo in Rosso.

Quest’ultimo – come troviamo scritto nel testo del Villani, ‘CRONICA’, nell’edizione di Sansone Coen del 1846 – ‘era in decrepita età ammalato’ e i figli di Arrigo intesero occupare la Pieve, ma Firenze li condannò e li mise al bando. Sdegnati da questa ingiuria, sapendo che molti beni della consorteria Ricasoli Firidolfi erano nel castello di Vertine radunarono un bel po’ di masnadieri ed entrarono nel castello appoggiati dai senesi. Firenze pensò bene di liberare Vertine dagli occupanti, armò a sua volta masnade di cavalieri e fanti e li inviò alla volta del castello, ma arrivati alle mura trovarono una bella resistenza da parte degli occupanti. I Ricasoli spalleggiati dai senesi, si difesero con pietre e balestre.” A conclusione di questo racconto ripartiamo per tornare a casa, alla stessa curva di poco prima mi soffermo per dare ancora uno sguardo a Vertine. E la neve della quale mi hai accennato prima? Chiedo incuriosita. “Villani narra che ‘a febbraio caddono nevi grandissime’, quindi possiamo immaginare le difficoltà che incontrarono i fiorentini quando a marzo arrivarono per assaltare il castello essendoci state nevicate che si erano susseguite ininterrottamente per un mese. Pur continuando a difendersi strenuamente, alla fine, i Ricasoli si ritrovarono senza aiuti e senza speranza che gli arrivassero e furono quindi costretti a trattare la resa con Firenze, nel 1352.” Sorrido, e faccio notare a Claudio che se l’assedio iniziò nel marzo 1351, durò circa un mese, e terminò nel 1352, in realtà era passato un anno. “Eh beh: terminò il 20 aprile. L’anno cambiò perché c’era, nel mezzo, Il capodanno fiorentino: il 25 marzo.” Il torrente Massellone accoglie il nostro arrivo a Gaiole. In discesa si cammina veloci! Informo Claudio che ho fissato un’intervista con Donatella Tognaccini proprio inerente il Massellone. “Non potevi fare scelta migliore. È un’esperta!” Risponde, affacciandosi alla spalletta del torrente.
