prima parte
Ci sono lunigianesi che hanno portato le arti marziali nella loro terra d’origine, svelandone i segreti e le proprietà. Lo hanno fatto raggiungendo podi mondiali in alcune competizioni o aprendo scuole che sono diventate motivo di orgoglio e prestigio anche a livello nazionale e internazionale. Muai Tai, Karate, Judo, Ju Jitzu, Kung fu, Boxe: ognuna di queste ha una propria filosofia ed una propria storia, ma, soprattutto, ha un bagaglio culturale che ha permesso di aiutare ragazzi e ragazze a crescere con dei sani principi. Ad ognuna di queste arti ho cercato di dare un volto, attraverso una serie di interviste che potranno aiutare il lettore a conoscere, non solo l’arte in se stessa, ma anche il volto e la storia di chi le ha introdotte e predicate in Lunigiana.

La prima persona che sono andato a trovare a Marina di Carrara, nella sede della sua associazione è sifu Nicola Colonnata, fondatore dell’AWTKA, acronimo che sta per Authentic Wing Tiun Kung fu Association, dove si insegna l’antica arte cinese del Wing Tiun. Sifu Colonnata, di origini fivizzanesi, gestisce una serie di accademie sparse per tutta Italia da Massa e Carrara fino a Napoli con alcuni insegnanti anche all’estero. Questo è quello che mi ha raccontato:
Chi è Nicola Colonnata e quale personaggio lo ha spinto o ispirato per intraprendere la carriera nelle arti marziali?
Se devo cominciare dalle mie origini, mia mamma si chiama Mara mentre mio padre, Maurizio Colonnata, era originario di Monzone alto, una frazione del comune di Fivizzano. Mio nonno era capo segheria della Walton, dove si lavorava il marmo e tutta la mia famiglia lavorava alla segheria del “Balzone”. Più tardi mio padre ha lavorato al patronato di Monzone, mantenendo sempre un forte legame col territorio. I miei nonni abitavano dentro la segheria, perché all’epoca, mia nonna, si prendeva cura di una delle figlie di Boiardi, il proprietario. Mio padre ha quindi vissuto sempre l’ambiente dell’estrazione del marmo e, per questo, ha sempre cercato di stare dalla parte dei più deboli scegliendo, una volta diplomatosi, di dedicarsi al sociale. Attraverso il patronato ha aiutato tantissime persone a rivendicare i propri diritti, specialmente quelle che avendo una scarsa cultura rischiavano di essere sopraffatte, ottenendo meno di quanto gli spettasse.
Tuo padre ti ha insegnato dei sani valori…
Sì, mi ha trasmesso la voglia di aiutare chi è più debole e non sa come difendersi, un valore che io ho cercato di integrare nella mia attività di istruttore di arti marziali, ma che ha fatto da base per tutto ciò che faccio nella vita. L’altro mio nonno era brigadiere dei Carabinieri e lavorava a Fivizzano, ha trasmesso a mia madre la disciplina che a sua volta è transitata in me. Si sono fuse nella mia persona la metodicità ed il desiderio di aiutare gli altri: i miei genitori mi hanno insegnato a ad essere una persona per bene. Eravamo una famiglia umile, ma questo non mi ha impedito di studiare e di fare molte cose. Mio padre ha avuto molti problemi lavorativi ed io da bambino mi chiedevo il perché, pur aiutando tante persone, non potesse avere anche lui diritto alle stesse cose che altri avevano pur non spendendosi per la comunità.
Tuo padre è stato quindi un punto di riferimento…
Mio padre era il mio idolo, ma aveva mille preoccupazioni e mille problemi, ha subito tanti soprusi sul lavoro che sono stati oggetto di cause in tribunale e questa situazione, unita all’intensa attività lavorativa, lo ha portato poi a mancare a 59 anni per un infarto. Vivendo in casa queste ansie, io mi sono sempre ripetuto che queste cose da grande non avrei più voluto viverle, tanto meno se avessi avuto dei figli. Alla mia famiglia devo anche la passione per gli sport: papà ha giocato nella nazionale militare di calcio, lo chiamavano Olimpino quando era giovane, a Fivizzano e Monzone era conosciuto perché era bravo in qualsiasi sport, mentre mia mamma insegnava, anzi insegna ancora oggi ginnastica a corpo libero dai Gesuiti a Carrara. Queste sono le mie origini lunigianesi.
Come sono confluiti i tuoi principi nelle arti marziali? Come hai iniziato?
