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Diari Toscani

Giornale di cultura, viaggi, enogastronomia e società

Da un gesto d’amore fino agli sms

DiAlessandro Fiorentino

Lug 4, 2023

Ogni giorno usiamo oggetti  dei quali non potremmo più fare a meno, ma di cui ne ignoriamo la storia o la provenienza. Facciamo un esempio su tutti: il telefono cellulare. Ogni giorno ce lo rigiriamo tra le mani, lo guardiamo, “scrolliamo” immagini, video (qualcuno ancora lo usa per telefonare?) e soprattutto mandiamo e riceviamo messaggi: “Che fai oggi?”, “Hai visto cosa ha fatto la nostra vicina di casa?”, “Dove sei stato che non rispondi mai?”.

Ecco: quanti di voi si sono mai chiesti l’origine di quella tastierina digitale che ci appare davanti al naso? I più furbi risponderanno che altro non è che la trasposizione elettronica della tastiera di una macchina da scrivere. È vero, ma come si è arrivati dalla scrittura a mano a quella a macchina? Per rispondere bisogna fare un salto indietro nel tempo e nello spazio e più precisamente in Lunigiana, in quel di Fivizzano, nel 1802, quando tale Agostino Fantoni, sconosciuto ai più, ma non ai suoi concittadini dell’epoca, ebbe un’intuizione meravigliosa.

Andiamo per ordine. Il Conte Agostino Fantoni era niente meno che nipote del più famoso Giovanni Fantoni, esponente dell’Accademia dell’Arcadia col nome di Labindo Arsinoetico. Dopo gli anni della rivoluzione francese, durante i quali suo padre Luigi fece innalzare in Fivizzano l’albero della libertà nella piazza Maggiore, vennero quelli della Restaurazione, nei quali  il conte Agostino divenne primo “maire”, ovvero primo sindaco. Aveva lui, una sorella di nome Anna Carolina, che verso i diciott’anni fu colpita da una grave malattia che la rese praticamente cieca ed essendo lei amante degli studi e delle lettere, un po’ come tutti i membri della sua famiglia, fu colta da un gran senso di abbattimento e tristezza. Le venne in soccorso quindi il fratello che, con quello che è stato descritto come un grande gesto d’amore, ebbe l’idea di costruire “con legni e ferro” una macchina che “permette di scrivere ad occhi chiusi”, antesignana del cembalo scrivano inventato nel 1855 dal novarese Giuseppe Ravizza

La riscoperta di questo primato si deve al compianto professor Loris Jacopo Bononi, che lo cita nella sua opera “Libri e destini”, ed, ultimamente, agli studi personali del fivizzanese Rino Barbieri, il quale spulciando negli archivi della nobile famiglia Fantoni, conservati presso l’archivio di Stato di Massa, ha trovato ulteriori conferme attraverso un ricco epistolario ancora tutto da scoprire.

Scrive Agostino allo zio, ovvero il poeta Labindo, nell’anno 1812: “…Ti do avviso che ho inventato uno strumento onde l’Anna possa scrivere liberamente, se in questa settimana verrà il legnaiolo per la posta ventura ti scriverà di proprio pugno, mi struggo di vedere come riuscirà in pratica la mia idea, ma mi lusingo da alcuni tentativi fatti che riuscirà perfettamente.”

Ed ancora in un’altra lettera coeva: “L’istrumento per scrivere a occhi chiusi non lo ho potuto ancora far eseguire perfettamente da un maestro che finora ho invano atteso, e questo non è lavoro da effettuarsi senza l’assistenza di chi lo ha ideato, un informe abbozzo da me fatto ti produsse quelle due righe dell’Anna, a tutti però quegli ingegni meccanici a cui l’ho comunicato trovano che deve riuscire a perfezione, avendo in questi ultimi giorni trovato il modo di fare il gambo alle lettere T D B Q che finora non aveva potuto trovare, stimo però molto facile il ritrovato, onde non credo d’averci gran merito”

Ne parla entusiasticamente anche Anna stessa in alcune lettere, ecco un breve estratto da una missiva del 22 aprile 1802: “…quest’altra volta spero di scrivervi due versi da me col metodo d’Agostino…”

Ma ancora più cariche di eccitamento sono le lettere inviate, al poeta Labindo, da due personaggi molto influenti all’epoca:  Glauco Masi, editore di Livorno e  Baldassar Vetri, ingegnere e matematico di Pisa.

Scrive il primo il 19 maggio 1802: “…Agostino è un gran pezzo che non mi scrive ne so il perchè; ho piacere che abbia trovata la maniera di far scriver l’Annina, così si potesse trovar quelle di guarirla dai suoi incomodi, povera ragazza!

Mentre il secondo da Pisa il 29 maggio 1802: “… È  inesprimibile la gioia e la sorpresa che mi hanno arrecato i vostri desiati caratteri, partecipandomi l’ingegnosissima invenzione del tanto caro al mio cuore Agostino. Io non ho possuto frenare il mio trasporto di tenerezza, di ammirazione, e di amicizia all’annunzio di una così utile scoperta, ed è convenuto per appagare il mio cuore, ch’io li scriva rallegrandomene seco…”

Tra le varie lettere scoperte dal Barbieri fa quasi tenerezza scoprire, in una lista della spesa, tra gonnelle, fazzoletti e calzini da comprare, lo schizzo a penna di quello che con ogni probabilità è l’idea del meccanismo della macchina da scrivere. Curiosamente è da ricordare che questa invenzione è stata per molto tempo accreditata a Pellegrino Turri, originario della Garfagnana, brigadiere delle guardie dei Nobili del Duca di Mantova che per anni frequentò la casa di Anna Carolina a Reggio Emilia, dove lei si trasferì e morì nel 1841. Da quella casa Anna mandò molte lettere scritte a macchina con l’ausilio di un inchiostro  tipo carta carbone, inventata nel 1806 –  questa sì, dal buon Turri – e ogni volta che mandate una mail per conoscenza, sappiate che quel “Cc” significa proprio Carbon copy.

Nel ricordare questi avvenimenti, nella manifestazione tenutasi a Fivizzano il 27 maggio di quest’anno, Domenico Scarzello e Cristiano Riciputi, presidente e segretario della Compu (Associazione Italiana Collezionisti Macchine per Ufficio) e il già citato Rino Barbieri, prima di svelare una targa commemorativa insieme agli amici dell’Associazione dei Bianchi e dei Bosi, hanno voluto far riflettere su come, a volte, un semplice e spontaneo gesto d’amore può davvero rivoluzionare il mondo.

Pensateci ogni volta che manderete un messaggio a qualcuno.