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Diari Toscani

Giornale di cultura, viaggi, enogastronomia e società

“La ladra di sorrisi” di Tonina Tessa

DiDiari Toscani

Mag 29, 2022

Eccola là, come ogni giorno, seduta sulla panchina di marmo, sempre la stessa, da ben due mesi ormai. Si chiama Ortensia. Un nome antico, come tutto ciò che la riguarda del resto. Sembra uscita da un racconto di Dickens: vestita quasi sempre di grigio o di nero, con abiti modesti, ma ordinati, che lei spesso ravviva con piccole sciarpe leggere nei colori pastello. A prima vista, con quei capelli brizzolati legati dietro la nuca, le scarpe col mezzo tacco un poco sformate dall’uso e soprattutto con quello sguardo privo di luce, sembra essere già anziana, ma forse non lo è poi tanto. Arriva e, senza fretta, si siede sulla sua panchina, dopo averla spolverata con un cencio sbiadito, che poi ripone dentro la borsa di pelle marroncina, leggermente sdrucita e con una lunga tracolla. Se ne sta lì senza fare nulla, guarda. Osserva tutti i bambini molto piccoli che, nei pomeriggi di sole, vengono accompagnati lì, nel parco, sui giochini. Di molti conosce il nome, specialmente di quelli più vivaci, che vengono spesso richiamati all’ordine da genitori o nonni, ma le piacciono proprio tutti, nessuno escluso. Li guarda con insistenza, cercando di scoprire un ricciolo ribelle sulla fronte, una fossetta sul mento, uno sguardo curioso, un sorriso birichino che possano riportarla indietro di tanti, tanti anni, quando anche lei aveva un piccolo bimbo tutto suo: il tesoro più prezioso della sua vita, che un destino amaro le ha strappato dalle mani, ma non dal cuore. Adesso che è in pensione ed ha a sua disposizione tutto il tempo che vuole, ha deciso di dedicare un paio d’ore della sua giornata a questa attività, che, per lei, non è affatto un passatempo: guardare i bambini e rubare i loro sorrisi.

Sono passati quasi trent’anni da quando il suo Riccardino è stato travolto e ucciso da una donna distratta, che guidava una grossa macchina color argento, proprio nel viale che costeggia quella stessa pineta dove anche lui amava giocare. È un bel dire che, adesso, è diventato un angelo. Tutti glie lo hanno ripetuto tante volte da allora, ma a lei non interessa avere un angelo in cielo: Ortensia vorrebbe avere Riccardo qui, vivo, ora. Quel figlio che non è mai cresciuto, è rimasto sempre e solo un bambinetto che sorride in una fotografia, dentro una piccola cornice di forma ovale che Ortensia porta al collo appesa ad una collanina d’oro, da troppi anni.

I bambini si sono abituati a lei e si aspettano che “la signora magrolina” sia lì al suo posto ogni giorno. Alcune mamme curiose o qualche nonna in vena di chiacchiere, tentano, talvolta, di attaccare bottone. Lei saluta molto educatamente, ma altrettanto chiaramente fa capire che non è il caso di inoltrarsi in una conversazione della quale non sente la necessità. Ortensia non va ai giardini della pineta perché ha bisogno di qualcuno con cui parlare: ci va solo per guardare i bambini che giocano, saltano, ridono e, qualche volta anche piangono. Non si perde un solo momento, non le sfugge neanche la più impercettibile espressione di quei visi, di quegli occhi, di quelle vocine sottili e argentine. Oggi il suo preferito non c’è: “Oddio, non sarà mica ammalato?” si domanda in silenzio. Il suo preferito è un bambino che avrà circa quattro anni. Le è ,proprio, entrato nel cuore. Quando lo vede, con quel musetto impertinente, i riccioli biondi e due occhi scuri e vivaci dietro un paio di occhialini con la montatura verde smeraldo, sente qualcosa che si muove dentro di lei, qualcosa che non ricorda di avere provato da tanto, troppo tempo. Federico è, fra tutti, quello che più le ricorda il suo Riccardo, non già fisicamente – lui aveva i capelli scuri ed era di corporatura più robusta- ma nelle espressioni, nei gesti e, soprattutto, nel modo in cui cerca la mano della sua mamma, proprio come se volesse aggrapparsi ad un appiglio sicuro.

Anche Riccardo aveva lo stesso modo di infilare la sua manina dentro quella forte e rassicurante di Ortensia, ma quella volta la sua presa non era stata abbastanza sicura da potergli impedire quello scatto repentino verso la morte. Anche lei era morta in quel giorno di giugno luminoso e caldo, con la gioia nell’aria. Tutto era precipitato nel buio più assoluto, nella più assoluta infelicità. “Chissà se Federico oggi verrà, – si chiede Ortenzia – è già passata l’ora in cui di solito lo vedo spuntare dall’ingresso sul viale dei bagni dove la mamma parcheggia l’auto ma … eccolo, finalmente!”.

Ortensia lo segue con lo sguardo mentre si avvicina, correndo, alla sua panchina, diretto verso un gruppetto di bambini che si trova allo scivolo e, inconsapevolmente, gli sorride. Federico improvvisamente si blocca e la guarda con un’espressione seria, come se non sapesse cosa dire, poi si fa più vicino e: “Ciao, signora, oggi è venuta la nonna a mangiare a casa mia e mi ha regalato questa” e le mostra una macchinina viola, piccola e lucente, che deve piacergli molto visto come se la rigira fra le manine, guardandola con orgoglio. “Oh, è davvero molto bella, è gentile la tua nonna, non ti pare?”. “Eh, sì, è la mia nonna!”. “Federico, non disturbare la signora, vieni che Mattia ti sta aspettando” lo richiama la mamma.

In un lampo, così come si era fermato, il piccolo riparte di corsa ma, prima di andare: “Ciao, io vado a giocare con Mattia” e le regala il più bel sorriso che lei abbia mai ricevuto: sì, proprio un sorriso tutto per lei, dedicato a lei sola e, per oggi, Ortensia non dovrà accontentarsi soltanto di sorrisi rubati.

Illustrazione di Azzurra Riccobono