Sì, va bene, lo ben so. Lo spettacolo di cui vi voglio parlare è andato in scena martedì 24 giugno, quindi, a rigor di logica -ed anche di cronaca- questa robina avrei dovuto produrla, al massimo, il giorno seguente.
Certo. Senza dubbio. Ma ci sono situazioni in cui, puntuale come soltanto il Fato sa essere, interviene sempre un gigantesco “se”. Talmente gigantesco da poterlo paragonare a certi fiumi sterminati, tipo il Nilo od il Rio delle Amazzoni, a tal punto sterminati da incontrare, lungo il loro scorrere, millemila affluenti e tributari. Tanti “se“, più piccoli, che, tuttavia, confluiscono in quello principale, contribuendo ad alimentarlo ed a fortificarne la portata. Pertanto, sono perfettamente d’accordo con voi: questa cosa avrei dovuto scriverla, che dico il giorno dopo! Subito! Subito dopo la chiusura del sipario, senza perdere tempo inutilmente!
Avrei dovuto.
Certo, se…
Se, come cantava Vasco, non avessi “guardato dentro un’emozione, e ci ho visto dentro tanto amore che ho capito perché non si comanda al cuore” (i cantautori, si sa, ci arrivano sempre prima); se non ci fossi stato pure io, su quel palco e se non mi fossi reso conto che il Teatro degli Animosi era gremito in ogni ordine di posti, come molto di rado mi è capitato di vederlo, anche quando vi si sono esibiti artisti cosiddetti “famosi” (a proposito, grazie a Messer Robè Vecchioni per il gentil messaggio iniziale); se, come un pugilatore duramente martellato di colpi, non mi avesse investito e premuto ginocchioni una scarica di sentimenti, incredibilmente tutti positivi: la tensione che ti sprona a dare il meglio; quello spirito di squadra che solo chi ha giocato ad un gioco di squadra può capire appieno e, se anche non ci ha giocato, lo capisci comunque al volo, in tempo reale; quella partecipazione e quell’affetto collettivi che ti danno la carica più di qualunque dinamo di energia; la soddisfazione di vedere coronati mesi e mesi di impegno, fatica, nervi tesi, caldo soffocante (che c’era anche a stò giro, a livello a dir poco nucleare) ed ansie varie ed eventuali, sublimati in una prestazione da pelle d’oca e culminati in un trionfo assolutamente non scontato; se dietro a questo spettacolo non ci fosse stato qualcosa di antico e robusto: una giovanile, nativa, intensa capacità di gioia e di espressione, una amorevole ed amichevole famigliarità con la scena ed il pubblico, lontana dall’astrazione cerebrale e dall’esibizione vuota, dalla convenzione e dalla pigra ripetizione di modelli; se (e faccio ancora mie le parole di Primo Levi, perchè anche i grandi scrittori, si sa, ci arrivano prima) non fosse stato, in sostanza, quello che è stato: uno spettacolo caldo (al di là del clima), vivo, non volgare, non qualunque, ricco di libertà e di asserzione; se, alla luce di tutto questo, non mi fossi reso conto, una volta di più, che le parole “abile & disabile ” questo sono: parole.
E di parole ne ho dette fin troppe, me ne rendo conto.
Ma era per darvi una vaga idea del “se” che mi ha impedito di dirle subito.
Un fiume talmente grande, tra corso primario ed affluenti, che mi ha letteralmente travolto, lasciandomi, per quanto felice, completamente distrutto.
Ed io, come pure chi era lì con me, soltanto questo ho potuto fare: lasciarmi travolgere🌊.
Se anche voi volete provare l’ebbrezza, giovedì 10 luglio si replica in Plaza Menconi in Marina di Carrara.
Ma non dite che non vi avevo avvertito😉.

