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Diari Toscani

Giornale di cultura, viaggi, enogastronomia e società

Fantasia e creatività sono innate: Alberto Lanteri pittore

DiSilvia Ammavuta

Mar 18, 2023

Diari Toscani incontra il Maestro Alberto Lanteri nato a Torino, città nella quale ha conseguito la maturità al Liceo Artistico Cottini nel 1974. Trasferitosi recentemente a Roma, città che definisce accogliente e disponibile.

Maestro Lanteri, dopo il diploma ha frequentato gli studi di Pietro Annigoni a Firenze e di Mario Donizetti a Bergamo, li ha conosciuti entrambi di persona?

Sì. Ho sempre nutrito una passione per il disegno e la pittura, fin da bambino, e Pietro Annigoni era un pittore che ammiravo e amavo particolarmente. Combinazione volle che, un giorno, lessi un articolo su Grazia, la rivista che la mia mamma comprava regolarmente, su Annigoni, con tanto di indirizzo del suo studio. Avevo 18 anni, mi venne il desiderio di conoscerlo di persona. Preparai la cartellina con alcuni miei lavori, una borsa con alcuni indumenti, comprai un biglietto per il treno e andai a Firenze dove Annigoni viveva.  Sapevo che era un pittore molto conosciuto e le probabilità che mi ricevesse erano poche, cosa che veniva rimarcata da chi aveva saputo del mio intento. Insomma, a dispetto delle difficoltà, arrivai a Firenze e presi una camera in una piccola pensione in centro.  Non avevo tanti soldi perciò potevo permettermi una sistemazione modesta. Comunque, lasciai il bagaglio e la cartellina e feci un giro per le strade del centro. Chiesi dove fosse Borgo Albizi, mi ci recai, vidi lo studio del Maestro e mi ripromisi di tornare l’indomani mattina. La notte dormii pochissimo, da tanto ero in ansia per il giorno dopo. La mattina suonai il campanello e salii le scale, lo studio era all’ultimo piano, sul pianerottolo. Accanto alla porta di ingresso c’era una porta finestra dalla quale uscì un uomo: “Chi sei?” mi chiese. “Sogno di conoscere il Maestro Annigoni”, risposi. Non seguì nessun commento da parte dell’uomo che rientrò dalla portafinestra tirandosela dietro. Dopo due minuti la porta d’ingresso, quella ufficiale, si aprì, l’uomo mi fece entrare e mi disse di aspettare. Un po’ intimorito, inizia a guardarmi intorno, mi sembrava d’essere nel paese dei balocchi, finché ci fu una voce alle mie spalle: “Sono qua!”, era Annigoni. Ero giovanissimo, in soggezione e un po’ impacciato, ovviamente mi chiese cosa volessi da lui, dissi che ci tenevo a fargli vedere i miei lavori, prese la cartellina e sfogliò i disegni. “Tu cosa vuoi fare?”, mi chiese. “Il pittore come lei!” fu la mia risposta alla sua domanda. “Hai scelto la strada giusta, vieni pure da me quando vuoi”. Ho fatto il pendolare Torino-Firenze-Torino per anni. Ho anche vissuto a Firenze per qualche mese. Quando, invece, ero a Torino andavo dal bravissimo pittore Mario Donizetti a Bergamo; sono ancora in contatto con lui, è una persona molto riservata, un po’ chiusa.

Pietro Annigoni veniva chiamato “Il pittore delle Regine”, Mario Donizetti è considerato il massimo esponente della pittura figurativa realista. Quanto Annigoni e Donizetti hanno influenzato la sua arte pittorica?

L’hanno influenzata, sicuramente i primi anni, ma con il tempo, pur essendo un figurativo ho preso strade diverse. I miei ritratti, anche se parto da un aspetto classico sono poi rivisitati.

