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Diari Toscani

Giornale di cultura, viaggi, enogastronomia e società

La resa degli Apuani (quarta parte)

DiGian Luigi Telara

Set 19, 2022

Lo sviluppo della rete viaria romana nella zona apuana avvenne in modo assai veloce. I romani riuscirono a fortificare anche Luni, già abitata dai Liguri ma senza una organizzazione militare, tre anni dopo la razzia di Apua, nel 177 a.C. Per proseguire verso la Gallia i romani, oramai diventati una potenza marinara con la navigazione sottocosta, chiamata “a piccolo cabotaggio”, cioè quella che non perdeva mai i punti di riferimento sulla costa, avevano colonizzato anche un punto di appoggio fortificato a Vada Sabatia (l’odierno Vado Ligure) che rappresentava l’attracco in terra ligure, dal quale potevano proseguire via terra nel territorio dei Galli Ingauni. Da Luni, infatti, la comunicazione via terra era interrotta dalla resistenza ancora forte dei Ligures Sengauni, che dominavano tutto il bacino del Vara, nella valle del Magra e il golfo di La Spezia. Più a nord vivevano i Ligures Tigulli, che occupavano il Levante ligure dall’attuale territorio genovese – anche se Genova, all’epoca non esisteva ancora – fino a circa il passo Boron (attuale Bracco).

Furono, dunque i Ligures Sengauni e Tigulli che resistettero ancora una settantina d’anni, prima di essere completamente assorbiti dai romani, e non i Ligures Apuani. Ma resistere, forse, è un temine eccessivo. I romani, giunti in terra ligure, continuarono l’espansione verso la Gallia. In quei 70 anni prima di piegare definitivamente i Ligures, in realtà, organizzarono l’esercito, arricchendolo di nuove leve, cioè di figli allevati e instradati alla vita militare. Nel 109 a.C. i romani furono pronti a proseguire e vinsero l’ultima resistenza ligure. Costruirono una vera strada che velocizzò gli spostamenti: la via Aemilia Scauri, che seguiva il percorso del fiume Vara fino al passo Boron e poi da lì continuava per tratti impervi, spianandoli, lungo i sentieri usati dai Liguri. La via Aemilia Scauri raggiungeva, con tragitto costiero, Vada Sabatia e poi, da lì, attraversava gli Appennini subito a ridosso di Vada e terminava a Dertona (attuale Tortona). Creava, in pratica, un anello che attraversava la pianura padana e che tramite la via Aemilia, costruita pochi anni prima, percorsa a ritroso, permetteva di raggiungere Parma. Da Parma, che era stata fondata nel 183 a.C. insieme alla fortificazione gemella Mutina, ovvero Modena, ripartiva la via Aemilia Scauri, che riprendeva il suo percorso fino a Luni, tramite il Malpasso, che sarà l’unico valico transappenninico per secoli.

Il Malpasso era vicino all’attuale passo della Cisa e coincideva con la sella del monte Valoria. Recentissimi scavi hanno identificato nuovi siti archeologici corrispondenti al percorso come era in origine. Sul valico sono presenti oggetti e monete e un’incisione con l’iscrizione “Pro itu et reditu”, cioè “in favore di una sicura andata e di un sicuro ritorno”. L’incisione è da mettere in relazione con il culto di Giove Pennino, protettore delle vette. Abbiamo già visto che nella Tabula Peutingeriana è segnato in vetta “in Alpe Pennino”, altro toponimo della via romana a indicare lo stesso culto. In quel percorso, all’altezza di Fivizzano, riprendeva la via Clodia per giungere a Lucca. La strada che univa Parma a Lucca, era chiamata: la via delle “Cento Miglia”, tante erano le miglia che separavano le due città. Come abbiamo già visto, non è noto se il termine “forum Clodi” si riferisse a Piazza al Serchio o a Fivizzano o a tutto il tracciato garfagnino della via delle cento Miglia.

Prima parte

Seconda parte

Terza parte