Questa mia voglia di stare dalla parte dei giusti si è unita anche alla volontà di non voler subire i soprusi altrui. Io sono cresciuto dai Gesuiti, un luogo in cui c’erano ragazzi già grandi di me. Mi spiego meglio: la mattina andavo in una scuola privata gestita dalle suore dove frequentavo i ragazzi dell’alta borghesia carrarina, ma il pomeriggio andavo dai Gesuiti perché mio padre aveva l’ufficio lì sopra e mia mamma insegnava in palestra. Il pomeriggio tutti i ragazzini venivano mandati a casa, mentre io, che ero piccolo, ero l’unico che si ritrovava con quelli più grandi, che in un certo senso mi bullizzavano. Ci provavano, perché io mettevo in opera delle strategie per evitare di diventare la loro vittima. Lì c’erano ragazzi normali, ma alcuni erano problematici perché i Gesuiti per dare una mano alle famiglie li tenevano come in una specie di casa famiglia. Son cresciuto con due volti, quello della famiglia del mulino bianco acquisito dalle suore e quello sviluppato dai Gesuiti dove ho testato la strada. In quel frangente mi sono posto la domanda di come potessi essere più forte di uno che fisicamente lo era più di me. Ai tempi al cinema c’erano i film di arti marziali: Bruce Lee andava per la maggiore e fantasticavo di potermi difendere, immaginando di essere come lui. D’estate passavamo tanto tempo insieme e nei tantissimi campeggi che facevamo, dovevo stare molto attento a quello che facevo, a non fare troppo il furbo e anche a non essere troppo bravo per non attirare la loro ira. Fino a 14 anni ho giocato nella Carrarese ed ero piuttosto bravino, ma se questa bravura la portavo nel campetto poi rischiavo di essere menato.

A che età hai cominciato con le arti marziali?
A dodici, tredici anni mi sono iscritto ad una palestra di karate perché il calcio, che amavo, mi aveva disgustato per la politica marcia che lo gestiva, quindi desideravo fare uno sport individuale, tuttavia all’inizio non mi presentai. Un mio amico già dalle elementari mi aveva introdotto in quel mondo, mi aveva prestato dei libri, in casa facevo i kata (sequenza di movimenti, N.d.R.) da solo, mi ero costruito i nunchaku da solo, mostravo insomma già passione verso queste arti. A 13 anni, agli ultimi periodi del calcio associai la Kick boxing: era il momento in cui al cinema spopolava Van Damme. Andavo nella palestra della pugilistica di Carrara dei fratelli Bertoli, riuscendo a sviluppare sia il movimento delle gambe, sia quello delle braccia. Ci ho passato circa un paio d’anni, poi ho conosciuto poi un insegnate di kung fu shaolin che vantava dei maestri in Cina e dopo due anni da lui mi sono iscritto a Ju Jitzu, anche se, dopo un paio di mesi, prima di dare l’esame per la cintura, lasciai perché non la sentivo mia, non vedevo l’applicazione nel mondo reale, insomma lotta terra è bella, ma se lo faccio nel cortile dei Gesuiti mi faccio male.
Quindi come si è evoluta la tua passione per le arti marziali?
Ho sentito parlare di questo Wing Chun e mi sono convinto a fare una prova. Andai da questo insegnate che all’epoca non era ancora Sifu, Paolo Pasquini ad Avenza e lui mi disse una cosa che ancora non mi aveva detto nessuno, ma che mi colpì tantissimo. Mi disse: “Attaccami come vuoi”. La presi come una sfida, lo attaccai e lui si difese, dandomene un sacco, ma io trovai l’esperienza bellissima tanto da desiderare di saper fare quella cosa. Fu una folgorazione, amore a prima vista, mi piacque tantissimo perchè mi fece subito sentire sicuro. Capii che se avessi imparato quell’arte mi sarei potuto difendere efficacemente. Avevo capito che non c’era un ordine precostituito, dove per ogni attacco c’era una risposta, al suo posto c’era un sistema, l’intuizione, un metodo efficace. Mi diede la proiezione di ciò che avrei potuto essere e dopo un anno iniziai la mia esperienza da istruttore facendo lezioni private e quello fu l’inizio di tutto. Attraverso le sue lezioni però vidi che c’era anche un lato professionale. Nel frattempo avevo iniziato a fare l’università a Parma: mi ero iscritto a Giurisprudenza, ma i miei mi avevano detto che avrebbero potuto sostenermi solo se avessi avuto un buon andamento, perchè i costi erano elevati. Per cui iniziai a insegnare per sostenermi, mio padre mi pagava gli studi, ma il resto me lo pagavo io con le lezioni. Capire che c’erano persone disposte a pagarmi per insegnare loro il kung fu per me fu una scoperta incredibile e da lì iniziò la mia fortuna. Avevo incontrato il mio Dharma, volevo essere il più forte, ma anche aiutare gli altri ad essere sicuri ed indipendenti, renderli consapevoli delle loro possibilità e far sì che nessuno potesse subire dei soprusi.
Come hai iniziato l’attività da istruttore?
