• Mer. Mag 15th, 2024

Diari Toscani

Giornale di cultura, viaggi, enogastronomia e società

OLTRE|FRONTIERA

Destinazione: Abuja, Nigeria

Coordinate: 9°4′N 7°29′E

Distanza da Firenze: 6.156 km

Poteva essere e non è stato. Si può riassumere così il risultato delle elezioni presidenziali, tenutesi in Nigeria il 25 febbraio scorso.  Nonostante una disoccupazione arrivata al 33 per cento, un tasso di violenza altissimo – nel solo 2022 si contano più di ottomila persone uccise dai vari gruppi armati – e un’economia agonizzante, ha vinto il candidato del partito attualmente al potere, e, quindi, non si intravedono grandi prospettive di miglioramento per le sorti del paese, almeno nell’immediato. Ma i paesi sviluppati, soprattutto quelli europei, sperano che l’appuntamento con il cambiamento sia solo rimandato. È più di una speranza, a dire il vero, è quasi una necessità.

Nel 2020, subito dopo la laurea, K. – 27 anni – si stava recando a Benue, uno dei 36 stati confederati del paese. Mentre il pulmino su cui viaggiava era fermo ad uno degli innumerevoli posti di blocco istituti dal governo locale per contrastare i gruppi armati della zona, due uomini, in sella ad una moto, si sono avvicinati e hanno cominciato a sparare, uccidendo due persone. Viaggiava su quel pulmino, perché Benue era la destinazione assegnatagli dal progetto Corpi Nazionali di Servizio Giovanile (Nysc, nel suo acronimo inglese). Scopo del programma: superare le divisioni etniche ed instillare nei giovani lo spirito di appartenenza alla nazione. Il servizio, nato nel 1973, è ancora attivo e obbligatorio per tutti i neolaureati, pena una multa salatissima, a volte il carcere e, nel migliore dei casi, una forte diminuzione delle già scarse prospettive di lavoro, soprattutto per i laureati di estrazione sociale più bassa. Ma completare l’anno di servizio in paese enorme, con una popolazione di 230 milioni di persone, appartenenti ad una decina di etnie diverse, è diventato, di anno in anno, sempre più pericoloso, spesso traumatico, a volte mortale. K. lo sa bene – a distanza di tre anni, soffre ancora di insonnia e altri disturbi post-traumatici – ma ad alcuni suoi coetanei è andata molto peggio.

Dopo tre settimane di addestramento para militare, in quelli che vengono chiamati “campi d’orientamento”, ai ragazzi viene comunicato il loro “posto di assegnazione primaria” (Ppa), dove dovranno rimanere un anno. Per questo impegno riceveranno un sussidio mensile di 70 euro. I Ppa sono solitamente posti lontanissimi, e il trasferimento rappresenta, già di per sé, un fattore di rischio: a parte l’incubo degli attacchi da parte delle bande criminali, i mezzi sono sovraffollati, inaffidabili e le strade quasi impraticabili, per cui gli incidenti non sono affatto rari. Una volta arrivati sul posto, questi ragazzi non trovano alcun referente a supportarli, sono completamente soli e devono vivere in condizioni spesso estreme. Nella stragrande maggioranza dei casi, vengono affidati loro incarichi d’insegnamento in sperdute scuole primarie dell’entroterra. La loro formazione non riveste alcuna importanza: M., 22 anni, ha una laurea in anatomia e per un anno ha insegnato matematica ai bambini, in un aula dove la lavagna era una lasta di cemento colorata con il carbone, sui cui era impossibile scrivere col gesso.

 Simili esperienze accomunano quasi tutti i partecipanti ai Nysc: allo stato attuale, il programma si configura, più che altro, come un bacino di manodopera a basso costo utilizzato per coprire l’endemica mancanza di personale delle strutture pubbliche, soprattutto di quelle che servono gli innumerevoli villaggi delle zone rurali e più pericolose, dove nessun insegnante o impiegato con esperienza e professionalità vuole più andare.

