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Diari Toscani

Giornale di cultura, viaggi, enogastronomia e società

7 settembre 1920: in Lunigiana e in Garfagnana si segna il decimo grado della scala Mercalli

DiVinicia Tesconi

Set 7, 2022

Mancavano cinque minuti alle otto del mattino. Gli uomini erano già, quasi tutti, andati a lavorare nei campi. Nelle case c’erano solo donne, bambini e qualche anziano. Molti già in piedi, pochi ancora a letto. Qualcuno, impaurito dalle scosse molto forti avvertite il giorno prima, aveva scelto di dormire all’aperto. Era l’inizio di settembre e le notti erano ancora calde. Di questi, qualcuno era ancora nei fienili o nei ricoveri di fortuna, in cui si erano riparati per non restare proprio all’addiaccio e questa fu la loro fortuna. Tante donne, invece, erano rientrate in casa per attendere alle occupazioni quotidiane ed avevano portato i loro bambini nei letti. Un boato feroce squarciò l’aria del mattino del 7 settembre, ma non funzionò da allarme, perché fu, praticamente, contemporaneo della potentissima scossa, durata circa una ventina di secondi: un tempo terribilmente lungo. Il ruggito del cuore della Terra esplose in entrambi i movimenti sismici: ondulatorio e sussultorio, partendo dalla zona intorno a Villa Collemandina, in Garfagnana e propagandosi in un’area di 160 metri quadrati. Moltissimi borghi antichi, disseminati nelle valli garfagnine e lunigianesi vennero quasi interamente spazzati via: Vigneta, frazione di Casola in Lunigiana, Sassalbo, Comano, Virgoletta, Filattiera Luscignano, Montecurto, Ceserano, Villafranca, Merizzo, Fornoli e Fivizzano, nel quale nessun edificio rimase in piedi e Pontremoli, dove il crollo del soffitto della chiesa della Misericordia danneggiò l’antico organo a canne. Le scosse del 6 settembre, il giorno prima del sisma erano state tra il quarto e il sesto grado della scala Mercalli –il sistema di valutazione dei terremoti che si basa sull’evidenza dei danni causati- che era il parametro principalmente usato in Italia fino alla seconda metà del ‘900. La scossa del mattino del 7 settembre venne attestata tra il nono e il decimo grado della Mercalli, cioè quasi al settimo grado della scala Richter, il sistema di valutazione dei terremoti che misura la magnitudo dell’evento, diventato il più usato a attendibile in tutto il mondo.

Il massimo grado della scala Mercalli- Cancani-Sieberg – questo il nome completo che comprende i miglioramenti del sistema creato da Giuseppe Mercalli, apportati da Adolfo Cancani e da August Heinrich Sieberg – è il dosicesimo e la definizione ad esso connessa è “apocalittica”. Lo si trova riferito al terremoto avvenuto nel 1920 a Haiyuan, in Cina, che detiene il poco invidiabile primato di ben 275 mila vittime. Al decimo livello corrisponde la dicitura “completamente distruttiva” e la descrizione riporta: “Rovina di molti edifici; molte vittime umane; crepacci nel suolo”. Questo fu il terremoto del 1920 in Lunigiana e Garfagnana che causò 171 morti – ma alcune ricerche parlano di oltre 200 vittime- e 650 feriti: il più grave, per vittime, nella storia della Toscana. Il sisma venne avvertito a Genova, a Bologna a Livorno e a Siena. A Modena e a Pisa, la scossa causò anche alcune vittime. Il bilancio finale delle vittime lunigianesi e garfagnanine fu, sicuramente, alleggerito dal fatto che, nel momento in cui avvenne, gran parte delle persone fossero già all’aperto nei campi. La maggior parte dei morti, infatti, venne registrata tra donne, anziani e bambini. Alla potenza oggettiva della scossa vanno aggiunti altri elementi che contribuirono a determinare l’entità del disastro. I crolli diffusi delle abitazioni in tutta l’area interessata dal sisma furono dovuti, in gran parte, al tipo, estremamente precario, di costruzioni, fatte con sassi e pietre, e non con mattoni, tenuti insieme da malte di scarso livello. I soccorsi tardarono in maniera impressionante a causa della lentezza con cui, la reale entità del disastro venne comunicata. La maniera più rapida per comunicare nel 1920 era il telegrafo, ma la linea rimase interrotta dal sisma, il che rallentò la diffusione della notizia e la richiesta di soccorso. Le autorità locali compresero la portata di quanto era accaduto solo verso la fine della giornata e i soccorsi, arrivati con tale ritardo, poterono salvare un numero minore di persone. Quando, finalmente, il ministero dell’interno decretò l’invio dei soccorsi, nelle zone colpite dal terremoto arrivarono le forze armate: i marinai della nave Cavour da La Spezia, i soldati di fanteria del Genio da Firenze, Piacenza, Bologna, Reggio Emilia. A questi si aggiunsero varie squadre di soccorritori provenienti dalle zone vicine a quelle colpite, sia liguri, sia toscane, sia emiliane e i Vigili del fuoco di Rimini. Le operazioni di sgombero delle macerie durarono fino a dicembre del 1920. Accanto alla tragedia dei morti e dei paesi distrutti, si dovette subito affrontare il drammatico problema delle moltissime persone rimaste senza tetto. Nella serata del 7 settembre arrivò ad Aulla, diventata centro di raccordo per i soccorsi, un treno con tende per gli sfollati, medicinali, viveri e mezzi per rimuovere le macerie. Altri convogli dello stesso genere arrivarono nei giorni successivi al terremoto. La ricostruzione avvenne, con i tempi lenti di ogni ricostruzione, e cambiò, inevitabilmente, in molti casi, il volto dei paesi, causando una forma di dissociamento da parte dei superstiti che non riconoscevano più nulla del luogo in cui, fino a prima del sisma erano vissuti. La memoria dell’evento, invece, si mantenne intatta nel tempo passando di generazione in generazione, fino ad oggi.