A proposito di Regine e ritratti, lei ha fatto un ritratto alla regina Elisabetta…

Sì, sono un patito della regina Elisabetta, lo sono sempre stato e non sapevo come farglielo pervenire. Annigoni, che in questo avrebbe potuto indicarmi la strada, era già morto. Al mio collaboratore di allora, era il 2012, venne l’idea di mettere una foto del quadro su twitter. Io, ovviamente, ero molto perplesso, ma accondiscesi. Dopo pochi giorni venni contatto da Sonia Bonici, di origine italiana, che era la corrispondente della regina, pensai fosse uno scherzo, ma, scherzo per scherzo, rispondemmo. Era tutto vero. La regina era una che amava andare sui social, aveva visto il quadro, le era piaciuto e desiderava averlo. In occasione del Giubileo glielo regalai. Ecco la storia del mio dipinto a Buckingham Palace.  Con la regina Elisabetta ci siamo scritti tre lettere: la prima per ringraziarmi del quadro e le altre due per parlare anche di Annigoni. E, come vede, conservo queste lettere incorniciate.

Tornando al suo legame con Pietro Annigoni, quanta importanza ha la relazione Maestro-discepolo?

Non saprei cosa risponderle, sono stato legato a lui, siamo diventati amici e nonostante fosse burbero, era comunque simpatico e generoso. Pensi che, se anche lo chiamavo la sera sul tardi, mi rispondeva, faceva la voce un po’ grossa, celando un sorriso e mi diceva: “O prendi appunti, no?!?”. È stato indubbiamente un incontro importante, mi ha dato una sicurezza, che, probabilmente è andata  a rinforzare la mia determinazione. Io ho fatto solo l’artista, ho scelto questo a tempo pieno, con tutti i rischi e le difficoltà.

Lei ha allievi che segue? Se sì, quale responsabilità ha chi ne cura la crescita artistica?

Non amo insegnare, ogni tanto viene qualcuno per dei consigli e io sono disponibile. Al momento, c’è un ragazzo giovane che ha piacere che lo segua, due ore la settimana: è la prima volta nella vita che faccio questo.

Cito una sua frase: “Per dipingere la realtà bisogna avere talento e tecnica. Per trasformarla ci va la mente…”, un’affermazione forte. Si può trasformare la realtà? Perché trasformarla, o meglio, quando nasce il desiderio di trasformarla?

All’inizio, da ragazzino, non la pensavo così. Oggi penso che un artista debba andare oltre. Il trasformare è dare emozioni, anche quelle che non esistono, altrimenti sarebbe come riprodurre un’immagine fotografica, infatti trovo l’iperrealismo freddo, sono virtuosismi di natura tecnica. Anche nei miei quadri attuali c’è sempre qualcosa di figurativo, parto dalfigurativo per poi trasformare il resto.

È questo il motivo per cui lei non è un astrattista?

Ultimamente sto facendo qualcosa, dove comunque la figura c’è, è presente, se poi si toglie la figura e resta l’astratto.

Che ruolo gioca la mente in coloro che fanno arte?

Da buon capricorno ho i piedi per terra, calcolo e pondero, però quando dipingo la mia mente diventa irrazionale: esplodo, la razionalità scompare. Solitamente sono veloce a dipingere e non penso mai. Non so cosa farò, mi viene in mente e parto, sono impulsivo, e non riesco a lavorare mai a un’unica produzione. Lavoro su più opere contemporaneamente, staccando da quell’opera per concentrarmi su di un’altra, è come se la mente si riossigenasse. Forse sono strano ma sono fatto così.

E la fantasia che ruolo ha nella sua arte e anche nella sua vita?

Ah be’, io sono molto fantasioso: mi rende allegro e mi fa sentire vivo. La fantasia è necessaria per tutti gli artisti. Fantasia e creatività sono innate.

La sua produzione artistica è notevole, le sue opere sono presenti in svariate collezioni pubbliche e private, cosa si prova nel sapere che un proprio quadro è esposto fra le mura domestiche che non siano le proprie? E qual è la sensazione nel vedere una propria opera esposta in luoghi importanti e di prestigio?

Le dico la verità, mi lascia abbastanza tranquillo, non mi emoziona molto, sono contento, non pensi che sia freddo, ma il mio scopo è creare, l’emozione la provo quando dipingo.

