Questa raccolta di nomi dei piatti e delle pietanza tipiche locali del comprensorio carrarese non ha di certo la pretesa di esaurire l’argomento ne tanto meno di fornire un “ricetta”. Così come il dialetto locale cambia fonetica e significato dai paesi a monte sino alla spiaggia, determinati piatti pur avendo basi comuni, registrano più varianti.
La storia della cucina locale nasce sul fornello a carbone, con il fuoco sotto e sopra, aiutati dal ventaglio per attizzare la fiamma, nasce sul cibo lavato e risciacquato sull’acquaio di marmo bianco Canaloni, nasce sulla pasta tirata a mano sul piano di marmo del tavolo di castagno, nasce dai formaggi conservati nell’apposito “bussolotto” di legno con le ante rivestite di rete anti-mosche, nasce con la verdura raccolta nell’orto, nasce con i pesci acquistati dai pescatori sul pontile, nasce, con i fiaschi di vino impagliati delle vendemmie dei vigneti di Moneta, Nazzano, Candia, Fossone, Fossola, e con il vino del “renone” cioè i vigneti cresciuti sul terreno sabbioso della marina (ancora ne ricordo il sapore aspro e salato del vino che producevano nel loro piccolo orto i parenti di mio padre quando ero un bambino), nasce dallo “zibibbo” un vino dolcissimo che veniva servito insieme ai dolci (solitamente era Aleatico che proveniva dall’Isola d’Elba) e che andavo a bere (ubriacandoci) con i miei amici di scuola a dalla Vangè a Marina di Carrara e a Marinella in bicicletta prima e in vespa poi…
Oggi siamo abituati a cucine e a ristoranti super eleganti, super raffinati, oggi impera il pesce crudo e se non vai almeno una volta a cena in un ristorante giapponese e non pubblichi la fotografia di ciò che stai mangiando non sei nessuno… Tuttavia, tenuto conto del fatto che spesso mi chiedono quali sono i piatti tipici della nostra zona, del nostro comprensorio, e dove poterli degustare “alla regola d’arte” talvolta diventa difficile, o quantomeno, occorre andare a cercare locale per locale ogni singolo piatto, tenuto conto però, che non tutti i ristoranti locali hanno nel loro menu l’elenco completo della cucina locale.
Altresì, a mio modesto ma talvolta illuminato parere, ricordare ed elencare le vecchie usanze, la vecchia e tipica cucina, alternando alla “moderna cucina” i piatti che hanno fatto la storia dei nostri luoghi, la storia del comprensorio dalle cave al mare mi è sembrato un atto dovuto. La nostra cucina è una cucina familiare, paesana, semplice, è una cucina tradizionale, anche povera. Tradizionale.
Per questione di spazio non posso inserire ogni singola ricetta, per cui mi limiterò soltanto ad elencare i piatti.
Iniziamo dalla pasta, tutta rigorosamente fatta e tirata a mano: lasagne verdi, pasta all’acciugata, stringoni al pesto, topetti al sugo di ragù, tordelli al sugo di ragù.
Le minestre: acqua pazza, minestra in brodo di pesce, minestrone di verdura, pan cotto, pasta e fagioli, taglierini nei fagioli, cappelletti in brodo, zuppa di fagiolini dall’occhio.
La polenta: da sempre la polenta è stata accompagnata con le carni, con i pesci, con i funghi e con la cacciagione. Fatta con la farina bianca e gialla, tagliata direttamente in tavola con il filo da cucire. Polenta e acciughe, polenta e coniglio, polenta con funghi pioppini, polenta olio e formaggio, polenta fritta, polentone incatenato.
Il riso: riso ai muscoli.
Il pesce: baccalà marinato, baccalà fritto, frittelle di baccalà, aringhe alla griglia, stoccafisso bollito con verdure lessate, stoccafisso al forno con le patate, acciughe fritte, acciughe marinate, acciughe e patate in casseruola, torta di acciughe, frittata di bianchetti, muscoli alla latta, muscoli bolliti, muscoli fritti, muscoli ripieni, seppie all’inferno con le patate, verdoni marinati al forno.
Le carni: la pancetta, pollo in umido con le barbe, pollo alla cacciatora, coniglio alla cacciatora, polpette fritte, stufato con le patate, trippa con le patate, la carne alla pizzaiola, lardo di Colonnata.
La caccia: storni in casseruola, fagiani al forno.
Altre pietanze: le ballotte, barbe fritte, cavolfiore fritto, crostini con i fegatini capperi e acciughe, fiori di zucca fritti, frittata di bietole e spinaci, frittata di carciofi, frittata di zucchini col timo, frittelline di farina bianca, insalata di musciame e pomodori, lumachelli al pomodoro, panigacci, sgabei, farinata, rapini con salsiccia, sformato di barbe, sformato di gobbi, verze ripiene; peperoni, cipolle e zucchini ripieni; bruschetta aglio e olio; pinzimonio con la cipolla fresca, il sedano, i carciofi tagliati e i ravanelli.
I dolci: i biscotti della prima comunione, il buccellato, il budino di semolino, le frittelle di castagnaccio, la torta di castagnaccio con i pinoli e il rosmarino, le frittelle di semolino, la torta di riso.
Sicuramente ho dimenticato qualcosa e me ne scuso, ma ho voluto rammentare i cibi locali e con essi la tradizione che si è tramandata nei secoli, di generazione in generazione, di una cucina povera ma nello stesso tempo “ricca” e “carica” di Storia. La nostra Storia. Che passa anche attraverso la tavola imbandita, di una semplice cucina con il pavimento alla genovese a quadrotti di marmo bianco e bardiglio, o di “cementine”, il lavello (l’acquaio) a massello scavato di marmo bianco Canaloni, la tendina a quadretti sotto, la madia e la “vetrina” (il mobile dove veniva custodito il pane e le suppellettili), il camino su un lato della stanza, l’immancabile fiasco di vino impagliato e la bottiglia dell’acqua addizionata con l’Idrolitina, il profumo del pane “dagli occhi” ovvero con la mollica dai grandi buchi e la crosta croccante, le posate di alluminio, i piatti pesantissimi della Richard Ginori, i bicchieri di vino piccoli (i “lumini”), la lampada con il piatto riflettente di ceramica smaltata sorretta dal filo elettrico intrecciato e fissato con gli isolatori, e quell’immancabile profumo del cibo cucinato nelle pentole e nelle casseruole di alluminio che veniva sopraffatto a fine pranzo dall’afrore del mezzo toscano, ma solo dopo aver bevuto un “lumino” di grappa fatta in casa. La carta gialla. I tovaglioli di stoffa a quadri. La dispensa, e la portafinestra che dava nell’aia, dove vagavano le galline e dove, poco più in la, un grande orto coltivato senza alcun tipo di pesticida, regalava verdura incredibile.
Ricordandovi il famoso detto toscano che recita “a tavola non si invecchia”. Non mi rimane che augurarvi Buon pranzo !
© 2021 Architetto Paolo Camaiora