Nel 2021, il deputato Abiante ha presentato una proposta di legge per abolire i Nysc, che però è stata respinta. A causa del programma, sostiene il deputato, tanti ragazzi innocenti sono stati uccisi o rapiti. Ben lungi dal consolidare lo spirito di unità ed integrazione fra la popolazione, i Corpi hanno prodotto esattamente l’effetto contrario. Spediti in zone dove regna il banditismo, l’estremismo religioso e le violenze a sfondo etnico, questi ragazzi sono diventati veri e propri bersagli, incarnando di volta in volta l’obiettivo delle rivendicazioni che stanno alla base delle violenze. Per cui, nel nordest, il gruppo armato Boko haram – che significa “l’educazione occidentale è peccato” – vede nei giovani impegnati nei Nysc, con la loro caratteristica divisa bianco-verde, la rappresentazione del sistema sociale imposto dalla colonizzazione occidentale. Nel nordovest, invece, questi ragazzi – spesso appartenenti a famiglie benestanti delle città – sono visti, semplicemente, come una preziosa fonte di arricchimento, e quindi di potere, attraverso il loro rapimento e le conseguenti richieste di riscatto. Infine, nel sudest, dove le istanze secessioniste su base etnica hanno ancora un certo seguito, l’attività dei Nysc è vista come l’odiosa rappresentazione dello stato nigeriano e del suo inviso patriottismo: più che un’opportunità di crescita, i Nysc sono stati – per molti giovani  – una vera e propria sentenza.

Ma accanto allo sdegno per il suo intollerabile costo in termini di vite perdute, da qualche tempo, sta crescendo il dissenso anche per il suo costo squisitamente finanziario. Nel 2020 il programma ha ricevuto fondi governativi per 338 milioni di euro. Una cifra enorme. Con la situazione di crisi che sta attraversando il paese, e il palese fallimento del programma rispetto al suo obiettivo fondante, da più parti si chiede che queste risorse vengano impiegate per progetti più utili alla comunità. Alcuni si sono spinti oltre: visto che i Corpi non sono riusciti a creare uno spirito di fratellanza e di appartenenza,  si potrebbe addestrare questi ragazzi all’uso delle armi, alle tattiche di guerra e di antiterrorismo, in modo che possano contribuire anche loro alla lotta contro l’insicurezza, attraverso il servizio di un anno nelle varie forze di polizia.

Se già l’obbligatorietà dei Corpi, così come sono strutturati adesso, è fonte di grande malcontento tra i giovani con un alto livello di istruzione, questa proposta ha spinto la loro insoddisfazione per l’establishment ai massimi livelli. Per questo motivo, la vittoria di Peter Obi, il candidato outsider dalle idee progressiste molto apprezzato dagli elettori al di sotto dei cinquant’anni, era stata accreditata una certa plausibilità da molti osservatori. I sei milioni di voti che ha ottenuto, non gli sono valsi una storica presidenza, ma sono il segno che la voce del rinnovamento non può più essere ignorata, per il bene del paese in primis, ma anche per quello di noi europei.

Nell’arco di soli settant’anni la Nigeria diventerà il terzo paese più popoloso al mondo, con 560milioni di persone, a molta distanza da Cina e India, è vero, ma surclassando gli Stati Uniti. E sarà una popolazione giovane. Stando alle stime dell’ONU, già oggi il paese ha una potenza demografica impressionante: l’età media è largamente inferiore ai 20 anni; la percentuale di popolazione che supera i cinquant’anni non arriva al 10 percento del totale; il tasso di natalità è altissimo, quello di mortalità l’inverso. Questo significa che la popolazione attiva supera di molti milioni quella inattiva, formata da bambini, anziani in pensione, disabili.

L’intolleranza verso l’ormai anacronistico sistema dei Nysc è solo uno dei tanti problemi che attanagliano le nuove generazioni della Nigeria. Ben più grave è il tasso di disoccupazione e la mancanza di prospettive. Se il paese non sterzerà al più presto verso politiche incentrate sul soddisfare le esigenze dei giovani e, più in generale, della sua immensa forza lavoro forzatamente inattiva, si potrebbe innescare una crisi migratoria tale che, al confronto, quella attuale apparirebbe un fenomeno marginale nel computo storico. Già oggi, la quantità di abitanti che il paese potrebbe perdere, in termini di giovani istruiti o profughi disperati, avrebbe effetti catastrofici sul fragile e litigioso equilibrio di tutti i paesi interessati da fenomeni di immigrazione più o meno clandestina.

La globalizzazione ha smesso da un pezzo di essere una piacevole esplosione di possibilità fruitive. Oggi essa è tutt’altro. Quello che avviene altrove, a livello politico sociale, prima o poi, in un modo o nell’altro, si riverbererà anche qui, con effetti evidenti. La vera sfida non è aumentare le difese, bensì farci trovare pronti.

Fonte: Internazionale, Internazionale Newsletter, Wikipedia