Lei è un ritrattista: cosa la incuriosisce del volto, cos’è che le fa scattare il desiderio di ritrarlo?

È un’emozione inspiegabile a parole, alcuni ritratti li sento particolarmente e altrettanto particolarmente vengono belli, altri sono belli tecnicamente ma privi di anima. Quando faccio un ritratto vedo e sento quello che vive e quello che non vive.

C’è anche una produzione di suoi autoritratti: qual è la molla che scatta per dipingere se stessi? Con quali occhi si osserva?

Voglio che rimanga qualcosa di me per quando non ci sarò più, quello che sono io interiormente. Una pecca d’ambizione? Se ha avuto modo di vedere alcuni di quei  autoritratti avrà notato che sono sempre con costumi, mai vestito normale. Ho fatto le elementari in collegio e quando mi chiedevano cosa avrei voluto fare da grande la mia risposta era: “Voglio fare il papa o il pittore”. Sono sempre stato attratto dal potere della Chiesa. Chissà, forse in una vita passata… e così ho fatto il pittore e mi ritraggo con abiti anche di potere.

Si dice che gli occhi siano lo specchio dell’anima, lei cosa ne pensa?

Sì, è vero, dagli occhi puoi vedere tanto. Non è un caso che non sopporti chi mi parla indossando gli occhiali da sole o con lo sguardo basso.

Restiamo sugli occhi: sognare ad occhi aperti può essere una fonte di ispirazione creativa?

Tanta, in realtà io sogno sempre.

Spesso l’immagine dell’artista viene associata a persone che hanno la testa fra le nuvole, poco legati al quotidiano, poco “pratici”, che vivono in un mondo tutto loro, quanto si riconosce in questa immagine dal sapore stereotipato?

Non sono per niente pratico, sono una frana e ho un collaboratore che fa tutto lui, sono un disastro, e quindi, anche se stereotipata come immagine, io sono un po’ così.

Immagino lei abbia uno studio, mi racconti l’atmosfera che si respira all’interno di esso…

Lavoro in casa e nel mio studio non entra nessuno, sono geloso del mio spazio. Ho una persona che viene ad aiutarmi per i lavori domestici, ma nel mio studio non entra. Divieto assoluto.

.Le sue tecniche? Perché opta per una anziché per un’altra?

Uso tutte le tecniche, grazie ad Annigoni che è stato bravo a insegnarmi Quando si ha la padronanza delle tecniche si può fare ciò che si vuole.

Lei spazia molto nei generi: ritratti, autoritratti, disegni, arte gay, ceramiche, c’è un filo conduttore che li unisce? Ce n’è uno che predilige?

Non so se ci sia un filo conduttore, forse la voglia di sperimentare tutto. Ho fatto anche scultura, ma ho abbandonato perché non volevo rimanere mediocre. Da me pretendo il massimo: in quello non ero portato, non sento molto la materia.

Esiste un colore o colori più efficaci per indurre o potenziare le emozioni?

Io uso tutti i colori. Ultimamente amo i colori molto accesi, mentre una volta ero più legato al rinascimento e quindi erano colori che non usavo.

Cos’è l’arte per il Maestro Alberto Lanteri?

Mi viene da pensare alla bellezza, anche se purtroppo non c’è più il senso del bello, perché non c’è più la cultura del bello. Cos’è l’arte? È una domanda difficile alla quale rispondere: non so darle una spiegazione, non è possibile definire l’arte, forse l’universo lo sa! È la sua energia che entra negli artisti e ci dà modo di creare. Io sento, ho, quell’energia, mi è stata data e deriva dall’universo non da me.

Cos’è per lei la fragilità?

Tutti nasciamo fragili! Fa parte della natura umana. Ho vissuto e vivo momenti in cui sonopiù fragile. Quando capitano, cerco di superarli, anche se è difficile, non sono un eroe. Ho consapevolezza delle mie fragilità, sono fragile sui sentimenti. Ho imparato ad affrontare e a lasciarmi scivolare addosso le situazioni che mi rendono vulnerabile.

Progetti futuri?

Un paio di mostre a Roma ancora da definire.