Ricordo che all’inizio andai da don Raffaello Piagentini, che all’epoca era il parroco del duomo di Carrara, per chiedergli uno spazio per praticare. Lui mi diede un posto in canonica dove confessava, ma l’accordo era che se arrivava qualcuno io dovevo abbandonare almeno per il tempo della confessione. Quando succedeva speravo sempre che quella persona non avesse commesso troppi peccati, altrimenti l’allenamento saltava. Mio padre acquistò poi un piccolo garage ed ogni volta dovevo tirare fuori la macchina e rimetterla dentro, col tempo lo abbellii fino a farlo diventare un vero e proprio tempio, anche se era solo di pochissimi metri, aggiungendogli di volta in volta il finto parquet, uno specchio, l’uomo di legno. Per dieci anni ho fatto otto ore di lezioni private al giorno e per me non c’era nulla di più bello, pensa che io mi scordavo anche di andare a mangiare, c’era mia madre che ogni tanto mi passava un panino e l’acqua dalla finestrella. É un periodo che non rimpiango della mia vita perché mi piaceva e mi piace tutt’ora, ancor più mi vedevo realizzato nel vedere realizzati gli altri, facendo tra l’altro quello che amavo.
Questa storia ricorda un po’ i vari Bill Gates e Jeff Bezos che cominciarono da un garage…
Io mi ritengo un po’ lo Steve Jobs delle arti marziali …

Nella tua palestra si pratica un particolare tipo di Kung fu. Spiegaci di che si tratta…
La mia non è una palestra, ma è un ‘accademia. Poi per per cominciare: kung fu significa ‘duro lavoro’ o ‘risultato ottenuto tramite il duro lavoro’. Il Wing Chun è lo stile dell’eterna primavera, una sorta di filosofia in base alla quale noi vediamo la vita come eterna rinascita. Alla base di questo stile ci sono tre filosofie o religioni: il buddismo, il confucianesimo ed il taoismo. Il confucianesimo lo vediamo nella famiglia, nel rispetto. Sifu vuol dire padre nelle arti marziali proprio perchè all’interno della famiglia riconosci qualcuno che ha dei valori. Se tu fossi un mio allievo saresti un To Dai che vuol dire figlio, due figure che si rispettano a vicenda ognuno per ciò che rappresenta. Ogni padre spera che suo figlio porti avanti i valori che gli insegna auspicandosi che diventi anche più bravo. Esiste poi il Si Hing fratello maggiore che insegna le regole della casa, come il rispetto o la disciplina al fratello minore, il Si Dai.
E il taoismo?
Lo riconosciamo nel simbolo del Tao, dove nel bianco c’è sempre un puntino di nero e viceversa, significa che dobbiamo essere sempre equilibrati nella vita. L’equilibrio non sta nell’ostinazione di una singola visione, ma nella comprensione delle sfaccettature. La parola giusta nelle arti marziali è flessibilità mentale. Per ultimo il buddismo Chan che esprime la filosofia del ‘vivere qui e ora’, ovvero apprezzare quello che hai, quello che fai e quello che sei nel momento presente. Questa è l’unica realtà che esiste perché la mente tende a portarti sempre nei rimpianti e nei ricordi del passato o nelle preoccupazioni del futuro. In oriente la chiamano la scimmia impazzita, in realtà vuole solo la tua attenzione. L’unico momento in cui tu puoi controllare e vivere la tua vita è nel presente.
Allora è sbagliato pianificare?
No, questo non vuol dire non pianificare, ma costruire qualcosa oggi per un domani, senza preoccuparci ovvero senza occuparcene prima che questo arrivi. Se devi prepararti per un esame non preoccupartene oggi, pianificalo, studia tutti i giorni e vedrai che quel giorno sarai pronto. L’eterna primavera è questa, ogni giorno noi decidiamo che persona essere e cosa fare. Non è la nostra storia che ci dice cosa siamo ma ciò che ogni giorno decidiamo di essere. Quando nella vita sai chi sei, cosa vuoi e come arrivarci sei inarrestabile, devi solo decidere di essere disciplinato.
Tu nei sei un esempio chiaro…
Io mi sono allenato coi migliori al mondo e so perfettamente che se vuoi qualcosa devi impegnarti al massimo, dare tutto perché per magia non si impara nulla. Oggi ho tante attività, sono un mental coach, gestisco un stabilimento balneare, ho una catena di negozi con la mia compagna e faccio formazione per le aziende, tutto questo mi rende libero di poter insegnare senza dover dipendere dai miei allievi, che io tratto anche con severità, non gli rendo la vita facile, perché alla fine tutto ciò che otterranno sarà loro per sempre. Io penso che un insegnate debba essere totalmente libero di esprimere se stesso, togliendosi dalle dinamiche legate all’economia. Io ti faccio vedere qual è la strada da percorrere, ma la fatica di percorrerla devi farla tu. Oggi purtroppo, per seguire delle dinamiche commerciali, specie con l’aiuto dei social network, si tende a far diventare le arti marziali come qualcosa che chiunque possa fare, raggiungendo grandi obiettivi. Non è vero perchè non tutti sono disposti a impegnarsi davvero per farlo.
continua…